Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27644 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27644 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
TERZA SEZIONE PENALE
COGNOME NOME
Sent. n. sez. 1181/2025
UP – 03/07/2025
R.G.N. 10524/2025
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 19/09/2024 della Corte di appello di Bologna;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
2.5 Con il quinto motivo, la difesa lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in merito alla mancata individuazione della pena base nel minimo edittale in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., nonchØ al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale di cui all’art. 175 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen.
manifesta illogicità nella parte in cui non assolve l’onere motivazionale di spiegare sulla base di quali ragioni sia stato escluso il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale a fronte del riconoscimento della sospensione condizionale della pena e dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nel caso di concessione di uno solo dei benefici, devono essere esposte le ragioni per le quali gli elementi valutabili favorevolmente per la concessione dell’uno non siano meritevoli di fondare la concessione dell’altro beneficio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e il secondo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente poichØ incentrati sul difetto dell’elemento soggettivo del reato, sono infondati.
Sostiene in sintesi la difesa che la Corte territoriale non ha valutato una serie di argomenti difensivi a sostegno del difetto dell’elemento soggettivo in capo al ricorrente, in particolare la non imputabilità a quest’ultimo della crisi di liquidità non transitoria, avendo il ricorrente assunto la carica di amministratore successivamente alla presentazione della dichiarazione IVA ed avendo adottato tutte le misure esigibili che, pur generando un miglioramento, non avevano consentito il pagamento degli obblighi tributari, nonchŁ la non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.
1.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di reato di omesso versamento dell’IVA (Sez. 3, n. 23796 del 29/05/2019, Rv. 275967), la colpevolezza del contribuente non Ł esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrata la non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e non siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo. L’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo generico richiesto dall’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, atteso che l’obbligo del versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore Ł riconducibile all’ordinario rischio di impresa (Sez. 3, n. 33430 del 16/06/2023, COGNOME, non mass.).
Dunque, sotto il profilo psicologico, secondo la giurisprudenza, nel reato di omesso versamento di Iva (art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000), ai fini dell’esclusione della colpevolezza, Ł irrilevante il mancato incasso dei crediti per inadempimento contrattuale e la conseguente crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore Ł riconducibile all’ordinario rischio di impresa, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (Sez. 3, n. 27202 del 19/05/2022, Natale, Rv. 283347; Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, Rv. 278909; Sez. 3, n. 2614 del 21/01/2014, Rv. 258595).
Nella fattispecie, la Corte territoriale, la cui decisione si salda con la sentenza di primo grado in unico corpo motivazionale ricorrendo una ipotesi di doppia conforme, ha, senza vizi logici, evidenziato, contrariamente a quanto rappresentato nei motivi di ricorso, che al ricorrente erano ben noti i dati contabili e i bilanci, sicchŁ, considerato che il debito IVA era elevatissimo (non era stato neanche pagato il debito IVA di 835.115,00 euro relativo al precedente anno di imposta 2015) e che una delle due banche aveva revocato il fido, non
fosse possibile sostenere che il ricorrente, al momento dell’assunzione dalla carica, potesse confidare fondatamente sull’adempimento degli obblighi tributari relativi all’anno di imposta 2016 alla scadenza del 27/12/2017. NØ, prosegue la Corte territoriale, i tentativi posti in essere dall’imputato per risollevare le sorti societarie, quali il tentativo di reperire soggetti che rilevassero o finanziassero la società o il tentativo di vendita dell’immobile dove insistevano gli impianti produttivi avrebbero potuto condurre a diverse conclusioni, trattandosi di tentativi caratterizzati da pura eventualità.
L’affermazione dei giudici di secondo grado si pone in sintonia con i principi affermati da questa Corte, secondo i quali ‘risponde del reato di omesso versamento di IVA (art. 10ter, d.lgs. 74 del 2000), quanto meno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze’ (Sez. 3, n. 20188 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 281340; Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264882; Sez. 3, n. 38687 del 04/06/2014, COGNOME, Rv. 260390; nello stesso senso, Sez. 3, n. 2057 del 14/11/2023, dep. 2024, COGNOME, non mass.).
