Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7028 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7028 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME COGNOME nato a Ravenna il 02/09/1970, avverso la sentenza in data 26/09/2023 della Corte di appello di Bologna,
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
letta per l’imputato la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accogli mento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 26 settembre 2023 la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza in data 13 gennaio 2022 del Tribunale di Forlì che aveva condannato l’imputato alle pene di legge per il reato dell’art. 2, comma 1-bis, di. n. 463 del 1983, per omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori.
Il ricorrente lamenta il vizio di motivazione perché i Giudici di merito non avevano tenuto conto della sua buona fede, essendo egli convinto che anche il
debito previdenziale rientrava nel piano di rateizzazione che la RAGIONE_SOCIALE di cui era legale rappresentante, aveva proposto all’Erario. Espone che la cartella relativa ai contributi INPS era stata oggetto di due rateizzazioni e che non era chiara l’eventuale somma residua da pagare e se questa superasse la soglia. Dopo la ricostruzione dei complessi rapporti con l’Agenzia delle Entrate Riscossione, precisa che aveva lasciato trascorrere i tre mesi successivi alla notifica dell’accertamento della violazione, oggetto del capo d’imputazione, senza provvedere ad alcun pagamento, proprio perché convinto che fosse ricompreso nell’ambito della rateizzazione. Richiama la comunicazione del 16 maggio 2018, prot. n. 98295 e ribadisce di aver regolarmente adempiuto i pagamenti anche durante il periodo del Covid. Espone, più in dettaglio, che in data 6 marzo 2018 l’Agenzia delle Entrate Riscossione aveva notificato un’intimazione di pagamento con cui aveva preteso la somma di euro 133.665,76. Verificato in contraddittorio che l’Ufficio aveva omesso di considerare una serie di pagamenti, aveva chiesto una nuova rateizzazione. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate Riscossione aveva chiesto il pignoramento della diversa somma di euro 203.134,42. Dopo ulteriori contestazioni, in data 7 maggio 2018, l’Agenzia delle Entrate Riscossione aveva chiesto il pignoramento della somma di euro 156.716,51. Contestato anche tale pignoramento e chiesti chiarimenti, l’impiegato, che non era stato in grado di verificare quanto già pagato, aveva suggerito di procedere al pagamento delle rate arretrate così come risultante dal piano di ammortamento, al netto delle rate che il contribuente riteneva di aver pagato. In nessuno dei pignoramenti era presente la cartella INPS oggetto del presente procedimento. L’8 maggio 2018 aveva provveduto a due pagamenti, a saldo delle rate scadute della rateizzazione prot. n. 89896 del 26/09/2016 e prot. n. 85730 del 18/01/2016 per essere riammesso alla rateizzazione. Nei giorni successivi, il professionista incaricato di seguire la procedura aveva presentato tre istanze di rateizzazione, una per le nuove cartelle e due per i vecchi piani di rateizzazione. L’Ufficio non aveva mai indicato l’esatto ammontare dovuto, comprensivo di interessi, per riaprire le rateizzazioni che la stessa Agenzia delle Entrate Riscossione aveva ritenuto decadute. Aveva effettuato un pignoramento mobiliare con accesso e un pignoramento presso terzi, cagionando un grave nocumento anche di immagine alla società. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Insiste sulla circostanza che il mancato versamento delle ritenute previdenziali per l’anno 2017 era stato contabilizzato nella cartella n. NUMERO_DOCUMENTO Era stato pagato in modo parziale tramite la rateizzazione anteriore al 2018, come confermato dalla stessa funzionaria dell’INPS, che aveva dichiarato che a fine 2017 era stata presentata una domanda di rateizzazione del pagamento dei contributi, era stata pagata un’unica rata 1’11 giugno 2018 e l’omissione si era ridotta a 9.790,47 euro. Il pagamento era stato eseguito in data anteriore al pagamento della rata di giugno 2018 ammesso dall’INPS, alla notifica
dell’accertamento della violazione avvenuto solo in data 8 agosto 2018 e all’inizio del decorso del periodo di tre mesi previsto dall’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983, conv. con modifiche nella I. n. 638 del 1983, secondo la nuova formulazione dell’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 8 del 2016, decorrente dalla data della contestazione o della notifica dell’avvenuto accertamento della violazione che prevedeva la non punibilità per il datore di lavoro che si adoperava al pagamento delle somme dovute e non versate. In altri termini, al momento della contestazione della violazione, oggetto del capo d’imputazione, stava già provvedendo al pagamento di tale somma e, in seguito all’erroneo e illegittimo annullamento da parte dell’Agenzia del precedente piano di rientro rateizzato, aveva già formulato una nuova richiesta di regolarizzazione e di pagamento. Inoltre, in entrambi i pignoramenti non era stata riportata la cartella INPS nonostante la richiesta di rateizzazione fosse stata già presentata dalla fine del 2017. La cartella in questione, già oggetto di un’istanza di rateizzazione del 2017, era poi confluita nella nuova istanza di rateizzazione di cui al prot. n. 98295 del maggio 2018. Al momento dell’accertamento nell’agosto 2018 e della successiva denuncia, la società era incorsa in errore ritenendo che la richiesta fosse stato il frutto di un errore da parte dell’INPS, perciò aveva fatto passare i tre mesi senza pagare perché riteneva che il pagamento fosse in corso, non vi era certezza sul superamento della soglia, non vi era la prova del dolo, bensì era emerso l’errore di fatto. Richiama il piano di rateizzazione prot. n. 98295 del 16 maggio 2018 e ribadisce che i pagamenti erano stati effettuati nel pieno rispetto del piano di rateizzazione e non si erano interrotti neanche nel periodo del Covid.
Nella memoria il difensore insiste nell’accoglimento del ricorso essendovi stato un errore di fatto
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è nel complesso infondato.
I Giudici di merito hanno verificato, all’esito dell’istruttoria, che l’imputato, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e di datore di lavoro, aveva omesso di versare nel 2017 le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti per l’importo di euro 36.986,38. Il ricorrente non ha contestato il fatto ma ha reiterato la censura dell’errore sul fatto incidente sulla sussistenza del dolo perché aveva erroneamente ritenuto che il debito previdenziale fosse oggetto di una transazione con l’Erario, per cui non aveva pagato nei tre mesi dalla notifica dell’accertamento. La Corte di appello ha ben spiegato che i debiti oggetto della rateizzazione risalivano a un’epoca anteriore al 2017, per cui giammai l’omissione contributiva relativa al 2017 rientrava in quella rateizzazione, e ha ulteriormente considerato che in ogni caso l’imputato e i suoi
professionisti erano dotati di specifiche competenze nel settore che escludevano l’errore. La ricostruzione alternativa dei fatti proposta dal ricorrente non vale a sovvertire tale conclusione. E’ certo che i contributi non siano stati versati neanche dopo i tre mesi dopo la notifica dell’accertamento per cui, sotto diverso profilo, non è configurabile neanche l’errore di diritto sulla causa di non punibilità prevista dall’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983, conv. con modifiche nella I. n. 638 del 1983, secondo la nuova formulazione dell’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 8 del 2016, decorrente dalla data della contestazione o della notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso, il 22 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente