Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17258 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17258 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
e), cod. proc. pen., inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale ovvero per mancanza e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione evincibile dal testo della sentenza impugnata e dalla lettura della documentazione in atti.
In sintesi, lamenta la difesa che la sentenza impugnata non chiariva se la responsabilità attribuita al ricorrente dovesse ricondursi ad un comportamento omissivo, consistente nell’inadempimento di un suo obbligo giuridico di impedire l’evento, o se, invece, dovesse ricondursi ad un comportamento commissivo (pur se connotato da dolo omissivo), consistente nel non aver provveduto al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali in quanto destinatario diretto del precetto di cui all’art. 2 d.l. n. 463 del 1983; nØ la sentenza impugnata teneva conto, nella ricostruzione dei fatti, di tutte le risultanze degli atti processuali.
Nel caso di concorso per omissione, ai sensi degli artt. 110 e 40 cod. pen., nel fatto commesso dall’amministratore delegato, lamenta la difesa il verificarsi di una trasformazione essenziale del fatto addebitato, poichØ il capo di imputazione gli attribuiva la commissione del reato ‘uti singulus’ e la sentenza avrebbe invece attribuito una responsabilità come concorrente per omissione nel fatto commesso dall’amministratore delegato, con conseguente violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
In ogni caso, sul presupposto che il concorso omissivo, ai sensi degli artt. 110 e 40, comma 2, cod. pen., per violazione del dovere di agire informato, sarebbe configurabile solo nella misura in cui il suo omesso intervento avesse avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte del consigliere munito di delega, lamenta la difesa che la Corte di appello aveva omesso di considerare che: a) il riscadenziamento delle date previste per il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali era previsto dai piani di ristrutturazione economica e finanziaria ex art. 67 L.F. concordati con gli Istituti di credito; b) alla data del 07/09/2016, di sottoscrizione della richiesta di rateizzazione ai sensi dell’art. 19 d.P.R. n. 602/1973, il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti relativo all’annualità 2016 era già stato commesso, dal momento che il superamento della soglia di punibilità
di 10.000,00 euro era già avvenuto il 16/02/2016, data di scadenza del versamento delle ritenute relative alla mensilità di gennaio 2016; c) all’epoca dei fatti oggetto di contestazione, la società aveva appena concluso (novembre 2016) il terzo accordo ex art. 67 L.F. per il periodo 2016-2018, la società stava rispettando gli obiettivi previsti dal suddetto accordo finanziario ed aveva un ingente quantitativo di crediti da smobilizzare, con un portafoglio ordini che superava i 2.000.000,00 di euro, e doveva ancora iniziare a decorrere il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione (avvenuta il 12/10/2017), beneficiando della relativa causa di non punibilità, come pure era ancora possibile fare richiesta di accesso alla rateizzazione ex art. 19 d.P.R. n. 602/1973.
2.3 Con il terzo motivo, deduce insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale ovvero per mancanza e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione evincibile dal testo della sentenza impugnata e dalla lettura della documentazione in atti.
Deduce la difesa che il dovere di intervenire non poteva tradursi in un generico e generalizzato obbligo di vigilanza sull’andamento della gestione societaria, senza che emerga la prova della effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o di segnali di allarme inequivocabili e della volontà di non attivarsi per scongiurare l’evento. E nell’accertamento della responsabilità del ricorrente non si era tenuto conto dei seguenti elementi: a) per fronteggiare la grave crisi finanziaria l’imputato aveva fatto ricorso a misure pregiudizievoli per il proprio patrimonio personale, versando nelle casse della società a titolo di finanziamento socio infruttifero, prestando garanzie personali per 10,5 milioni di euro, rinunciando al compenso di amministratore della società; b) il riscadenziamento delle date previste per il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali era previsto dai piani di ristrutturazione economica e finanziaria ex art. 67 L.F. concordati con gli Istituti di credito; c) alla data del 07/09/2016, di sottoscrizione della richiesta di rateizzazione ai sensi dell’art. 19 d.P.R. n. 602/1973, il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti relativo all’annualità 2016 era già stato commesso; d) all’epoca dei fatti la società aveva appena concluso (novembre 2016) il terzo accordo ex art. 67 L.F. per il periodo 2016-2018, la società stava rispettando gli obiettivi previsti dal suddetto accordo finanziario ed aveva un ingente quantitativo di crediti da smobilizzare, con un portafoglio ordini che superava i 2.000.000,00 di euro; e) il ricorrente non aveva qualifiche particolari e doveva ancora iniziare a decorrere il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione (ricevuta il 12/10/2017). Deduce, inoltre, che l’ammissione alla rateazione aveva ingenerato, in capo all’imputato, il ragionevole convincimento che lo stesso rappresentasse anche una causa di anticipata esclusione della punibilità, rilevante ex art. 59, comma 4, cod. pen. e che, ove non si possa provare il coefficiente psichico del dolo eventuale, il giudice di merito Ł tenuto a propendere per la colpa cosciente.
