Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 27244 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 27244 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PIEDIMONTE MATESE il 03/08/1996 avverso la sentenza del 11/12/2024 della Corte d ‘ appello di Torino
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Procuratore Generale, in persona del Sostituto NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l ‘ avv. NOME COGNOME del foro di Rieti in difesa di NOME COGNOME che ha insistito per l ‘ accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte d ‘ appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell ‘ Udienza Preliminare del Tribunale di Novara con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 589 bis e 589 ter cod. pen., 337 cod. pen. e 189, comma 7, d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all ‘ art. 589 bis , comma 7, cod. pen., ha rideterminato la pena in anni 4 di reclusione e applicato la pena accessoria della interdizione legale dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Ha revocato, inoltre, le statuizioni in favore delle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME la cui costituzione è stata revocata. Nel resto la sentenza di primo grado è stata confermata.
1.1. Il processo ha ad oggetto un incidente verificatosi nel corso di una manifestazione sindacale indetta dai lavoratori dell ‘ azienda RAGIONE_SOCIALE di Briandate.
Attraverso i filmati delle telecamere di videosorveglianza e le testimonianze, la sentenza impugnata ha ricostruito l ‘ accaduto nel modo seguente.
Alle ore 06:30 del 18 giugno 2021, il complesso autoarticolato composto da trattore stradale e rimorchio condotto da NOME COGNOME entrava nel piazzale interno del polo logistico della LIDL al fine di effettuare lo scarico di merce. Intorno alle ore 07:00 alcuni appartenenti al sindacato Si Cobas e, tra questi, il delegato provinciale NOME si radunavano nei pressi di varchi di entrata e uscita dei mezzi pesanti del predetto polo logistico per una manifestazione di protesta: i dimostranti avevano ricevuto la specifica indicazione da parte di COGNOME di impedire l ‘ ingresso e l ‘ uscita dei mezzi pesanti dalla struttura, al fine di indurre i dirigenti dell ‘ azienda ad un confronto con i rappresentanti sindacali. Lo stesso COGNOME, coadiuvato da altri manifestanti, iniziava a fermare alcuni autoarticolati, che si accodavano in fila in attesa di poter uscire. Alle 07:15 COGNOME, terminata l ‘ operazione di scarico, si dirigeva verso l ‘ uscita del piazzale, parcheggiando l ‘ autoarticolato in doppia fila a fianco dei mezzi già incolonnati e, avviandosi a piedi verso i manifestanti, chiedeva a NOME di farlo passare, sicché i due si mettevano a discutere e l ‘ autista NOME COGNOME chiamava il 112 . COGNOME, risalito sul camion, riprendeva la marcia nel piazzale dello stabilimento, superava gli altri veicoli incolonnati per l ‘ uscita e imboccava contromano il corridoio del varco destinato all ‘ ingresso dei veicoli: giunto in prossimità del cancello di accesso, arrestava quasi completamente la marcia, suonava il clacson e poi accelerava ripetutamente in folle al fine di forzare il cordone formato dai manifestanti e costringerli a spostarsi. I manifestanti iniziavano a battere con le mani sul frontale della motrice e gli urlavano di fermarsi, ma COGNOME, avanzando lentamente a sobbalzi, sgasando a più riprese e suonando ripetutamente il clacson,
iniziava a curvare verso destra al fine di immettersi in INDIRIZZO mentre altri manifestanti accorrevano e si posizionavano davanti alla motrice. A questo punto, per non essere investiti, i manifestanti si spostavano verso i lati. In particolare, NOME si metteva davanti allo spigolo anteriore destro della motrice, alzando le braccia e continuando a fare segno a COGNOME di fermarsi. In quel mentre, due agenti della Digos, avvedutisi della pericolosità della situazione, si paravano dinanzi alla motrice e uno di loro mostrava il distintivo, intimando l ‘ alt al conducente, il quale, tuttavia, continuava la marcia, costringendo gli stessi agenti a scansarsi a sinistra. Stante l ‘ incessante avanzamento del trattore, i manifestanti si vedevano costretti a spostarsi per evitare di essere investiti e COGNOME assumeva una posizione sbilanciata all ‘ indietro, sino a che, urtato dalla motrice, cadeva a terra. La vittima veniva investita all ‘ altezza delle gambe dalla ruota anteriore destra e, in posizione supina, tentava di mettersi in salvo, trascinandosi indietro a forza di braccia. Mentre tutti i presenti gli urlavano di fermarsi, l ‘ imputato continuava la manovra di svolta e, con le ruote del secondo asse della motrice, schiacciava le gambe della vittima all ‘ altezza delle cosce. A quel punto la vittima si lasciava andare a terra e, nell ‘ ulteriore avanzamento del mezzo, rimaneva incastrata sotto la barra paracicli laterale. Il corpo era trascinato per molti metri fino a rimanere, privo di vita, sull ‘ asfalto.
