Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1447 Anno 2024
RITENUTO IN FATTO Presidente: COGNOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1447 Anno 2024
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 28/09/2023
1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza del 13 ottobre 2022 in parziale riforma della decisione del Tribunale di Ancona del 26 novembre 2020 ha disposto la confisca, anche per equivalente, a carico dell’imputato COGNOME NOME fino alla concorrenza della somma di euro 477.977,00 e confermato la condanna alla pena di mesi 4 di reclusione, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche relativamente al reato di c:ui all’art. 10 ter d Igs. 74 del 2000 (anno di imposta 2614, con mancato pagamento dell?IVA di euro 447.977,00).
COGNOME NOME propone ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
1. Mancanza di motivazione in relazione alla mancata valutazione della posizione del ricorrente, liquidatore della società RAGIONE_SOCIALE
L’imputato non era l’amministratore della società cooperativa, ma il liquidatore. La sua qualifica di liquidatore pur rappresentata non è stata valutata dai giudici del merito. L’imputato ha provveduto a effettuare tutti gl adempimenti connessi alla liquidazione; gli omessi versamenti dell’IVA sono relativi al 2013, in una fase precedente alla liquidazione (VIVA avrebbe dovuto versarsi mensilmente). La data del commesso reato è quella del momento della presentazione della dichiarazione annuale ai fini IVA, ma al 27 dicembre 2014 l’imputato si è ritrovato con una situazione di cassa che non consentiva il pagamento (impossibilità di provvedere).
La giurisprudenza di legittimità esclude la sussistenza del reato di omesso versamento di imposte, in capo al liquidatore di una società, quando questi non abbia distratto i fondi per scopi diversi da quello del pagamento all’erario (Sez. 3, n. 8995 del 2018). Il ricorrente ha pagato gli stipendi e TFR, ha versato i contributi INPS e ha fatto fronte a varie scadenze fiscali; non ha assegnato alcun credito a soci e fornitori o ad altri creditori.
Per l’art. 36, del d.P.R. 602 del 1973 il liquidatore deve distinguersi dall’amministratore della società. Questa posizione diversa non è stata minimamente affrontata dalla sentenza della Corte di appello.
2. Omessa motivazione sull’impossibilità oggettiva dei pagamenti dell’IVA. Le risultanze dibattimentali hanno evidenziato una crisi della società irreversibile che ha portato alla sua liquidazione; condizione questa che prova indiscutibilmente la situazione di impossibilità del pagamento dell’IVA da parte del liquidatore.
3. Violazione di legge (art. 322 cod. proc. pen.) relativamente alla mancata individuazione dei beni da sottoporre alla confisca.
Nelle ipotesi di sequestro preventivo non è necessario individuare i beni da sequestrare (basta specificare l’importo) potendosi individuare gli stessi in sede esecutiva. Invece, quando la confisca è disposta senza un previo sequestro i beni da confiscare devono individuarsi specificamente (S.U. n. 10561/2014). Per la confisca diretta nei confronti della persona giuridica è necessario che risulti nella disponibilità della stessa il possesso di denaro o altr beni da sottoporre a confisca.
La confisca (anche quella per equivalente) ha, infatti, natura sanzionatoria (vedi Corte cost. n. 97 del 2009).
Inoltre, non risulta possibile una confisca senza che nel processo di primo grado sia stata analizzata la relativa questione (su appello del P.M., come nel caso in giudizio).
Ha chiesto, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta inammissibile.
Sul primo motivo deve osservarsi che, in tema di reati tributari, il liquidatore di società di capitali subentrato dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, che ometta
di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima risponde del delitto di cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, no trovando applicazione le limitazioni fissate dall’art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che fa espresso riferimento alle sole imposte sui redditi e non esclude implicitamente la riferibilità al liquidatore dell’ad. 10-ter cit disciplinando esclusivamente la fase della riscossione tributaria dell’obbligazione solidale, di natura civilistica, di quest’ultimo per il pagamento dei tributi non versati (vedi in termini Sez. 3 – , Sentenza n. 20188 del 12/02/2021 Ud. (dep. 21/05/2021 ) Rv. 281340 – 01).
La sentenza impugnata evidenzia, anche, che il ricorrente aveva assunto la carica di liquidatore volontariamente (non per nomina giudiziaria) ed aveva lui stesso presentato le dichiarazioni IVA di cui all’imputazione.
4. Sul secondo motivo il ricorso risulta generico e non si confronta con le adeguate motivazioni della sentenza che evidenzia come non risulta dimostrata, nel giudizio di merito, l’assoluta impossibilità di versare le imposte, anche considerando le scelte dell’imprenditore (nel caso del liquidatore) di continuare nell’esercizio dell’impresa (pagando i dipendenti).
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione è costante nel ritenere che l’inadempimento della obbligazione può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico; la Cassazione ha, infatti, escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione (contributiva o fiscale) per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una cri di liquidità (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 – dep. 25/02/2015, COGNOME, Rv. 26312801; vedi anche Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019 – clep. 29/05/2019, COGNOME, Rv. 27596701).
Inoltre, «In tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’Iva cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777
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cod. civ.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 cod civ.), vige nel solo am delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della par condicío creditorum, al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato» (Sez. 3, n. 52971 del 06/07/2018 – dep. 26/11/2018, COGNOME, Rv. 27431901).
Si tratta, comunque, di una questione di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se ben motivata come nel caso in esame.
Anche l’ultimo motivo risulta generico e manifestamente infondato. Per disporre la confisca in sede di condanna non è necessario indicare i beni da confiscare, ma solo l’importo (“In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento non è tenuto ad individuare concretamente i beni da sottoporre alla misura ablatoria, ma può limitarsi a determinare la somma di denaro che costituisce il profitto o il prezzo del reato o il valore ad essi corrispondente, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al “quantum” indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero”, Sez. 6, Sentenza n. 53832 del 25/10/2017 Cc. (dep. 29/11/2017) Rv. 271736 – 01; vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 9738 del 02/12/2014 Cc. (dep. 05/03/2015 ) Rv. 262893 – 0).
L’individuazione dei beni da sottoporre a confisca è, quindi, un problema di esecuzione della misura.
Alla data della sentenza impugnata (13 ottobre 2022) i reati non erano prescritti e l’inammissibilità del ricorso esclude la valutazione della prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata: «L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso)» (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagament delle spese processuali e della somma di C tremila in favore della Cassa d ammende.
Così deciso il 28/09/2023