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Omesso versamento ritenute: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna penale del presidente del consiglio di amministrazione di una società per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali. La sentenza chiarisce che il presidente, in qualità di “datore di lavoro”, mantiene l’obbligo di vigilanza e la responsabilità diretta, anche in presenza di deleghe interne. La crisi di liquidità aziendale e le richieste di rateizzazione non sono state considerate scusanti sufficienti a escludere il dolo, che per questo reato è generico e consiste nella coscienza e volontà dell’omissione.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Omesso Versamento Ritenute: la Responsabilità del Presidente del CdA

L’omesso versamento ritenute previdenziali e assistenziali è un reato che pone seri interrogativi sulla distribuzione delle responsabilità all’interno delle strutture aziendali complesse. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali, confermando la condanna del presidente del consiglio di amministrazione di una società, anche in un contesto di deleghe operative e di crisi finanziaria. Questo caso evidenzia come la posizione apicale comporti un dovere di vigilanza non delegabile, le cui omissioni possono avere conseguenze penali dirette.

I Fatti del Caso

Il presidente del consiglio di amministrazione di una società per azioni veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali dovute per i propri dipendenti, in relazione all’annualità 2016.

La difesa dell’imputato presentava ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. In sintesi, si sosteneva che la sentenza d’appello non avesse chiarito se la responsabilità derivasse da un comportamento omissivo (mancato impedimento del reato commesso da altri) o commissivo (mancato pagamento diretto). Inoltre, si lamentava una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, poiché l’imputato era stato accusato come autore diretto del reato e condannato come concorrente per omissione nel fatto commesso dall’amministratore delegato. Infine, la difesa contestava la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato (il dolo), adducendo che la crisi finanziaria della società e i piani di ristrutturazione del debito giustificassero il mancato pagamento.

Omesso versamento ritenute e il ruolo del Presidente

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, rigettando tutte le argomentazioni difensive. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: soggetto attivo del reato di omesso versamento è esclusivamente il “datore di lavoro”.

Questa figura, nel caso di una società, è incarnata da chi detiene il potere di gestione e rappresentanza, ovvero il presidente del consiglio di amministrazione. La Corte ha specificato che, anche in presenza di deleghe ad altri amministratori per l’esecuzione dei pagamenti, il presidente conserva un inderogabile obbligo di vigilare sull’adempimento dell’obbligazione contributiva. Egli rimane il destinatario diretto del precetto normativo e, di conseguenza, il responsabile primario dell’eventuale omissione.

La Questione del Dolo e della Crisi Aziendale

Un punto centrale della sentenza riguarda l’elemento psicologico del reato. La Corte ha confermato che per l’omesso versamento ritenute è sufficiente il dolo generico. Questo significa che non è richiesto un fine specifico (come l’appropriazione delle somme), ma è sufficiente la coscienza e la volontà di non versare le ritenute dovute alla scadenza prevista.

La difesa aveva tentato di giustificare l’omissione con la grave crisi di liquidità dell’azienda e la pendenza di piani di ristrutturazione del debito. Tuttavia, la Cassazione ha respinto questa tesi, riaffermando un altro principio cardine: la difficoltà economica non è una scusante. Il datore di lavoro, nel momento in cui paga le retribuzioni, ha l’obbligo di accantonare e versare le relative ritenute. Se le risorse sono scarse, deve ripartirle in modo da adempiere all’obbligo contributivo, anche a costo di non poter pagare l’intero ammontare degli stipendi. La scelta di dare priorità ad altri debiti, posticipando quelli previdenziali, integra la consapevole volontà richiesta per la configurazione del reato.

Correlazione tra Accusa e Sentenza

La Corte ha anche respinto la doglianza relativa alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. I giudici hanno chiarito che non vi è una modifica sostanziale del fatto contestato se l’imputato, accusato come autore diretto, viene condannato come concorrente per omissione (art. 40 c.p.), in quanto la sua posizione di garanzia come presidente lo obbligava a impedire l’evento. L’oggetto della contestazione – il mancato versamento delle ritenute da parte della società da lui rappresentata – è rimasto immutato durante tutto il processo.

le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su una linea interpretativa consolidata che mira a garantire l’effettività della tutela previdenziale. La sentenza sottolinea che l’obbligo di versamento delle ritenute è un dovere fondamentale del datore di lavoro, il cui inadempimento lede direttamente gli interessi dei lavoratori e della collettività. Identificare il presidente del CdA come responsabile primario, anche in presenza di deleghe, serve a prevenire che le complesse strutture societarie possano diventare uno schermo per eludere responsabilità penali precise. La Corte evidenzia che la consapevolezza dell’imputato riguardo all’inadempienza della società era provata dalle ripetute richieste di rateizzazione dei debiti tributari, da lui stesso sottoscritte in anni precedenti. La scelta di omettere i versamenti non è stata un evento imprevedibile, ma una decisione consapevole, inserita in un contesto di protratta difficoltà finanziaria gestita dall’intero consiglio di amministrazione.

le conclusioni

In conclusione, la sentenza rafforza il principio secondo cui la responsabilità penale per l’omesso versamento delle ritenute ricade primariamente sulla figura apicale della società, identificata nel presidente del consiglio di amministrazione. La delega di funzioni operative non esonera dal dovere di vigilanza, né la crisi di liquidità può fungere da scusante per il mancato adempimento di un obbligo considerato prioritario dall’ordinamento. Questa decisione serve da monito per tutti gli amministratori, ricordando loro che la gestione delle difficoltà economiche deve sempre avvenire nel rispetto dei doveri inderogabili di legge, la cui violazione può portare a conseguenze penali personali.

Il presidente del consiglio di amministrazione è responsabile per l’omesso versamento delle ritenute anche se ha delegato l’incarico a un altro amministratore?
Sì. Secondo la sentenza, il presidente del CdA, in qualità di “datore di lavoro” e legale rappresentante, è il destinatario diretto dell’obbligo di versamento. Anche se delega l’incarico ad altri, conserva un obbligo di vigilanza sull’adempimento e rimane penalmente responsabile in caso di omissione.

Una crisi di liquidità aziendale giustifica il mancato versamento delle ritenute previdenziali?
No. La Corte ha ribadito che la difficoltà economica o lo stato di insolvenza non libera il datore di lavoro dall’obbligo di versare le ritenute. È suo onere ripartire le risorse esistenti per adempiere a tale obbligo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare interamente i compensi ai dipendenti. La scelta di pagare altri debiti posticipando quelli previdenziali integra il dolo richiesto dal reato.

Cosa si intende per dolo nel reato di omesso versamento delle ritenute?
Per questo reato è sufficiente il cosiddetto “dolo generico”. Ciò significa che non è necessario dimostrare un fine specifico (come l’arricchimento personale), ma basta la coscienza e la volontà di omettere il versamento delle somme dovute entro la scadenza di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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