COGNOME si allontanava dal luogo dell’evento percorrendo la strada provinciale SP 11 in direzione Novara, fino all ‘ intersezione con la strada provinciale SP 12, dove effettuava inversione di marcia, per ritornare verso Brindate e imboccare l ‘ autostrada A4 in direzione Milano. Durante il percorso, telefonava al datore di lavoro e a un amico poliziotto che gli suggeriva di contattare le forze dell ‘ ordine. COGNOME chiamava, quindi, il 112 riferendo di volersi costituire e, giunto al casello di Novara ovest, uscito dall ‘ autostrada, si fermava nel piazzale antistante, ove restava in attesa dell ‘ arrivo dei Carabinieri.
Avverso la sentenza d ‘ appello ha proposto ricorso l ‘ imputato, a mezzo di difensore, formulando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla configurazione della circostanza aggravante di cui all ‘ art. 61 n. 3 cod. pen.
In tesi difensiva, i giudici di merito avrebbero ritenuto sussistente la colpa con previsione valutando la prevedibilità dell ‘ evento in astratto e non già, come sarebbe stato necessario, in concreto. La sentenza impugnata, infatti, confermando le valutazioni compiute dal giudice di primo grado, ha sostenuto che l ‘ imputato aveva messo in conto di investire ‘qualcuno dei manifestanti’, m entre
avrebbe dovuto chiedersi se egli avesse previsto l ‘ evento concretamente verificatosi.
A sostegno di tale doglianza la difesa osserva che, secondo il costante orientamento di legittimità, la colpa con previsione è cosa diversa rispetto alla prevedibilità dell ‘ evento, che l ‘ agente deve avere concretamente previsto, rappresentandosi la possibilità del suo verificarsi, sia pure con la convinzione di riuscire ad evitarlo. Deve dunque sussistere, affinché l ‘ evento possa essere ritenuto previsto, un quid pluris rispetto alla mera prevedibilità, che può dirsi raggiunto solo in presenza di elementi di natura sintomatica, indicativi della previsione dell ‘ evento tipico. Nel caso in esame, gli indici sintomatici valorizzati dalla Corte di appello, a tutto voler concedere, deponevano per la consapevolezza da parte dell ‘ imputato della presenza dei manifestanti e, dunque, per la prevedibilità in astratto della pericolosità della condotta tenuta, ma giammai per la concreta previsione che la manovra di svolta avrebbe potuto determinare l’investimento della vittima. La Corte di appello, dunque, avrebbe dovuto verificare la concreta avvistabilità della vittima e l ‘ immediata percepibilità dell ‘ investimento, ma la motivazione è carente sotto entrambi i profili.
Quanto al primo profilo, il difensore osserva che all ‘ atto della manovra di svolta, COGNOME non aveva alcuna possibilità di avvedersi della presenza di COGNOME e ricorda che la vittima e gli altri manifestanti collocati in corrispondenza dell ‘ angolo anteriore destro della motrice potevano essere visti solo tramite gli specchi laterali, ma, come anche il consulente del PM ha riconosciuto, «un conducente che effettua la manovra di svolta difficilmente presta attenzione agli specchi guardavanti di accostamento» e NOME «aveva troppi elementi da controllare per potere dedicare la necessaria attenzione» a questi specchi «che gli avrebbero consentito di vedere la vittima».
Quanto al secondo profilo, il difensore ricorda che, secondo il consulente del PM, è verosimile che il conducente non si sia reso conto dell ‘ investimento nella fase iniziale, ma solo successivamente. Secondo la difesa, non rileva in senso contrario la telefonata nella quale, parlando col datore di lavoro, COGNOME disse di aver ‘messo sotto un marocchino’. Non è in discussione, infatti, che, dopo l ‘ investimento, guardando negli specchietti retrovisori, il conducente abbia visto il corpo della vittima a terra. È in discussione, invece, che della possibilità di investire la vittima egli si sia accorto mentre la manovra era in corso.
In assenza della concreta avvistabilità della vittima e della immediata percepibilità dell ‘ investimento -sostiene la difesa -gli indici valorizzati dalla Corte territoriale sarebbero indicativi al più della prevedibilità in astratto, ma non già della previsione in concreto dell ‘ evento. La stessa Corte di appello, peraltro, ha riconosciuto che alla produzione dell ‘ evento ha concorso anche la condotta della
vittima. La ritenuta previsione dell ‘ evento -argomenta il difensore -sarebbe in contraddizione con il riconoscimento della valenza concausale della incauta azione di NOME, che, ponendosi in un angolo cieco rispetto alla visuale del mezzo, aveva fonti di rischio tendenzialmente estranee alla sfera di controllo del conducente e da lui non prevedibili ex ante.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all ‘ art. 589 ter cod. pen.