1.2 NØ può sostenersi, in proposito, una responsabilità da posizione di carattere ‘colposo’, sia perchØ la Corte territoriale afferma che al ricorrente erano ben noti i dati contabili e i bilanci, sia in ragione della particolare semplicità delle verifiche di tipo documentale che avrebbero consentito di appurare l’incombenza dell’obbligo tributario (in tal senso, Sez. 3, n. 3636 del 09/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259092). I casi esaminati da questa Corte di legittimità si riferiscono proprio ad omessi versamenti a fronte di dichiarazioni operate dal precedente amministratore. In quei casi, come in questo, non si verteva, cioŁ, in materia di debito verso l’Erario particolarmente remoto, occulto o di difficile accertamento, poichØ si trattava dell’IVA dovuta sulla base dell’ultima dichiarazione e, quindi, era sufficiente, prima di assumere la carica di amministratore o di liquidatore, di chiedere in visione la dichiarazione e l’attestato di versamento all’erario dell’IVA a debito per adempiere nel termine stabilito al pagamento dell’obbligazione tributaria (del resto, in questo caso, il debito IVA era già esistente anche per il precedente anno di imposta 2015).
E’ stato affermato, al riguardo, che l’assunzione della carica di amministratore comporta, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove ciò non avvenga, Ł evidente che chi subentra nelle quote e assume la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Il nuovo amministratore, in altri termini, deve effettuare verifiche assai semplici e coincidenti con i minimi riscontri d’obbligo – quali la richiesta di visionare la documentazione fiscale – che devono essere eseguiti prima del subentro nella carica, in difetto delle quali egli accetta che vi possano essere anomalie di cui Ł chiamato a rispondere anche penalmente (Sez. 3, n. 36205 del 23/06/2021, COGNOME, non mass.).
A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, Ł perciò ravvisabile un coefficiente psichico che anima l’agente, quantomeno nella forma del dolo eventuale, dovendosi rammentare che l’elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA, previsto dall’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, Ł il dolo generico (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 25/01/2016, COGNOME, Rv. 265939) non essendo richiesto, a differenza di altre fattispecie
contemplate dall’indicato d.lgs., anche il fine di evadere le imposte.
1.3 Risulta, inoltre, che il ricorrente aveva preferito la continuità aziendale, sacrificando l’Erario, pagando i fornitori e i dipendenti, compresi i versamenti sulle ritenute operate come sostituto d’imposta, lasciando tuttavia insoluti i debiti erariali relativi all’IVA, circostanza che la Corte di legittimità ha piø volte evidenziato che, oltre ad essere prova del dolo (Sez. 3, n. 30677 del 24/06/2021, COGNOME; Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, COGNOME; Sez. 3 n. 43599 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 265262), Ł ostativa alla dimostrazione della sopravvenienza della impossibilità di soddisfare i crediti tributari: in tal modo, infatti, con la scelta di non pagare l’IVA dovuta, deve essere esclusa la forza maggiore, integrata da un evento imponderabile tale da annullare la signorìa del soggetto sui propri comportamenti, poichØ l’omesso versamento dell’imposta Ł riconducibile ad una precisa scelta di politica imprenditoriale che, così operando, non assolve all’onere di ripartirele residue risorse esistenti in modo da adempiere anche al proprio debito erariale (Sez. 3, n. 38801 del 19/09/2024, COGNOME, non mass.).
1.4 Per altro verso, il riferimento che l’imputato aveva fatto ad azioni poste in essere al fine di reperire risorse necessarie ai pagamenti dei debiti erariali, anche con impegni personali, vale a dire la ricerca di una nuova linea stilistica, la vendita dell’immobile dove insistevano gli impianti produttivi, l’ottenimento di un flusso di liquidità attraverso collaborazioni con altre imprese, si era rivelato, secondo quanto logicamente affermato dai giudici di merito, privo di concretezza, non avendo peraltro aderito ad alcuno strumento deflattivo, avendo differito il momento di avvio delle procedure concorsuali ed avendo adoperato la pratica tipica delle imprese in crisi di liquidità di finanziarsi attraverso l’evasione delle obbligazioni fiscali (v. pag. 10 della sentenza di primo grado). Osservano sul punto i giudici di primo grado che si trattava di una politica d’impresa in essere quantomeno dall’esercizio 2015, annualità in cui la società aveva accumulato un debito IVA di 835.115,00 euro, iscritto in bilancio e, quindi, ostensibile, ancora insoluto alla data del 27/12/2016; da allora la società non aveva piø pagato l’IVA, non avendo versato nØ quella relativa al periodo d’imposta 2016, nØ quella relativa al periodo d’imposta 2017, nonostante avesse aderito alla comunicazione di irregolarità del primo trimestre 2017, rateizzando un debito che non aveva onorato neppure in parte, in tal modo conformandosi alla politica d’impresa del mancato accantonamento delle somme dovute all’Erario.
