Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2790 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2790 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME nato a Latisana il 08-08-1978, avverso la sentenza del 19-10-2023 della Corte di appello di Trieste; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni trasmesse dall’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 ottobre 2023, la Corte di appello di Trieste confermava la decisione emessa dal Tribunale di Udine il 28 ottobre 2021, con cui NOME COGNOME era stato condannato, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, alla pena di mesi 8 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perché, quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE e quale firmatario della dichiarazione fiscale Modello 770 relativa all’anno 2015, non versava le ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione per l’importo di euro 227.986,49; fatto commesso in Udine il 15 settembre 2016. Veniva altresì confermata la decisione del primo giudice che aveva disposto la confisca della somma di denaro in sequestro, pari all’importo delle ritenute non versate.
Avverso la sentenza della Corte di appello triestina, COGNOME tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi.
Con i primi due, tra loro sovrapponibili, la difesa contesta la conferma del giudizio di colpevolezza del ricorrente in ordine al reato a lui ascritto, deducendo la violazione degli art. 43 cod. pen. (primo motivo) e 45-54 cod. pen. (secondo motivo), nella misura in cui i giudici di appello non hanno tenuto conto dell’incidenza della crisi di liquidità rispetto alla configurabilità dell’element soggettivo e alla valutazione sull’esigibilità della condotta omissiva contestata.
In particolare, non è stato considerato che la società amministrata da Della Mora ha subito un’importante flessione economica dovuta al mutamento delle condizioni contrattuali con la società committente (RAGIONE_SOCIALE) comunicate “ora per allora”, avendo tali modifiche comportato un peggioramento delle condizioni di erogazione delle provvigioni, per cui l’imputato, al fine di salvaguardare l’attività aziendale, tutelando dipendenti e fornitori, ha assunto una pluralità di garanzie personali, dettagliatamente indicate, al fine di adempiere l’obbligazione tributaria, non essendovi riuscito per cause di forza maggiore indipendenti dalla sua volontà.
Con il terzo motivo, è stata eccepita la violazione dell’art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, osservandosi che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 14 luglio 2022, l’imputato avrebbe dovuto essere assolto perché il fatto non sussiste, non essendovi la prova, che andava fornita dall’accusa, dell’avvenuto rilascio ai sostituti delle certificazioni delle ritenute indicate nel Modello 770.
Con il quarto motivo, le critiche difensive si incentrano sulla mancata esclusione della recidiva, non essendosi considerato che i decreti penali di condanna annoverati nel certificato penale di Della Mora attengono a un reato, quello di omesso versamento delle ritenute previdenziali, che è stato depenalizzato
dal d. Igs. n. 8 del 2016, qualora l’importo non versato sia inferiore a 10.000 euro, per cui non poteva essere addebitata all’imputato la contestata recidiva qualificata.
Con il quinto motivo, oggetto di doglianza è la violazione degli art. 20 bis e 133 cod. pen., dolendosi la difesa della mancata concessione delle sanzioni sostitutive, non avendo la Corte territoriale verificato la sussistenza di ragioni ostative che invero non erano configurabili, posto che, a parte i due precedenti penali per reati depenalizzati, l’imputato non ha subito ulteriori condanne.
Il sesto motivo è infine dedicato alla statuizione della confisca, rispetto alla quale si evidenzia che l’art. 12 bis del d. Igs. n. 74 del 2000 sembra disciplinare anche il caso in cui, come quello in esame, vi sia stato solo un impegno del contribuente a versare quanto dovuto, non ancora seguito dal pagamento, avendo la Corte di appello ignorato l’istanza di rateizzazione del debito tributario.
2.1. Con memoria del 13 settembre 2024, l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, ribadendo in particolare le argomentazioni riferite al terzo e al quarto motivo ed evidenziando che in data 15 marzo 2024 è maturata la prescrizione del reato.
2.2. Con successiva memoria del 27 settembre 2024, l’avvocato NOME COGNOME ha replicato alle considerazioni del Procuratore generale e ha di nuovo insistito nell’accoglimento del ricorso, con riferimento a ciascuna doglianza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Iniziando dai primi tre motivi, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sovrapponibili, occorre evidenziare che la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ascrittogli non presenta criticità.
