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Omesso versamento ritenute: la crisi non è scusa

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un imprenditore per omesso versamento di ritenute, stabilendo che la crisi di liquidità aziendale non costituisce una scusante valida. Per escludere la responsabilità penale, l’imputato deve dimostrare di aver affrontato una situazione di forza maggiore, imprevedibile e insuperabile, e di aver tentato ogni azione possibile per adempiere al debito tributario, anche attingendo al proprio patrimonio personale. La Corte ha inoltre precisato che, ai fini della condanna, è necessaria la prova dell’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti, non bastando la sola dichiarazione fiscale.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Omesso Versamento Ritenute: la Crisi di Liquidità non Esclude il Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2790 del 2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati tributari: la crisi di liquidità di un’azienda, da sola, non è sufficiente a giustificare l’omesso versamento delle ritenute. L’imprenditore che si trova in difficoltà finanziarie non può semplicemente scegliere di non versare le tasse, ma deve dimostrare di essersi trovato di fronte a una causa di forza maggiore, imprevedibile e insormontabile. Questa decisione offre importanti chiarimenti sui limiti della scusante della crisi economica e sulla prova necessaria per la condanna.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda l’amministratore di una società a responsabilità limitata, condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000. L’imputato non aveva versato ritenute per un importo superiore a 227.000 euro, relative all’anno d’imposta 2015.

L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diverse argomentazioni:
1. Mancanza di dolo e forza maggiore: Sosteneva che l’inadempimento fosse dovuto a una grave crisi di liquidità, causata dalla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali da parte del principale committente. A suo dire, questa situazione imprevista aveva reso impossibile il pagamento.
2. Effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 175/2022: La difesa ha invocato la nota sentenza che ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 10-bis, richiedendo, per la condanna, non solo la dichiarazione (Modello 770) ma anche la prova del rilascio delle certificazioni ai sostituiti.
3. Errata applicazione della recidiva: Contestava l’aggravante della recidiva, sostenendo che le precedenti condanne riguardavano un reato (omesso versamento di contributi previdenziali) in parte depenalizzato.

La Questione dell’Omesso Versamento Ritenute e la Crisi Aziendale

Il cuore della difesa si concentrava sull’impossibilità di pagare a causa di una crisi finanziaria. Tuttavia, la Cassazione ha respinto questa tesi, allineandosi a un orientamento ormai consolidato.

La Corte ha specificato che la crisi economica che colpisce un’azienda rientra nel normale rischio d’impresa. Per invocare l’esclusione della colpevolezza, non basta allegare una generica difficoltà finanziaria. L’imputato ha l’onere di provare due elementi fondamentali:
1. Non imputabilità della crisi: La crisi deve derivare da fattori non imputabili all’imprenditore.
2. Impossibilità di adempiere: L’imprenditore deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per reperire le risorse necessarie, anche a costo di sacrificare il proprio patrimonio personale e di prendere decisioni sfavorevoli per l’azienda.

Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che la modifica delle condizioni contrattuali da parte del committente fosse un’ipotesi contrattualmente prevista e, quindi, non un evento imprevedibile assimilabile alla forza maggiore. Inoltre, l’imputato non ha fornito prove concrete delle iniziative intraprese per far fronte alla carenza di liquidità.

L’Impatto della Sentenza Costituzionale n. 175/2022

Un altro punto cruciale era l’interpretazione dell’art. 10-bis dopo l’intervento della Corte Costituzionale. La sentenza n. 175/2022 ha stabilito che per integrare il reato di omesso versamento ritenute, non è più sufficiente che l’importo sia indicato nel Modello 770. È indispensabile che l’accusa provi che il sostituto d’imposta abbia effettivamente rilasciato ai sostituiti (lavoratori, collaboratori) le certificazioni che attestano le ritenute operate.