Il difensore censura la motivazione della Corte nella parte in cui ha ritenuto che, ai fini della integra zione dell’ aggravante in esame , sarebbe sufficiente il dato obiettivo dell ‘ allontanamento del conducente dal luogo del sinistro a prescindere dall ‘ intenzione e dalle finalità sottese a tale contegno. Secondo il ricorrente, non è sufficiente la mera constatazione oggettiva dell ‘ allontanamento, occorrendo, piuttosto, verificare se il soggetto agente abbia volontariamente scelto di sottrarsi alle proprie responsabilità. Un regime sanzionatorio del rigore di quello risultante dal combinato disposto degli artt. 589 bis e 589 ter cod. pen., infatti, si giustifica solo in ragione della maggiore riprovevolezza della condotta di chi, dopo aver causato la morte di una persona, si sottrae ai propri doveri di solidarietà sociale, ad essi anteponendo il fine utilitaristico di sfuggire all ‘ identificazione come autore del fatto. La giurisprudenza di legittimità con riferimento al reato di cui all ‘ art. 189, comma 6, CdS ha affermato che il mero allontanamento materiale del conducente non integra il reato, essendo necessaria la consapevole volontà in capo al soggetto agente di sottrarsi agli obblighi di collaborazione per la ricostruzione dell ‘ accaduto. Se, come chiarito dalla Corte di cassazione, una breve sosta non è sufficiente ad escludere l ‘ integrazione del reato qualora non consenta di rendersi conto dell ‘ accaduto e di essere identificati, allora l ‘ elemento dell ‘ intenzione di sottrarsi all ‘ identificazione è imprescindibile per la configurabilità della fattispecie in esame. In tesi difensiva, tale interpretazione si impone anche alla luce di un inquadramento sistematico dell ‘ aggravante di cui all ‘ art. 589 ter cod. pen., posto che, all ‘ atto dell ‘ introduzione di questa circostanza aggravante il codice della strada prevedeva già due figure di reato affini, ovvero quelle previse dall ‘ art. 189, comma 6, e dall ‘ art. 189, comma 7. In questa situazione -sostiene la difesa -l ‘ accentuazione del disvalore deve ricollegarsi ad un giudizio di maggiore rimproverabilità per un comportamento, successivo al fatto, consistito nell ‘ anteporre ad ogni contraria esigenza il fine di sottrarsi alle conseguenze che l ‘ ordinamento associa all ‘ investimento. Anche la Corte costituzionale, del resto, con la sentenza n. 195 del 27 ottobre 2023, ha affermato che la condotta di fuga, essendo dolosa e finalizzata all ‘ impunità, esprime un salto di qualità rispetto al
reato colposo base e un particolare disvalore, manifestando la prevalenza del calcolo egoistico sulla tutela delle persone coinvolte nell ‘ incidente.
Secondo la difesa, nella fattispecie in esame, la circostanza aggravante ex art. 589 ter cod. pen. dovrebbe essere esclusa, atteso che l ‘ imputato, nel non arrestare immediatamente la propria marcia, non era animato dall ‘ intento di procurarsi l ‘ impunità e aveva il solo scopo di sfuggire alla furia dei manifestanti. A sostegno di tali conclusioni, il difensore ricorda che, poco dopo l ‘ investimento (alle 7:47) Spaziano contattò il 112, disse di aver commesso un reato e, quando l ‘ operatore gli chiese cosa fosse successo, rispose: «si è buttato un marocchino sotto, l ‘ ho ammazzato e per paura me ne sono scappato».
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento dell ‘ esimente dello stato di necessità, in relazione alla circostanza aggravante di cui all ‘ art. 589 ter cod. pen. e in relazione al reato di cui all ‘ art. 189, comma 7, CdS.
La Corte di appello, nel negare la configurabilità della causa di giustificazione in esame, ha affermato che era stato l ‘ imputato a dare causa all ‘ ipotizzata situazione di pericolo per la sua integrità fisica. Così argomentando, secondo la difesa, la sentenza impugnata avrebbe trascurato che l ‘ art. 54 cod. pen. esclude l ‘ applicabilità dell ‘ esimente solo nel caso di volontaria produzione della situazione di pericolo e non anche quando tale situazione sia stata causata per colpa, come avvenuto nel caso di specie.
Vero è che, per la sussistenza dell ‘ esimente, il pericolo deve essere non volontariamente causato dal soggetto agente. Tuttavia, nel caso di specie, non v ‘ è dubbio che l ‘ investimento della vittima sia rimasto estraneo a qualsiasi forma di volizione da parte dell ‘ agente, come ritenuto da entrambi i giudici di merito. Quanto alla gravità del pericolo paventato, non può revocarsi in dubbio che COGNOME abbia temuto per la propria incolumità: l ‘ istruttoria ha accertato che i manifestanti avevano tenuto un atteggiamento intimidatorio e prevaricante e fin da subito, parlando a telefono col datore di lavoro e con l ‘ operatore del 112, COGNOME disse di essere scappato per paura.
