Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9136 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9136 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME COGNOME nato a Napoli il 16/9/1957
avverso la sentenza del 24/5/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/5/2024, la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia emessa il 5/12/2023 dal Tribunale di Napoli Nord, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 10-ter, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, e condannato alla pena di sei mesi di reclusione.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo – con unico motivo – la violazione degli artt. 42 e 45 cod. pen., e l’illogicità manifesta del motivazione. Con riguardo al profilo psicologico del reato, la difesa avrebbe indicato nel gravame plurimi elementi atti a dimostrare l’assenza del dolo, riferiti sia alle cause della improvvisa crisi di liquidità che aveva colpito la società del ricorrente, tutte riferibili agli istituti bancari, sia alle iniziative che lo stesso P aveva assunto per fronteggiare la situazione, anche attingendo al proprio patrimonio personale (la vendita di un appartamento a Napoli, il cui ricavato sarebbe stato utilizzato per sanare il debito con le banche). Ebbene, la Corte di appello si sarebbe pronunciata con argomento viziato, sia richiamando una forza maggiore mai invocata nel gravame, sia affidando rilievo decisivo alla asserita prevedibilità della crisi finanziaria, che, tuttavia, in sé non attesterebbe il dolo evasione. La sentenza, dunque, non avrebbe analizzato compiutamente gli argomenti indicati nell’atto di appello, né avrebbe esaminato la copiosa documentazione prodotta a testimoniare tutti i numerosi sforzi che il ricorrente avrebbe posto in essere per fronteggiare la crisi di liquidità; se ne imporrebbe, dunque, l’annullamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
La Corte di appello, investita del medesimo profilo oggetto dell’impugnazione qui in esame, ossia il dolo del reato di cui all’art. 10-ter, d. Igs. n. 74 del 2000, ha steso una motivazione del tutto adeguata, coerente con gli esiti istruttori e con i costanti indirizzi di questa Corte, oltre che fondata su elementi obiettivi e non contestati; come tale, dunque, non censurabile, non ravvisandosi quelle carenze argomentative che il ricorso denuncia.
In particolare, e pacifica l’oggettiva consumazione del delitto, la Corte di appello ha affrontato il tema dell’esigibilità della condotta doverosa, la suitas indicata nel ricorso, ed ha innanzitutto sottolineato che l’imputato non aveva allegato elementi che consentissero di individuare i presupposti della forza maggiore o dello stato di necessità (peraltro, estranei all’impugnazione in esame). Di seguito, e dunque escluso l’intervento delle due scriminanti, la sentenza ha sottolineato che la mancanza di liquidità richiamata dal COGNOME non poteva definirsi imprevista: anche dalle dichiarazioni del commercialista, infatti, emergeva che la crisi economica della “RAGIONE_SOCIALE” si era manifestata già nel 2015, a causa delle difficoltà verificatesi nel settore dell’edilizia, e che società aveva visto in quel periodo fallire un accordo con l’istituto bancario Unicredit per il risanamento del debito (con pagamento del 6 7 °/o di questo), a
causa del parere negativo espresso dal cogarante del finanziamento. In forza di ciò, la Corte di appello ha dunque evidenziato che, alla scadenza del debito IVA in esame (27/12/2016), la mancanza di liquidità costituiva un evento tutt’altro che imprevisto o imprevedibile, a fronte di difficoltà economiche e patrimoniali già ben conosciute dal contribuente e che lo avrebbero dovuto indurre ad accantonare VIVA certamente incassata. Con riguardo, poi, alla dilazione del pagamento che la società aveva ottenuto nel 2017, la sentenza ha sottolineato che ne era stata pagata una sola rata, rispetto alle venti complessive.
5.1. Il dolo generico che sostiene il reato, dunque, è stato individuato in ragione del carattere della crisi, certamente prevista, e della mancata adozione di misure idonee a fronteggiarla. Al riguardo, la Corte di appello ha preso in esame la vendita di un appartamento di proprietà del ricorrente a Napoli, definito “prestigioso”, ma ha poi evidenziato che l’istruttoria non aveva offerto alcun riscontro all’effettivo utilizzo del denaro ricavato per ripianare il debito tributar in quanto – come già evidenziato – della somma rateizzata, a titolo IVA, era stata pagata soltanto una rata. Analogamente, i concordati – proposti all’Agenzia delle entrate al fine di ripianare il debito – non avevano avuto esito positivo, così che le iniziative intraprese dal ricorrente, per come documentate da questo, non avevano consentito di escludere il dolo generico del reato, individuato adeguatamente alla luce delle considerazioni già richiamate.
In forza di quanto precede, la Corte di appello ha dunque riscontrato il profilo soggettivo del reato con una motivazione del tutto adeguata, priva di profili manifestamente illogici e correttamente rivolta all’analisi delle censure contenute nel gravame.
Infine, il Collegio osserva che sul giudizio non rileva la novella di cui al d. Igs. 14 giugno 2024, n. 87.
7.1. Nell’art. 13, d. Igs. n. 74 del 2000, è stato inserito (tra gli altri) il co 3-bis, in forza del quale i reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, stesso decreto, non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. A tal fine, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liqui dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.
7.2. Ebbene, nel caso di specie il difensore non ha mai sostenuto che le cause dell’omesso versamento fossero sopravvenute all’incasso dell’IVA, né è stato dedotto che la crisi non transitoria di liquidità fosse stata dovuta ad una delle ipotesi appena richiamate.
I
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Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2024
sigliere estensore
COGNOME Il Presidente