2.4 Con il quarto motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., mancanza e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione nella quantificazione della pena, tenuto conto delle circostanze e modalità del tutto straordinarie e imprevedibili e in presenza di un grado di adesione psicologica dell’imputato assolutamente esiguo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
La giurisprudenza di legittimità Ł ferma, infatti, nel ritenere che soggetto attivo del rapporto
previdenziale Ł solo ed esclusivamente il datore di lavoro il quale, anche quando delega ad altri il versamento delle ritenute, conserva l’obbligo di vigilare sull’adempimento dell’obbligazione da parte del terzo (Sez. 3, n. 31327 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 276277; Sez. 3, n. 39072 del 18/07/2017, COGNOME, Rv. 271472, Sez. 3, n. 34619 del 23/06/2010, COGNOME, Rv. 248332; Sez. 3, n. 5416 del 07/11/2002, Soriano, Rv. 223372; Sez. 3, n. 33141 del 10/04/2002, COGNOME, Rv. 222252).
Nel caso di specie risulta indiscussa la qualità del ricorrente di presidente del consiglio di amministrazione, e, quindi, di “datore di lavoro”, in quanto soggetto titolare del potere di gestione e di rappresentanza della società (Sez. 3, n. 4965 del 16/10/2018, dep. 2019, COGNOME, non mass.).
Il secondo e il terzo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente perchØ incentrati sulla insussistenza degli elementi costitutivi del reato, sono manifestamente infondati.
2.1 Deve essere ribadito, in proposito, l’orientamento di questa Corte secondo il quale il reato di omesso o intempestivo versamento di ritenute previdenziali e assistenziali non richiede il dolo specifico, esaurendosi con la coscienza e la volontà della omissione o della tardività del versamento delle ritenute: Ł sufficiente, pertanto, il dolo generico e questo non viene meno per il fatto che il datore di lavoro abbia demandato l’incarico di provvedere a terzi, anche professionisti in materia, o, come nel caso in esame, in cui sia intervenuta una delega in favore di un componente del consiglio di amministrazione di una società per azioni, perchØ obbligato al versamento Ł, in ogni caso, il titolare del rapporto di lavoro, da individuarsi, in quest’ultimo caso, nel presidente del consiglio di amministrazione, il quale deve vigilare che il terzo adempia l’obbligazione di cui egli Ł l’esclusivo destinatario (Sez. 3, n. 33141 del 10/04/2002, Nobili, cit.; Sez. 3, n. 7044 del 06/04/1987, COGNOME, Rv. 176098).
Pertanto, il ricorrente, quale presidente del consiglio di amministrazione e, perciò, legale rappresentante della società per azioni, era il destinatario diretto del precetto di cui all’art. 2 d.l. n. 463 del 1983, tanto che la contestazione dell’avvenuta violazione, con invito a regolarizzare mediante versamento delle somme dovute, ai fini della esclusione della punibilità, era stata effettuata con raccomandata, spedita all’indirizzo di residenza dell’imputato e da questi ricevuta il 12/10/2017.
2.2 NØ può sostenersi, come fa il ricorrente, la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, per aver la sentenza di secondo grado attribuito al ricorrente una responsabilità come concorrente per omissione nel fatto commesso dall’amministratore delegato a fronte di una contestazione che attribuiva al ricorrente medesimo la commissione del reato come destinatario del precetto normativo.
Deve essere, infatti, richiamato il consolidato orientamento di legittimità, affermato in tema di bancarotta fraudolenta, secondo cui «non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto non si determina un’apprezzabile modifica del titolo di responsabilità, la decisione con cui, in applicazione dell’art. 40, secondo comma, cod. pen., l’imputato sia condannato per il reato di bancarotta fraudolenta per essere rimasto colpevolmente inerte di fronte alla condotta illecita dell’amministratore di fatto, anzichØ per la condotta assunta direttamente in veste di amministratore formale, purchØ rimanga immutata l’azione distrattiva, nei suoi profili soggettivi e oggettivi» (Sez. 5, n. 19182 del 31/01/2022, COGNOME, Rv. 283136; Sez. 5, n. 25342 dell’11/04/2012, COGNOME, Rv. 252991; Sez. 5, n. 39329 del 20/09/2007, COGNOME, Rv. 238210).