Secondo la difesa, infine, nel caso di specie sussiste anche il requisito della inevitabilità altrimenti del pericolo. Contrariamente a quanto affermato, nella sentenza impugnata, infatti, prima di porre in essere la manovra di svolta all ‘ esito della quale si era verificato l ‘ investimento della vittima, COGNOME aveva tentato di convincere i manifestanti a lasciarlo passare e se, dopo l ‘ investimento, fosse rimasto seduto nella cabina dell ‘ autoarticolato non avrebbe potuto opporsi alla massa dei manifestanti in modo tale da garantire la propria incolumità. Impraticabile doveva ritenersi anche la richiesta di ausilio al personale Digos in borghese: anche volendo ammettere che (come la sentenza impugnata ha
ritenuto affermando la responsabilità dell ‘ imputato per il reato di cui all ‘ art. 337 cod. pen.) COGNOME si fosse reso conto della presenza degli agenti, mai l ‘ imputato avrebbe potuto chiedere aiuto senza esporsi contestualmente al pericolo di essere assalito dai manifestanti.
Nel corso della discussione orale le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
Il primo motivo, incentrato sulla configurabilità della circostanza aggravante di cui all ‘ art. 61 n. 3 cod. pen., è infondato.
2.1. L ‘ aggravante in esame è integrata dall ‘ avere, nei delitti colposi, agito, nonostante la previsione dell ‘ evento.
Sulla nozione di colpa cosciente si sono soffermate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261104 -01. Nel tracciare il confine tra colpa cosciente e dolo eventuale questa sentenza ha affermato che «ricorre la colpa cosciente quando la volontà dell ‘ agente non è diretta verso l ‘ evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l ‘ evento illecito, si astiene dall ‘ agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo». Elemento connotante la colpa cosciente è, dunque, la controvolontà dell ‘ evento, che invece non è presente nel dolo eventuale, il quale ricorre quando l ‘ agente si sia chiaramente rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell ‘ evento concreto e, ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l ‘ eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l ‘ evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi. La definizione su indicata è stata costantemente ripresa dalla giurisprudenza successiva (Sez. 4, n. 11527 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278674 -01; Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017, COGNOME, Rv. 270776).
Non è, dunque, sufficiente, ai fini della integrazione della circostanza aggravante in esame, la mera prevedibilità dell ‘ evento, che costituisce requisito generale della colpa, ma occorre la prova della sua effettiva previsione, accompagnata dal convincimento che l ‘ evento, in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto, non accadrà. Come è stato osservato, l’atteggiamento psicologico della colpa cosciente «si traduce nel passaggio da una
rappresentazione generica in ordine alla idoneità di un comportamento, come quello tenuto dall ‘ agente, a sfociare in astratto in un reato, ad una previsione concreta, che, per particolari circostanze, quel fatto non si verificherà. Nel quadro di tale impostazione, pertanto, la colpa cosciente è connotata da una previsione astratta che si evolve nel superamento del dubbio e si risolve in una previsione negativa in merito al verificarsi dell ‘ evento, in quanto nella colpa cosciente il verificarsi dell ‘ evento rimane un ‘ ipotesi teorica, che, nella coscienza del soggetto, non viene percepita come suscettibile di effettiva concretizzazione» (Sez. 4, n. 48081 del 11/07/2017, COGNOME, Rv. 271158).
La prova della previsione concreta dell ‘ evento sconta le difficoltà tipiche dell ‘ accertamento di fatti che non sono accadimenti materiali esterni, ma puramente interni e che, in quanto tali, devono essere desunti indirettamente. La ricostruzione dell ‘ atteggiamento psichico del soggetto è procedimento che passa attraverso la considerazione di tutte le circostanze esteriori da cui possa inferirsi l ‘ esistenza di una previsione, sulla base delle comuni regole di esperienza rapportate al caso concreto. Il giudice deve verificare l ‘ esistenza di elementi, per lo più di natura sintomatica e quindi indiziaria, dai quali sia possibile dedurre che l ‘ agente aveva previsto, sia pure genericamente, un evento dannoso del tipo di quello effettivamente provocato ed è quindi tenuto a indicare analiticamente gli elementi sintomatici di tale previsione (Sez. 4, n. 12351 del 15/01/22020, Rv. 278917 -01 in cui, in una fattispecie di omicidio colposo con violazione delle norme sulla sicurezza stradale, determinato dalla fuoriuscita da un autocarro, privo di sponde di contenimento, di una forca metallica per il braccio meccanico di una gru, trasportata senza idoneo ancoraggio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla statuizione concernente l ‘ aggravante di cui all ‘ art. 61, n. 3, cod. pen., che aveva desunto la colpa cosciente esclusivamente dalla pluralità di violazioni del codice della strada e dalle condizioni del mezzo).