1.5 NØ la situazione così descritta può essere diversamente considerata alla luce di alcuni arresti della piø recente giurisprudenza di legittimità che, nel ribadire che l’omesso versamento dell’iva dipeso dal mancato incasso di crediti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, trattandosi di inadempimento riconducibile all’ordinario rischio di impresa, ha tuttavia subordinato l’affermazione alla condizione che tali insoluti siano contenuti entro una percentuale da ritenersi fisiologica (Sez. 3, n. 31352 del 05/05/2021, COGNOME, Rv. 282237, la quale ha ritenuto non fisiologica una presenza di insoluti per circa il 43% del fatturato, cui era seguita una gravissima crisi di liquidità; v. anche Sez. 3, n. 19651 del 19/5/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 30532 del 15/07/2024, Giove, non mass.; Sez. 3, n. 41238 del 01/10/2024, Orabona, non mass.), trattandosi di ‘crisi aziendale conclamata che si protraeva, aggravandosi progressivamente, dall’anno 2012’, dipendente non solo da fattori esogeni (crisi dei mercati di riferimento), ma anche da fattori endogeni costituiti da incapacità imprenditoriale di adeguare la produzione alle mutate condizioni di mercato (v. pag. 4 della sentenza di primo grado).
2. Il terzo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
A seguito delle modifiche normative introdotte dal d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (‘Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111’), Ł stato modificato l’articolo 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 mediante l’inserimento di un comma 3-bis, secondo cui «i reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi».
La Corte territoriale ha, tuttavia, escluso, senza vizi logici, la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti affinchØ possa dedursi una crisi di liquidità quale causa di non punibilità dovuta alle cause normativamente indicate, sottolineando che, come già affermato dal giudice di primo grado e sopra ricordato, trattavasi di crisi aziendale non sopravvenuta, ma conclamata e che si protraeva – aggravandosi progressivamente – dall’anno 2012, tanto che, nell’anno 2015, il Consiglio di amministrazione aveva deciso di ricercare un partner per il rilancio della società, già cumulando un debito IVA di 835.115,00 euro, iscritto a bilancio di esercizio (quindi, conoscibile), insoluto al 27/12/2016, data di scadenza dell’obbligo di pagamento.
NØ può essere sostenuto che il ricorrente non fosse a conoscenza della importante crisi che stava attraversando l’azienda, in modo da impostare il concetto di sopravvenienza in chiave esclusivamente soggettiva, posto che, al di là della configurabilità di una simile impostazione, la Corte territoriale ha espressamente affermato che i dati contabili e i bilanci (in cui era appostato il debito tributario IVA relativo al periodo di imposta 2015) erano ben noti al ricorrente, precisando altresì che il dato non era stato posto in discussione dalla difesa.
In definitiva, dunque, a fronte di un percorso argomentativo privo di incongruenze motivazionali e coerente con gli indirizzi ermeneutici elaborati in questa materia, non vi Ł spazio per l’accoglimento delle censure difensive, volte sostanzialmente a suggerire una non consentita rilettura degli elementi probatori, dovendosi ritenere invece adeguatamente argomentate sia la sussistenza del dolo che l’esclusione della forza maggiore rispetto al mancato versamento delle ritenute. Di qui l’infondatezza delle censure difensive.
3. Il quarto motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
L’art. 131-bis cod. pen. prevede la «non punibilità del fatto quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa Ł di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale».
E, dunque, oltre allo sbarramento del limite edittale (la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena), la norma richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento (Sez. 3, n. 5804 del 08/01/2025, Novelli; Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta)
Il primo degli ‘indici-criteri’ (così li definisce la relazione allegata al decreto legislativo che ha introdotto l’istituto) appena indicati, ossia la particolare tenuità dell’offesa, si articola a sua volta in due «indici-requisiti» (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la «modalità della condotta» e «l’esiguità del danno o del pericolo», da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed
ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, intensità del dolo o grado della colpa, nonchØ alla luce della condotta successiva al fatto, a seguito della modifica introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2022).
Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti» della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell’articolo 133 cod. pen. e della condotta susseguente al reato, sussista l’«indice-criterio» della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista l’«indice-criterio» della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
Tanto premesso, la Corte territoriale chiarisce non irragionevolmente che, nonostante l’imputato si fosse prodigato per risollevare le sorti aziendali, l’istituto invocato ex art. 131-bis cod. pen. non fosse applicabile, ostandovi l’elevatissimo importo del debito IVA non ottemperato, notevolmente distante dalla soglia di punibilità e dalla nozione di particolare tenuità del fatto, preclusivo della causa di non punibilità, rendendo insussistente l’«indicecriterio» della particolare tenuità dell’offesa, rispetto al quale Ł da considerarsi recessiva la condotta posta in essere dal ricorrente subito dopo l’assunzione della carica di amministratore della società, per cui la doglianza deve considerarsi per questa parte meramente riproduttiva di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con argomenti giuridici corretti dalla Corte territoriale, non evidenzianti profili di illogicità della motivazione.