Sul punto, per quanto concerne l’integrazione della fattispecie dal punto di vista oggettivo, deve innanzitutto premettersi che, con riferimento al contestato reato di cui all’art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 175 del 14 luglio 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 7, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 158 del 2015 (“Revisione del sistema sanzionatorio in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014 n. 23”), nella parte in cui ha inserito le parole “dovute sulla base della stessa dichiarazione o” nel testo dell’art. 10 bis del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, sia dello stesso art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, limitatamente alle parole “dovute sulla base della stessa dichiarazione o”.
La declaratoria di incostituzionalità ha dunque sostanzialmente “sterilizzato” la modifica della norma incriminatrice introdotta con il d. Igs. n. 158 del 2015 che, oltre a innalzare la soglia di punibilità da euro 50.000 a euro 150.000, aveva
previsto la possibilità di ricavare la prova dell’avvenuta consumazione del reato anche sulla base di quanto risultasse dalla mera dichiarazione del sostituto d’imposta (c.d. Modello 770), per cui ora l’integrazione della fattispecie penale ex art. 10 bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate, mentre i mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma di cui non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce ille amministrativo tributario. Sono quindi tornati attuali, non più solo per i fatti pregressi al d. Igs. n. 158 del 2015, ma anche per i fatti ad esso successivi, i criteri interpretativi elaborati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 24782 del 22/03/2018, Rv. 272801, secondo cui, in tema di omesso versamento di ritenute certificate, ai fini della prova del rilascio al sostituito delle certificazioni attest le ritenute operate, non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione Modello 770, dovendosi cioè comprovare aliunde il rilascio delle predette certificazioni, sulla scia delle indicazioni ermeneutiche fornite dalle Sezioni Unite, oltre che dalla giurisprudenza successiva (cfr. Sez. 3, n. 25987 del 13/07/2020, Rv. 279743 e Sez. 3, n. 13610 del 14/02/2019, Rv. 275901-02).
Ciò premesso, deve osservarsi che i giudici di merito (pag. 5 della sentenza impugnata e soprattutto pag. 3, nota 1, della decisione di primo grado) hanno evidenziato che l’omesso versamento ha riguardato le ritenute risultanti “anche da apposite certificazioni”, per cui, non essendosi la prova del reato fondata solo sul Modello 770, devono ritenersi correttamente applicati, nel solco della pronuncia di parziale incostituzionalità del 2022, i canoni interpretativi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la ricordata sentenza n. 24782 del 22/03/2018.
1.1. Tanto chiarito, occorre precisare che la fattispecie per cui si procede è stata considerata sussistente anche dal punto di vista soggettivo, avendo i giudici di merito legittimamente escluso che l’omesso versamento delle ritenute sia dipeso da comprovate e insuperabili circostanze indipendenti dalla volontà dell’imputato. È stato infatti sottolineato (pag. 3 della sentenza di primo grado) che la modifica delle condizioni contrattuali da parte della Vodafone, di cui la RAGIONE_SOCIALE era agente e dalle cui provvigioni dipendeva in maniera quasi totale, era una circostanza non inimmaginabile e non estranea al rischio di impresa, atteso che il mutamento della quantificazione delle provvigioni era un’ipotesi contrattualmente prevista.
A ciò è stato aggiunto (pag. 5-6 della decisione di secondo grado) che le iniziative assunte dall’imputato per ovviare allo stato di sofferenza finanziaria non sono state adeguatamente provate, non avendo Della Mora dimostrato, al di là di affermazioni rimaste non specifiche in sede di merito circa la prestazione di garanzie in favore della società, di aver fatto quanto era realmente nelle sue possibilità per far fronte alla carenza di liquidità venutasi a creare nel 2015 in danno della sua impresa.
In tal senso, l’impostazione delle due conformi sentenze di merito risulta dunque coerente con l’affermazione consolidata di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019, Rv. 275967, Sez. 3, n. 20266 dell’08/04/2014, Rv. 259190, e Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Rv. 263128), secondo cui l’imputato può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito erariale, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi i concreto, occorrendo in definitiva la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili.