2.2 La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra illustrati. La Corte di appello ha indicato gli elementi di fatto idonei a dimostrare che l ‘ imputato si era concretamente rappresentato la possibilità del verificarsi dell ‘ evento dannoso, sia pure con la convinzione di riuscire ad evitarlo. Si è confrontata a tal fine con le censure del ricorrente, reiterate in questa sede, fondate sulle affermazioni del consulente del PM, secondo il quale era verosimile che COGNOME non si fosse reso conto dell ‘ investimento nella fase iniziale (perché, essendo impegnato nella manovra di curva a destra, difficilmente poteva porre attenzione agli specchi guardavanti e retrovisori di destra). La sentenza impugnata ha superato tali censure osservando che il ragionamento difensivo si focalizzava solo sull ‘ ultimo frammento della condotta gravemente imprudente di COGNOME. In positivo, la Corte ha evidenziato una serie di circostanze sintomatiche
della previsione da parte dell ‘ imputato di un evento della specie di quello verificatosi.
Ha osservato, infatti (pagg. 14 e 15):
che, quando l ‘ autoarticolato si era avvicinato al cordone dei manifestanti, questi ultimi, tra cui la vittima, si trovavano a distanza di qualche metro dalla cabina ed erano visibili dal conducente;
che, al progressivo avanzamento del veicolo, i manifestanti si erano posti a destra e a sinistra della motrice e avevano continuato a gridare, a gesticolare e a colpire la cabina per impedire la prosecuzione della marcia, sicché COGNOME, pur avendo perso, avanzando, la visuale completa dell’area di manovra, aveva continuato a percepire la loro presenza;
che NOME aveva il vetro del finestrino lato conducente aperto, sicché non poteva non sentire le urla e i colpi sferrati contro la carrozzeria;
che NOME ha deciso di avanzare lentamente, a singhiozzo, alternando improvvise accelerazioni a brusche frenate e suonando ripetutamente il clacson: in tal modo, ha dimostrato di essere consapevole del concreto e reale rischio di investimento (adottare un ‘ andature pericolosa atta a spaventare i presenti e continuare ad azionare il segnalatore acustico sono condotte coerenti solo con la consapevolezza della presenza a fianco del mezzo di persone);
che NOME al telefono, dopo l ‘ investimento, ha ammesso di essersi accorto di aver «messo sotto un marocchino».
Dal complesso di tali circostanze i giudici hanno desunto che l ‘ imputato era consapevole della presenza accanto alla cabina di diverse persone e, in particolare, di COGNOME, col quale peraltro, pochi minuti prima, aveva interloquito. Hanno ritenuto, quindi, che egli si fosse rappresentato il rischio di investirlo, e, non illogicamente, hanno trovato conferma di ciò nella constatazione che, venti minuti dopo il fatto, al telefono, COGNOME aveva indicato il soggetto investito come ‘marocchino’.
Il percorso motivazionale seguito dai giudici nel dare conto della previsione concreta dell ‘ evento appare coerente con i dati riportati e logico nelle inferenze tratte da tali dati. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, gli elementi indiziari valorizzati dai giudici sono sintomatici non già della prevedibilità in astratto, bensì della previsione effettiva dell ‘ evento e tengono conto della avvistabilità della vittima e della immediata percepibilità dell’investimento . Sotto il primo profilo, la Corte ha spiegato che la consapevolezza della presenza di persone intorno alla cabina e del conseguente rischio di investimento aveva accompagnato tutta la condotta di guida del conducente del mezzo, sicché nessun rilievo poteva avere la circostanza, valorizzata dai consulenti, per cui all ‘ atto della manovra di svolta a destra egli non avesse guardato negli specchietti. Sotto il
secondo profilo, la Corte ha spiegato – con motivazione coerente, scevra da profili di contraddittorietà o manifesta illogicità -che, dalla complessiva ricostruzione della dinamica dell’incidente, emergeva come il conducente si fosse reso conto di avere investito proprio COGNOME col quale aveva interloquito poco prima.
Non v’è contraddizione alcuna nell’aver ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 61 n. 3 cod. pen e, allo stesso tempo, l’attenuante di cui all’art. 589 bis , comma 7, cod. pen. La previsione dell ‘ evento, invero, non è logicamente incompatibile con il riconoscimento della valenza concausale rispetto ad esso della condotta colposa della persona offesa. La Corte territoriale ha ravvisato la concausa «nel permanere della vittima nelle immediate vicinanze della cabina, mentre l ‘ imputato, incurante delle esortazioni ad arrestare la marcia, chiudeva la curva» (pag.17) e non ha affatto affermato, come il ricorrente sostiene, che, ponendosi in un angolo cieco rispetto alla visuale del mezzo, la persona offesa abbia attivato fonti di rischio estranee alla sfera di controllo del conducente e da lui non prevedibili ex ante . A ben vedere, la ricostruzione della condotta della persona offesa come effettuata nel ricorso è stata smentita dall’istruttoria : secondo quanto riportato dallo stesso ricorrente, i consulenti non hanno affermato che il conducente non aveva la possibilità di avvistare la vittima, ma si sono limitati a rilevare che, durante la manovra di svolta, non è usuale guardare gli specchietti.
