Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14725 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14725 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Castel Frentano (Ch) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/5/2023 della Corte di appello di L’Aquila; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19/5/2023, la Corte di appello di L’Aquila confermava la pronuncia emessa 1’11/7/2022 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale Pescara, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 10-bis, d. 1gs. 10 marzo 2000, n. 74, e condannato alla pena di quattro mesi di reclusione.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
mancanza di motivazione. Con riguardo allo stato di necessità invocato dal ricorrente, la sentenza si sarebbe espressa con motivazione apparente o,
comunque, contraddittoria, che non terrebbe conto dell’improvviso ed imprevedibile “vortice di povertà” che avrebbe colpito la società del RAGIONE_SOCIALE nel 2018; sarebbe accaduto, in particolare, che la fornitrice di prodotti per RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, sotto il cui marchio operavano i cinque supermercati gestiti dal ricorrente, avrebbe cambiato le condizioni di pagamento, imponendo che questo avvenisse alla consegna. Ne sarebbe derivata una grave crisi, alla quale l’imputato avrebbe cercato di opporre ogni iniziativa, come emerso dall’istruttoria: interessamento del ceto bancario, ridimensionamento dei costi, utilizzo di beni personali, richiesta di concordato preventivo, nel 2019. Fino alla chiusura di punti vendita e licenziamento di quasi 100 dipendenti. La mancanza di liquidità, pertanto, non avrebbe trovato causa in una cattiva gestione, ma in nuove condizioni contrattuali alle quali il COGNOME non si sarebbe potuto opporre, dato il vincolo di esclusiva che lo legava al RAGIONE_SOCIALE ed al marchio COGNOME, con conseguente assenza di discrezionalità, peraltro in un contesto di “notoria soggezione”. Il mancato pagamento delle ritenute, pertanto, non sarebbe addebitabile a volontà, ma solo all’intento di salvare l’azienda ed i dipendenti, come peraltro contraddittoriamente riscontrato anche dalla stessa sentenza;
mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 1, cod. pen. La Corte di appello avrebbe dovuto riconoscere l’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale, per come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità, ricorrendone i presupposti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta infondato.
Non contestato il profilo oggettivo del reato, la Corte di appello ha confermato la condanna richiamando la conforme pronuncia di primo grado, che misurandosi con gli stessi argomenti poi a fondamento del gravame e del ricorso in oggetto – aveva riconosciuto la responsabilità dell’imputato per il delitto di cui all’art. 10 -bis, d. Igs. n. 74 del 2000.
4.1. Il Tribunale di Pescara, in particolare, aveva evidenziato che il COGNOME non si era trovato nell’assoluta impossibilità di adempiere, necessaria per configurare la scriminante dello stato di necessità (per tutte, Sez. 2, n. 10694 del 30/10/2019, Tortorici, Rv. 278520), in quanto – come dichiarato dallo stesso egli aveva dato priorità al pagamento delle retribuzioni ai dipendenti e delle forniture, ossia a quanto occorreva per garantire continuità all’operato dell’ente. Come affermato dal primo Giudice, e confermato dalla Corte di appello, esisteva, dunque, un margine di scelta, e l’opzione aziendale esercitata non poteva consentire di ravvisare lo stato di necessità. Quanto, poi, alla procedura del
concordato preventivo, è stato evidenziato che – di fronte ad un omesso versamento di ritenute contestato al 31/10/2018 (per l’anno di imposta 2017) l’imputato vi aveva ricorso soltanto l’anno successivo, e la circostanza non può essere superata – in questa sede – richiamando l’impossibilità di assumere decisioni “immediate ed in via unilaterale”.
4.2. Tanto premesso, questa motivazione, che risulta adeguata e priva di illogicità manifeste, anche perché basata su oggettive e non contestate emergenze istruttorie, è censurata in questa sede attraverso la ripetizione delle medesime considerazioni a fondamento del gravame, proprie della sola fase di merito e non consentite innanzi al Giudice di legittimità; dietro la parvenza di una motivazione apparente, infatti, il COGNOME ripropone argomenti di fatto fondati sul rapporto tra la società e la fornitrice RAGIONE_SOCIALE, sul vincolo di esclusiva con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, sulla modifica delle condizioni contrattuali, sugli interventi effettuati per fronteggiare la crisi di liquidità, sulla necessità di coinvolgere i soci per ogni decisione di rilievo, dunque non immediatamente attuabile. In sintesi, le stesse questioni che avevano fondato l’atto di appello, in un’ottica fattuale qui non consentita.
4.3. Il primo motivo di ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Con riguardo, poi, alla seconda censura, il Collegio rileva che gli elementi a sostegno della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 1, cod. pen. risultano infondati.
5.1. Per un verso, la Corte di appello l’ha esclusa con argomento invero censurabile, sul presupposto che quanto dedotto nel gravame sul punto sarebbe stato già valutato, in primo grado, per riconoscere le circostanze attenuanti generiche; ebbene, in senso contrario si osserva che il Tribunale aveva riconosciuto queste ultime evidenziando che l’imputato aveva “mostrato la propria difficoltà morale per la condotta che teneva e finiva altresì per impegnare beni personali nel tentativo di ripianare il deficit patrimoniale”, senza, dunque, alcun esame di eventuali motivi di particolare valore morale o sociale dedotti nel gravame.
5.2. La stessa richiesta, comunque, risultava palesemente infondata nel merito. La circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 1, cod. pen., infatti, richiede l’obiettiva rispondenza del motivo perseguito a valori etici o sociali effettivamente apprezzabili e, come tali, riconosciuti preminenti dalla collettività (per tutte, Sez. 6, n. 19764 dell’11/12/2019, Angelino, Rv. 279265), che non può essere riconosciuta nel solo, doveroso adempimento dell’obbligazione retributiva nei confronti dei dipendenti (peraltro, senza versare la ritenuta contributiva operata alla fonte, con evidente danno per gli stessi lavoratori) o nel pagamento di quanto dovuto ai fornitori.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2024
cansigliere estensore
Il Presidente