Deve, infatti, essere ricordato che, con riferimento ai reati tributari caratterizzati dalla soglia di punibilità, Ł stato ritenuto che il superamento della soglia in misura pari all’11%, ma anche lievemente inferiore al 10% dell’importo rilevante esclude l’applicabilità dell’art. 131bis cod. pen. (Sez. 3, n. 1227 del 20/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287465; Sez. 3, n. 16599 del 20/02/2020, COGNOME, Rv. 278946), con la conseguenza, in definitiva, che, solo in presenza di uno scostamento di poco superiore rispetto alla soglia, può procedersi alla valutazione dei restanti parametri (Sez. 3, n. 14212 del 17/12/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.).
Pertanto, anche alla luce del sopravvenuto art. 13, comma 3-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. f), n. 3, d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 («ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen., il giudice valuta, in modo prevalente, uno o piø dei seguenti indici: a) l’entità dello scostamento dell’imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità; b) salvo quanto previsto dal comma 1, l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’amministrazione finanziaria; c) l’entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione; d) la situazione di crisi ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera a), del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al d.lgs. n. 14 del 2019»), deve ritenersi che lo scostamento significativo dalla soglia di punibilità precluda la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ove venga ritenuto motivatamente prevalente rispetto agli altri, come rilevato dalla sentenza impugnata. Di qui la manifesta infondatezza della doglianza sul punto.
Il quinto motivo di ricorso Ł infondato.
4.1 La graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicchŁ nel giudizio di cassazione Ł comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero
arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.), evenienza questa non ricorrente nel caso di specie, avendo la Corte distrettuale, non illogicamente, condiviso il procedimento di calcolo del giudice di primo grado, precisando la congruità della l’individuazione della pena base in modo comunque non lontano dall’invocato minimo edittale, essendo stato in tal modo esaustivamente riconosciuto l’impegno profuso dall’imputato nel tentativo di risollevare le sorti aziendali e, nel contempo, considerato l’elevatissimo importo evaso. Pertanto, in presenza di un apparato argomentativo non irrazionale, nØ frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, non vi Ł spazio per l’accoglimento delle obiezioni difensive, che sollecitano differenti apprezzamenti di merito che non possono trovare ingresso in sede di legittimità.
4.2 E’ infondata anche la doglianza inerente alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Occorre sul punto ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, li beneficio della non menzione, fondato sul principio dell'”emenda”, essendo finalizzato a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato mediante l’eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato, richiede per la sua applicazione, secondo quanto disposto dall’art. 175 cod. pen., un apprezzamento discrezionale del giudice sulla base di una valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 5, n. 46826 del 26/09/2024, COGNOME, Rv. 287324; Sez. 3, n. 37152 del 16/7/2013, COGNOME; Sez. 4, n. 34380 del 14/7/2011, COGNOME, Rv. 251509), senza che sia peraltro necessaria una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione (Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016, dep.2017, COGNOME, Rv. 268971), mentre la sospensione condizionale della pena ha l’obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un’efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale.
Non Ł dunque in sØ contraddittorio il diniego di uno dei due benefici e la concessione dell’altro (Sez. 3, n. 56100 del 09/11/2018, M., Rv. 274676; Sez. 3, n. 51580 del 18/09/2018, M., Rv. 274106).
E’ stato, tuttavia, affermato che la sentenza con cui venga concesso uno solo tra i benefici della sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna deve indicare le ragioni per le quali gli elementi valutati in senso favorevole per la concessione dell’uno non siano meritevoli di fondare la concessione dell’altro oppure indicare altri elementi di segno contrario alla concessione del beneficio negato (Sez. 4, n. 32963 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281787).
Nel caso di specie, mentre il Tribunale ha riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, in ragione della incensuratezza dell’imputato, del comportamento processualmente corretto e, specialmente, della assunzione della carica amministrativa in un momento successivo a quello di maturazione del debito erariale, in cui la società era in pieno dissesto, la Corte territoriale ha negato il riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, tenuto conto dell’elevatissimo importo dell’IVA non versata.
Si tratta di valutazione che la Corte territoriale, investita di pieni poteri cognitivi e decisori, ha correttamente assunto ed adeguatamente motivato, senza incorrere nel vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, avendo spiegato come proprio
l’elevato importo dell’IVA non versata fosse ostativo all’eliminazione della pubblicità del reato commesso.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 03/07/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente COGNOME NOME
NOME COGNOME