Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29873 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29873 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME nato a Ferrara V8/8/1953
avverso la sentenza del 17/10/2024 della Corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/10/2024, la Corte di appello di Bologna confermava la pronuncia emessa il 21/6/2023 dal Tribunale di Ferrara, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 10-ter, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, e condannato alla pena di sei mesi di reclusione.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo – con unico motivo – la manifesta illogicità della motivazione ed il travisamento della prova. Pacifico l’omesso pagamento del debito erariale, la sentenza non si sarebbe confrontata con gli argomenti indicati nel gravame quanto alla forza maggiore che avrebbe
costretto all’omissione, e la Corte di appello avrebbe confermato la condanna con evidente travisamento della prova. In particolare, non sarebbero state considerate circostanze di fatto assai rilevanti quanto al profilo psicologico del reato, co le rateizzazioni di cui la società avrebbe beneficiato fino al 2013; b) le succ “rottamazioni”, in gran parte onorate (anche con il versamento di 200mila euro titolo di IVA 2016, nel 2018); c) i consigli che il ricorrente avrebbe ricevut proprio consulente (sospendere i pagamenti per giungere ad una soluzione dell crisi di impresa, con successiva presentazione di concordato preventivo nel cor del 2018 e 2019); d) le iniziative adottate ancora dall’Orpelli per ristrutt allungare il debito; e) la rinuncia a qualsiasi compenso; f) il versamento nell’azienda del proprio intero patrimonio personale, al fine di garantirne l’operatività. Ebbene, tutti questi decisivi elementi non sarebbero stati esaminati dal Giudice di appello, che così avrebbe erroneamente escluso evidenti indici di una conclamata forza maggiore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
La Corte di appello, infatti, ha confermato la decisione di condanna con un motivazione del tutto adeguata, fondata su oggettivi elementi istruttori e pri illogicità manifesta; come tale, dunque, non censurabile, specie nei termini d mancata risposta alle questioni poste dal gravame ed al travisamento della prov che non si riscontrano nella sentenza impugnata.
4.1. In parlicolare, richiamata la costante giurisprudenza di questa Cort tema di dolo del reato di cui all’art. 10-ter in esame (giurisprudenza, peraltro, non contestata dal ricorrente), si osserva che la pronuncia impugnata ha evidenziato che nel 2018 la “RAGIONE_SOCIALE“, di cui l’COGNOME er amministratore unico, disponeva di un attivo sufficiente a soddisfare le pretese erariali (in particolare, VIVA 2017 in questione), e che nel 2019 era stato concl un contratto di affitto di ramo di azienda. Ancora, è stato sottolineato argomento in fatto – che la contrazione del volume d’affari era intervenuta periodo 2016/2017, ossia in epoca successiva al compimento di gran parte dell operazioni dalle quali era maturato il debito IVA. Sotto connesso profilo, e semp con elemento di puro merito, la Corte di appello ha poi evidenziato che la ste riduzione dei ricavi e la contrazione del volume d’affari erano state comunq dedotte in termini generici, peraltro senza nulla provare in ordine alle risp cause ed alla eventuale (non) imputabilità delle stesse proprio al ricorrente. sicuro rilievo nell’ottica del dolo del reato, inoltre, la sentenza ha sottol mancanza di prova circa eventuali tentativi di recupero dei crediti, o di even
finanziamenti eseguiti da soci, o, ancora, di eventuali richieste di credito, emergendo soltanto rateizzazioni con l’Erario per gli anni 2013 e 2014.
4.2. A questi oggettivi elementi, i Giudici del merito hanno poi aggiunto – dato non contestato – che il ricorrente aveva comunque usato le proprie disponibilità economiche per assolvere altri obblighi (nei confronti dei dipendenti, dei fornitori e degli istituti di credito), piuttosto che quelli verso l’Erario, così evidentement collocando il mancato versamento dell’IVA – oggetto della contestazione – in una precisa scelta imprenditoriale, tale da evidenziare la coscienza e volontà di non provvedere al pagamento dell’imposta. Con questo argomento, privo di illogicità manifesta, è stata dunque negata la scriminante della forza maggiore (tale da imporre una via, escludendo ogni ragionevole o possibile ricorso ad altra), emergendo piuttosto, in capo all’imputato, l’adesione ad una esplicita opzione che, tuttavia, comprende in sé anche il dolo del reato in esame. Questa stessa opzione, peraltro, era stata perpetrata dall’COGNOME per diversi anni, secondo una non contestata ricostruzione in fatto, così ulteriormente riscontrando il profilo soggettivo del delitto: fin quando le disponibilità economiche avevano consentito il pagamento delle imposte (anche in forme rateizzate o “rottannate”, come per IVA 2016), ciò era avvenuto, mentre per il periodo successivo era stata esplicita la decisione di utilizzare le disponibilità medesime per finalità diverse dal pagamento dell’IVA in oggetto.
4.3. A conclusioni difformi, peraltro, non si potrebbe giungere neppure applicando l’art. 13, comma 3-bis, d. Igs. n. 74 del 2000, introdotto dal d. Igs. 14 giugno 2024, n. 87, in forza del quale i reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter, stesso decreto, “non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudic tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibil dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi”: nessuna di queste ipotesi, infatti, è sostenuta dal ricorrente, né si afferma che siano stati offerti Giudice del merito elementi in tal senso.
La motivazione della sentenza impugnata, pertanto, non evidenzia la manifesta illogicità o il travisamento delle prove denunciati nel ricorso, che, dunque, deve essere dichiarato inammissibile.
5.1. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2025
Il 9
799sigliere estensore
Il Presi