Alle considerazioni svolte si deve aggiungere che i giudici di merito hanno attribuito un ruolo concausale al comportamento della persona offesa, con ciò implicitamente escludendo che la vittima abbia attivato con la propria condotta un rischio eccentrico rispetto a quello che l’imputato era chiamato a governare. Peraltro, nella materia della circolazione stradale è consolidato il principio secondo il quale l ‘ utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché questo rientri nel limite della prevedibilità ( ex plurimis : Sez.4 n. 24414 del 06/05/2021, COGNOME Rv. 281399; Sez. 4, n. 5691 del 02/02/2016, COGNOME, Rv. 265981; Sez. 4, n. 27513 del 6 10/05/2017, COGNOME, Rv. 269997; Sez. 4, n. 7664 del 06/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272223).
Il secondo motivo, col quale la difesa censura il riconoscimento della fattispecie aggravata di cui all ‘ art. 589 ter cod. pen., è infondato.
3.1. Secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità del delitto previsto dagli artt. 589 bis e ter cod. pen. rileva esclusivamente che, dopo la causazione di un sinistro stradale, il conducente si sia dato alla fuga (Sez.4, n.28785 del 21/04/2023, COGNOME, Rv 284807 pag. 8 della motivazione).
Nella fattispecie aggravata rimane assorbito il solo reato di cui al comma 6 dell ‘ art. 189 cod. strada, secondo il paradigma del reato complesso di cui all ‘ art. 84 cod. pen., mentre il reato di mancata assistenza di cui al comma 7 dell ‘ art. 189
cod. strada, laddove ravvisabile, concorre con essa (in tal senso Sez. 4, n. 25842 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 276369 -01).
A proposito della fattispecie autonoma di cui all ‘ art. 189, comma 6, CdS questa Corte di legittimità ha precisato che l ‘ elemento materiale del reato omissivo, usualmente indicato come fuga, «consiste nell ‘ allontanarsi dal luogo dell ‘ investimento, così da impedire o anche solo da ostacolare l ‘ accertamento della propria identità personale, l ‘ individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione delle modalità dell ‘ incidente» (Sez. 4, n. 8431 del 09/12/2021, non mass.) Quanto all ‘ elemento soggettivo, il dolo richiesto «deve investire essenzialmente l ‘ inosservanza dell ‘ obbligo di fermarsi in relazione all ‘ evento dell ‘ incidente concretamente idoneo a produrre ripercussioni lesive alle persone» (Sez. 4 n. 34335 del 3/6/2009, Rizzante, Rv. 245354 -01; Sez. 4, n. 26012 del 15/02/2023 non mass.).
Nel solco del consolidato indirizzo di legittimità, maturato con riferimento al reato previsto dall ‘ art. 189, comma 6, CdS (Sez. 4, n. 42308 del 07/06/2017, COGNOME, Rv. 270885-01; conf. Sez. 4, n. 9128 del 02/02/2012, COGNOME, Rv. 252734-01), questa Corte ha precisato che integra il delitto di omicidio stradale aggravato ai sensi dell ‘ art. 589 ter cod. pen. la condotta del soggetto che, coinvolto in un sinistro con danni alle persone, effettui soltanto una sosta momentanea sul luogo in cui lo stesso si è verificato (Sez. 4, n. 28785 del 21/04/2023, COGNOME, cit.).
3.2. Ciò premesso, alla censura già formulata con l ‘ impugnazione della sentenza di primo grado e reiterata in questa sede, secondo cui la fattispecie in esame richiederebbe, sul piano soggettivo, l ‘ intento del soggetto agente di eludere le investigazioni e sottrarsi alle responsabilità, nel rispetto dei principi indicati, la sentenza impugnata ha replicato che, ai fini del delitto in esame, rileva la sola condotta di fuga dopo la causazione di un sinistro, restando irrilevanti i motivi che l ‘ hanno determinata. Nel caso di specie peraltro, -osserva la Corte di appello -la fuga di COGNOME non è revocabile in dubbio: egli, avvedutosi attraverso lo specchietto retrovisore della presenza di un corpo sul sedime stradale, ha progressivamente aumentato la velocità, si è dileguato e ha chiamato le forze dell ‘ ordine, a distanza di 22 minuti dall ‘ omicidio, dopo aver percorso molti chilometri e dopo essersi consultato con il datore di lavoro e con un amico poliziotto.
A tale percorso argomentativo, il ricorrente contrappone la mancata valutazione da parte dei giudici di merito dell ‘ elemento soggettivo del reato, inteso quale consapevolezza da parte del soggetto agente delle conseguenze della propria condotta e volontà di sottrarsi alle proprie responsabilità.
