Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12516 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12516 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PATTI il 23/01/1978
avverso la sentenza del 16/09/2024 della CORTE d’APPELLO di MESSINA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 16/9/2024, la Corte di appello di Messina confermò la sentenza del Tribunale di Messina in data 22/1/2024, che aveva ritenuto NOME NOME non punibile per la particolare tenuità del fatto in relazione al reato di cui all’art. 2 comma 1 bis d.l. 463/1983 contestato in relazione all’ omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulla retribuzione dei lavoratori dipendenti per il periodo dicembre 2017- novembre 2018.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, che con unico motivo, deduce la violazione del d.l. n. 8/2016. Si assume, in estrema sintesi, che l’imputata, a seguito della diffida,
aveva provveduto al pagamento di C 4025,00 per cui il debito rimasto insoluto, pari a C 9830,00, risultando inferiore alla soglia di rilevanza penale, non po integrare il delitto ritenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Il chiaro dato letterale non lascia spazio a dubbi interpretativi, risultan causa di non punibilità invocata integrata dal pagamento dell’importo dovuto non da versamenti parziali in grado di ridurre l’ammontare delle ritenute n versate sotto la soglia di punibilità.
L’art. 2 comma 1 bis, ultimo periodo, della legge 638/83, infatti, prevede “u causa di non punibilità per effetto di una condotta successiva in certa mis ripristinatoria del danno subito dall’ente pubblico, che la norma intende favori (Sez. U., n. 1855 del 24/11/2011, (dep. 2012), Sodde). La condotta integrante causa di non punibilità, quindi, interviene dopo che il reato è giun consumazione e si concretizza nel pagamento integrale del debito rimasto insoluto.
Tale aspetto, caratterizzante la causa di non punibilità, non viene colto d ricorrente che richiama giurisprudenza relativa ai pagamenti parziali interven nell’anno di riferimento che, incidendo sull’ammontare del debito accumulato, impedirebbero, almeno secondo il risultato interpretativo cui perviene il ricorso stessa integrazione del reato.
Va detto che, per effetto della novella legislativa del 2016, il reato pre dall’art. 2, comma primo bis, D.L. 12 settembre 1983 n. 463, conv. in I. novembre 1983, n. 638, di omesso versamento delle ritenute di importo superiore ai 10.000 euro, operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ha struttura unitaria e la condotta può configurarsi anche attraverso una pluralit omissioni, compiute nel periodo annuale di riferimento, che possono di per s anche non costituire reato; ne consegue che la consumazione del delitto pu essere istantanea o di durata e, in quest’ultimo caso, ad effetto prolungato si termine dell’anno in contestazione (Sez. 3, n. 9196 del 9/1/2014, COGNOME; Sez n. 35589 del 11/05/2016, Rv. 268115 – 01).
E’, quindi, discutibile il risultato interpretativo cui perviene la ricorrente. caso, anche a voler accedere all’esegesi della ricorrente, il ricorso non superer la soglia di ammissibilità. La stessa allegazione difensiva, infatti, rivela pagamenti parziali non sarebbero intervenuti nell’anno di riferimento m successivamente, a seguito della diffida ricevuta dall’imputata. L’integrazione de causa di non punibilità imponeva, quindi, il pagamento integrale delle ritenute n versate.
Inconferente, infine, risulta il richiamo alla novella del 2023 (art. 23 di. 48/2023) che ha riguardato solo l’ammontare della sanzione amministrativa applicata per l’omesso versamento delle ritenute il cui importo non superi la soglia di rilevanza penale.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché- ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/2/2025