In definitiva, a fronte di un percorso motivazionale privo di incongruenze motivazionali e coerente con gli indirizzi ermeneutici elaborati in questa materia, non vi è spazio per l’accoglimento delle censure difensive, volte sostanzialmente a suggerire una non consentita rilettura degli elementi probatori, dovendosi ritenere invece adeguatamente argomentate sia la sussistenza del dolo che l’esclusione della forza maggiore rispetto al mancato versamento delle ritenute. Di qui l’infondatezza delle censure difensive in punto di responsabilità.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al quarto motivo, avente ad oggetto la mancata esclusione della contestata e applicata recidiva.
In proposito, deve premettersi che, come più volte chiarito da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419), ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cu procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice.
Nel caso di specie, tale valutazione risulta adeguatamente compiuta dalla Corte territoriale, essendo stati valorizzati nella sentenza impugnata i diversi precedenti penali a carico dell’imputato, alcuni dei quali anche specifici (omesso versamento
delle ritenute previdenziale), per cui è stato evidenziato che la condotta criminosa per cui si è proceduto, avente ad oggetto l’omesso versamento delle ritenute alle fonte, costituisce espressione di una qualificata capacità a delinquere.
Quanto alle obiezioni difensive, deve rilevarsi, da un lato, che, i reati di cui agli art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000 e art. 2, comma 1 bis, del decreto legge n. 463 del 1983, ben possono qualificarsi come reati della stessa indole, venendo in rilievo in entrambi i casi l’omesso versamento di somme da destinare all’Erario, dall’altro lato, che, come già precisato dalla Corte di appello, rispetto all’asserita depenalizzazione di alcuni reati indicati nel casellario giudiziale, non è stato fornito (neanche in questa sede) alcun principio di prova, a ciò dovendosi solo aggiungere che, come risulta dal certificato penale di COGNOME tra i precedenti a suo carico per delitti non colposi figura anche il reato di falso ex art. 495, comma 1, cod. pen.
2.1. Avuto riguardo alla legittima applicazione della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, deve escludersi che il reato de quo, commesso il 15 settembre 2016, sia ad oggi prescritto, posto che il relativo termine, alla luce del combinato disposto di cui agli art. 99, 157 e 161 cod. pen., si computa in 10 anni, per cui la prescrizione massima matura solo il 15 settembre 2026.
Parimenti non illogiche, e dunque non censurabili in questa sede, risultano le considerazioni poste a fondamento della decisione di non applicare le sanzioni sostitutive di cui all’art. 20 bis cod. pen. (quinto motivo), avendo la Corte di appello ragionevolmente rimarcato (pag. 6 della sentenza impugnata) l’impossibilità di formulare una prognosi positiva, in ragione sia del numero e della gravità dei precedenti penali, sia del fatto che l’imputato ha già usufruito di pene sostitutive (come quella applicatagli con la sentenza di patteggiamento del 7 ottobre 2021, avente ad oggetto il reato di cui all’art. 479 cod. pen., commesso il 10 gennaio 2020), che tuttavia non gli hanno impedito la reiterazione di condotte criminose.
Anche il sesto motivo, relativo alla statuizione della confisca della somma corrispondente all’imposta evasa, non è infine meritevole di accoglimento.
Va premesso che, sia nella versione originaria dell’art. 12 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, vigente al momento della sentenza impugnata, sia nella formulazione attuale di tale norma, come modificata dall’art. 1, comma 1, lettera e) del d. Igs. 14 giugno 2024, n. 87, l’inoperatività della confisca tributaria è sempre ricollegata al fatto che il contribuente sia in regola con i versamenti che egli ha assunto l’impegno di effettuare al Fisco; da ciò consegue che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto applicabile la disposta confisca, evidenziando che l’impresa amministrata dall’imputato non ha versato le rate concordate, come riferito nel giudizio di primo grado dal teste NOME COGNOME all’udienza del 3 giugno 2021, con affermazione che non ha trovato alcuna smentita da parte del
ricorrente, per cui anche tale doglianza va ritenuta priva di fondamento.
Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso proposto nell’interesse di Della Mora deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 08.10.2024