La Cassazione ha respinto anche questo motivo di ricorso, evidenziando che i giudici di merito avevano accertato che l’omissione riguardava ritenute risultanti “anche da apposite certificazioni”. La prova del reato, quindi, non si fondava unicamente sulla dichiarazione fiscale, ma su elementi ulteriori che dimostravano l’avvenuto rilascio delle certificazioni, rendendo la condanna pienamente conforme al nuovo quadro normativo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha rigettato il ricorso in ogni suo punto. Per quanto riguarda la colpevolezza, ha stabilito che la difesa non ha fornito la prova rigorosa della forza maggiore. L’argomentazione sulla crisi di liquidità è stata considerata una rilettura non consentita degli elementi probatori, adeguatamente valutati nei gradi di merito. Il percorso motivazionale delle sentenze precedenti è stato giudicato coerente e privo di vizi logici.

Sulla recidiva, la Corte ha osservato che i precedenti penali, inclusi reati della stessa indole come l’omesso versamento di contributi previdenziali e altri delitti non colposi, dimostravano una “qualificata capacità a delinquere” e una “perdurante inclinazione al delitto”, giustificando pienamente l’applicazione dell’aggravante e, di conseguenza, il mancato decorso della prescrizione.

Infine, sono state respinte anche le richieste di sanzioni sostitutive, a causa della prognosi negativa basata sui numerosi precedenti penali, e la contestazione sulla confisca, poiché l’imputato non era in regola con il piano di rateizzazione del debito tributario, unica condizione che avrebbe potuto bloccare la misura ablativa.

Le Conclusioni

La sentenza consolida principi chiave per gli imprenditori e i professionisti che li assistono:
1. La crisi aziendale non è un salvacondotto: Per evitare una condanna per omesso versamento ritenute, l’imprenditore deve fornire una prova stringente e dettagliata dell’impossibilità assoluta di adempiere, dimostrando di aver esaurito ogni risorsa disponibile, personale e aziendale.
2. La prova del reato è cambiata: Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, la sola dichiarazione Modello 770 non basta. L’accusa deve provare l’effettivo rilascio delle certificazioni ai percipienti. È un onere probatorio aggiuntivo che le difese devono attentamente verificare.
3. La recidiva ha un peso rilevante: La presenza di precedenti penali, specialmente se specifici o della stessa indole, influenza non solo la determinazione della pena, ma anche il calcolo della prescrizione e la possibilità di accedere a benefici come le sanzioni sostitutive.

La crisi di liquidità di un’azienda è una scusa valida per l’omesso versamento di ritenute?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la crisi di liquidità rientra nel normale rischio d’impresa e non esclude la responsabilità penale, a meno che l’imprenditore non dimostri rigorosamente che la crisi sia dovuta a forza maggiore (un evento imprevedibile e irresistibile) e di aver compiuto ogni sforzo possibile per pagare il debito, anche attingendo al proprio patrimonio personale.

Quale prova è necessaria per la condanna per omesso versamento di ritenute dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 175/2022?
Dopo tale sentenza, non è più sufficiente basare la condanna sulla sola dichiarazione fiscale (Modello 770). È necessario che l’accusa fornisca la prova che il sostituto d’imposta abbia effettivamente rilasciato ai sostituiti (es. dipendenti) le certificazioni attestanti le ritenute operate. L’omesso versamento di ritenute solo dichiarate ma non certificate costituisce un mero illecito amministrativo.

La recidiva può essere applicata anche se i reati precedenti sono stati in parte depenalizzati?
Sì. La Corte ha chiarito che la valutazione sulla pericolosità sociale dell’imputato ai fini della recidiva tiene conto di tutti i precedenti penali. Anche se un reato precedente (come l’omesso versamento di contributi previdenziali sotto una certa soglia) è stato depenalizzato, esso può comunque essere considerato, insieme ad altri precedenti, per valutare la tendenza a delinquere dell’imputato e giustificare l’applicazione dell’aggravante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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