Nello spiegare il senso di tale deduzione, il difensore del ricorrente riconosce che la circostanza aggravante di cui all’art. 589 ter cod. pen. «prescinde dalle motivazioni soggettive che hanno determinato l ‘ ipotizzata fuga, siano esse riconducibili al panico, al timore delle conseguenze penali o ad altre ragioni personali»; precisa, tuttavia, che tale principio non può essere «estremizzato al punto da ritenere, come fanno i giudici di secondo grado, che il mero dato obiettivo del mancato arresto sia sufficiente ad integrare la fattispecie di cui all ‘ art. 589 ter cod. pen. » e sostiene che, per ritenere integrata l’aggravante, è necessario che il soggetto attivo «percepisca in modo cosciente, il vantaggio derivante dall ‘ allontanamento». Anche il ricorrente, dunque, ritiene che, a fronte della percezione di un incidente, perché si configuri il reato complesso di cui agli artt. 589 bis e ter cod. pen. è necessaria la coscienza e volontà della fuga. Sostiene, però che tale coscienza e volontà non sarebbe sufficiente a ritenere sussistente l’elemento psicologico del reato , essendo necessario provare anche la finalità perseguita dall’agente, volta ad eludere le investigazioni e a sottrarsi all’identificazione. Così argomentando, la difesa sembra porre sullo stesso piano la ratio dell’incriminazione e gli elementi costitutivi del fatto. Una distinzione che non è stata certo dimenticata dalla Corte costituzionale quando ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla pena prevista dall’art. 590 ter cod. pen. Ed invero, nella sentenza n. 195 del 27 ottobre 2023 i giudici della Consulta hanno sottolineato che la fuga esprime, nella sua oggettività, la «cosciente determinazione di non volersi assumere la responsabilità dei propri comportamenti». Il conducente che fugge -osserva infatti la Corte – «decide scientemente di fare prevalere su tutto la propria impunità a scapito dell ‘ interesse immediato delle persone coinvolte nell ‘ incidente».
Il terzo motivo, con cui si censura il mancato riconoscimento dell ‘ esimente dello stato di necessità sia con riferimento alla circostanza aggravante di cui all ‘ art. 589 ter cod. pen., sia con riferimento al reato di cui all ‘ art. 189, comma 7, CdS, è infondato.
4.1. Nel rigettare l’analoga doglianza formulata in sede di gravame, la Corte di appello ha, in primo luogo, richiamato il principio secondo cui, in tema di stato di necessità, il pericolo attuale di un danno grave alla persona non deve essere stato causato volontariamente o colposamente dal soggetto che compie l ‘ intervento necessitato e deve altresì essere indipendente dalla sua volontà. La sentenza impugnata sostiene che, nel caso in esame, anche ammesso che la situazione di pericolo supposta dall ‘ imputato sussistesse effettivamente, tale condizione era stata determinata volontariamente da COGNOME che aveva esacerbato i manifestanti, forzando il cordone con la minaccia di investirli.
La Corte di appello ha rilevato, poi, che, nel caso oggetto del presente procedimento, difetta il presupposto della inevitabilità altrimenti del pericolo, in quanto NOME avrebbe potuto sfuggire all ‘ aggressione chiudendosi all ‘ interno della cabina, ovvero chiedendo l ‘ intervento a protezione del personale della Digos presente in loco .
4.2. La decisione adottata non si presta a censure, ma alcune precisazioni appaiono necessarie.
Il tema della configurabilità dello stato di necessità deve essere affrontato in maniera distinta per le due situazioni rispetto alle quali la scriminante è stata invocata: la circostanza aggravante di cui all’art. 589 ter cod. pen. e il reato di cui all’art. 189, comma 7, cod. strada.
4.2.1. Con riferimento alla prima ipotesi, la questione della astratta applicabilità della esimente non risulta essere stata esplorata dalla giurisprudenza di legittimità, se non in una isolata pronuncia (Sez. 4 n. 72 del 14/09/2023, non mass.) nella quale si afferma che, in dottrina, «la corrente opinione è nel senso che le cause di giustificazione si riferiscono al reato nella sua interezza e non ad una sua qualche componente».
Ritiene il Collegio che questo principio debba essere confermato, e meglio precisato, tenendo conto del fatto che, come questa Corte di legittimità, ha avuto modo di affermare, il combinato disposto degli artt. 589 bis e ter cod. pen. configura un reato complesso nel quale, secondo il modello descritto dall’art. 84 cod. pen., un fatto, già previsto dall ‘ ordinamento come reato (la fuga, punita dall ‘ art. 189, comma 6, CdS) diventa elemento circostanziale di un altro reato (l ‘ omicidio stradale) (Sez. 4, n. 25842 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 276369; nello stesso senso Sez. 4 n. 72 del 14/09/2023, cit).