E, nel caso in esame, Ł evidente come sia rimasta immutata la contestazione del mancato versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per l’anno 2016 nei confronti del ricorrente, considerato quale datore di lavoro, poichØ presidente del Consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE
2.3 NØ, ancora, può sostenersi che il ricorrente non fosse a conoscenza della situazione di
inadempienza della società e che la sua condotta non avesse avuto incidenza causale sulla commissione del reato, dal momento che i giudici di merito hanno messo in evidenza la consapevolezza, in capo all’imputato, del mancato versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, da parte della società, a far data dall’annualità 2013 fino al 2016, senza soluzione di continuità, alla luce degli avvisi di pagamento inviati dall’INPS alla società, versati in atti, rispetto ai quali la società aveva ripetutamente richiesto di provvedere al rientro dai debiti tributari, mediante rateizzazione, da ultimo con istanza sottoscritta dallo stesso imputato in data 07/09/2016 riguardante, per quel che qui interessa, i contributi dovuti per i primi cinque mesi dell’anno 2016, contestati nel capo di accusa. Di qui l’affermazione della Corte territoriale, nella quale non si ravvisano cedimenti logici, secondo cui il ricorrente era consapevole della inadempienza della società ai pagamenti dovuti ex art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983 e come tale inadempienza fosse il frutto di una decisione condivisa dell’intero consiglio di amministrazione.
Non Ł argomento dirimente neppure affermare che, alla data del 07/09/2016, il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali relativo all’annualità 2016 fosse già stato commesso, essendo avvenuto il superamento della soglia di punibilità di 10.000,00 euro il 16/02/2016, data di scadenza del versamento delle ritenute relative alla mensilità di gennaio 2016. A ben vedere, il predetto argomento trascura di considerare che la Corte territoriale, nel richiamare gli avvisi di pagamento e le richieste di rateizzazione degli anni anteriori al 2016, àncora la conoscenza ad epoca precedente al 07/09/2016 e che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, previsto dall’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983, (modificato dall’art. 3, comma sesto, del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, che ha introdotto la soglia di punibilità di euro 10.000 annui), si configura come una fattispecie connotata da una progressione criminosa nel cui ambito, superato il limite di legge, le ulteriori omissioni consumate nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione coincide con la scadenza del termine previsto per il versamento dell’ultima mensilità, ovvero, con la data del 16 gennaio dell’anno successivo (Sez. 3, n. 9196 del 09/01/2024, COGNOME, Rv. 286019). E, nel caso in esame, l’omesso versamento riguardò anche mensilità successive al 07/09/2016, avuto riguardo a quanto affermato al punto 2. della parte motiva della sentenza di primo grado, dove gli omessi versamenti vengono ricondotti al periodo intercorrente tra dicembre 2015 e novembre 2016.
2.4 Quanto, poi, alla questione della rilevanza dello stato di illiquidità aziendale e dei piani di rateizzazione del debito tributario, il tema Ł stato parimenti affrontato dai giudici di merito, che, correttamente, hanno richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali Ł a dolo generico, ed Ł integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento di altri debiti, e di posporre il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017, Rv. 271189). Trattasi di principio piø volte riaffermato da questa Corte che ha ribadito che, con riferimento al reato di omesso versamento delle relative ritenute previdenziali ed assistenziali, lo stato di insolvenza non libera il sostituto, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute all’INPS, così come adempie a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono parte (Sez. 3, n. 9196 del 09/01/2024, Puleri, cit.; Sez. 4, n. 48539 del 6/12/2023, non mass.). Nel caso di specie, la Corte di merito ha precisato, inoltre, come la decisione di omettere il pagamento dei ratei fu assunta nel gennaio del 2017, in epoca precedente sia al momento in cui le banche ridussero le linee di credito (fine luglio 2017), fino
a revocarle (fine novembre 2017), sia al momento in cui la società accedette alla procedura di concordato preventivo (maggio 2019).
Il quarto motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio Ł manifestamente infondato, tenuto conto della assoluta genericità del motivo di appello sul punto (era stata contestata la quantificazione della pena perchØ assolutamente eccessiva) e della non necessarietà di una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288), situazione del tutto rispettata, nel caso di specie, quanto alla pena detentiva: il giudice di primo grado, infatti, muovendo da una pena base di un anno di reclusione e 1.000,00 euro di multa, ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, pervenendo alla pena finale di otto mesi di reclusione e 660,00 euro di multa, per poi sostituire la pena detentiva con la pena pecuniaria di 7.200,00 euro di multa.
La Corte di appello ha ritenuto corretto il descritto procedimento di determinazione della pena, non assestato sui minimi edittali, tenuto conto del considerevole ammontare dell’importo delle ritenute non versate. La motivazione, coerente e completa, non Ł in contrasto con il costante orientamento di questa Corte secondo il quale poichØ la graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., nel giudizio di cassazione Ł comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.), evenienza questa non ricorrente nel caso di specie.
In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell’interesse del ricorrente deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente stesso, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, l. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/03/2025.