Il reato complesso, composto da altro reato come elemento costitutivo o come circostanza aggravante, dà luogo ad una fattispecie di reato nuova e unitaria che sottostà alla disciplina del reato unico e non a quella della pluralità dei reati. Secondo la dottrina, ciò trova conferma nell ‘ art. 170, comma 2, cod. pen. in base al quale «la causa estintiva di un reato che è elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato complesso non si estende al reato complesso». Questa disciplina unitaria incontra due sole deroghe espresse: nell’art. 84, comma 2, cod. pen., in base al quale «qualora la legge, nella determinazione della pena per il reato complesso, si riferisca alle pene stabilite per i singoli reati che lo costituiscono, non possono essere superati i limiti massimi indicati negli articoli 78 e 79 » e nell’art. 131 cod. pen. in base al quale «Nei casi preveduti dall’articolo 84, per il reato complesso si procede sempre d’ufficio, se per taluno dei reati, che ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti, si deve procedere d’ufficio».
Muovendo da queste premesse concettuali, si deve concludere che le cause di giustificazione sono applicabili al reato complesso solo quando si riferiscono al reato nella sua interezza, non potendo essere valutate con riferimento ai reati che lo compongono. Ne consegue che la causa di giustificazione invocata dalla difesa potrebbe essere applicata al reato complesso di cui agli artt. 589 bis e 589 ter cod. pen . solo se fosse riferibile al reato risultante dal combinato disposto delle due norme e non con esclusivo riferimento alla aggravante della fuga come richiesto dalla difesa.
4.2.2. La causa di giustificazione prevista dall’art. 54 cod. pen è, invece, astrattamente applicabile al reato di cui all’art. 18 9, comma 7, cod. strada, in relazione al quale, dunque, occorre verificare in concreto se di tale scriminante sussistano i presupposti applicativi.
Come noto, ai sensi dell’art. 54 cod. pen., «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o ad altri da un pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo».
La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che, ai fini dell’applicazione della scriminante in parola, il pericolo non deve essere stato causato volontariamente o colposamente dal soggetto che compie l ‘ intervento necessitato e deve, altresì, essere indipendente dalla sua volontà . L’applicazione della scriminante deve pertanto essere esclusa quando, come nel caso di specie, la situazione di
pericolo per l’integrità fisica dell’imputato sia derivata da una sua azione volontaria e consapevole.
Con riferimento al requisito della ‘inevitabilità del pericolo’ , si è affermato che l ‘ operato delittuoso, per essere giustificato, deve incidere in una situazione di pericolo non ovviabile con mezzi leciti (in tal senso Sez. 3. n. 12253 del 30/06/1987, Iudicello, Rv. 177169 – 01).
Si è chiarito, inoltre, che grava sull’imputato l’onere di allegare tutti gli elementi costitutivi della causa di giustificazione e l’operatività dell’esimente è esclusa se egli non allega «di avere agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile, e di non avere potuto sottrarsi, nemmeno putativamente, al pericolo minacciato» (Sez. 1, n. 12619 del 24/01/2019, COGNOME, Rv. 276173 -02; nello stesso senso, Sez. 6, n. 45065 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260839 – 01).
Di tali principi la Corte di appello ha fatto corretta applicazione nel caso concreto. La sentenza impugnata ha spiegato, infatti, che era stato Spaziano a esacerbare gli animi dei presenti, forzando il blocco e minacciando di investirli, e creando così le premesse di una possibile reazione violenta al momento dell’incidente. L a sentenza contiene una analitica descrizione della condotta dell ‘ imputato (consistita nell ‘ imboccare contromano la corsia dedicata all ‘ entrata dei mezzi, nel proseguire la marcia nonostante le urla dei manifestanti, i colpi inferiti sulla cabina, l ‘ alt intimato dagli agenti della Digos, previamente qualificatisi), culminata nella manovra di svolta a destra che aveva determinato l ‘ investimento di COGNOME.
Il ricorrente obietta che l ‘ investimento della vittima è rimasto estraneo a qualsiasi forma di volizione da parte dell ‘ agente, ma non considera che la Corte di appello, con motivazione non illogica e non contraddittoria, ha desunto la volontaria causazione del pericolo dalla condotta che ha preceduto l’omicidio , rappresentata dallo ‘sfondamento’ del picchetto.
Infine, nessun profilo di contraddittorietà o manifesta illogicità può essere ravvisato nella motivazione con la quale la Corte ha escluso che il pericolo fosse evitabile soltanto con la fuga. A questo proposito, la sentenza impugnata ha sottolineato che COGNOME avrebbe potuto chiedere aiuto al personale della Polizia di Stato presente sul posto, che si era qualificato mostrandogli il tesserino e che egli poteva rimanere chiuso nella cabina guida dell’autoarticolato per un tempo non breve e in condizioni di sicurezza.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24 giugno 2025