Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 21261 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 21261 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Savona il 4 maggio 1966 avverso la sentenza del 22/03/2024 della Corte di Appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 27 gennaio 2023, il Tribunale di Milano, riconosciuta la continuazione e con sospensione condizionale della pena, ha condannato l’imputato ad anni 1 e mesi 2 di reclusione, con confisca per equivalente in ragione di euro 2.697.098,49, per i seguenti reati: 1) limitatamente alle annualità 2015 e 2016 (artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 10-bis del d.lgs. n. 74 del 200)0 perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, non versava
NOME
entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, ritenute dovute risultanti dalla certificazione rilasciata da sostituiti (in particolare, per l’anno 2016, di ammontare pari ad euro 869.792,10); 2) art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, nella medesima qualità, non versava l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale per il periodo di imposta 2016, entro il termine previsto per il pagamento dell’acconto del periodo di imposta successivo per un importo complessivo di euro 813.604,00, superiore alle soglie di legge.
Con sentenza del 22 marzo 2024, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato relativamente al reato contestato al capo uno, con riguardo all’annualità 2015, perché estinto per prescrizione e, di conseguenza,RA, rideterminato la pena per i reati residui in anni 1 e mesi 1 di reclusione, ridotta la disposta confisca per equivalente ad euro 1.683.396,10.
Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denunciano violazione di legge e vizi della motivazione circa il giudizio di colpevolezza dell’imputato.
Secondo la prospettazione difensiva, la Corte di appello avrebbe errato nel considerare insussistente la causa di forza maggiore di cui all’art. 45 cod. pen., determinata dalla crisi economica della società a causa dei mancati pagamenti da parte delle amministrazioni pubbliche sue committenti, e pertanto, non ·riconducibile al comportamento dell’imputato. La Corte avrebbe altresì omesso di valutare la proattività dell’imputato nel cercare di risolvere la situazione di crisi aziendale e gli elementi a discarico spesi dalla difesa per dimostrare la non imputabilità della crisi al ricorrente, quali le produzioni documentali – relative all’apertura di una procedura di concordato e ad accordi sindacali per ridurre la retribuzione del personale dirigenziale – e le testimonianze del dott. COGNOME e del prof. COGNOME Ancora, la Corte avrebbe posto alla base del proprio giudizio elementi relativi all’evoluzione della crisi societaria negli anni successivi rispetto a quelli oggetto di accertamento, focalizzandosi su un contesto diverso da quello in cui si trovò ad operare COGNOME.
2.2 Con un secondo motivo di ricorso, la difesa si duole della violazione degli artt. 133 cod. pen. e 12 del d.lgs. n. 74 del 2000 e di vizi della motivazione in punto di determinazione delle pene accessorie.
Si sostiene che la Corte ha evidenziato come il Tribunale, nell’irrogazione delle pene accessorie, avesse previsto la misura minima, quando invece, alla luce di quanto disposto dall’art. 12 del d.lgs. n. 74 del 2000, se ne era discostato per
l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. Inoltre secondo la prospettazione difensiva, l’entità della sanzione accessoria avrebbe dovuto essere ridotta avuto riguardo alla prescrizione di uno dei tre reati contestati.
2.3. Con un terzo motivo di ricorso, si lamentano la violazione degli artt. 27 Cost., 157 cod. pen, e 12 del d.lgs. n. 74 del 2000 e vizi della motivazione con riferimento all’omessa riduzione delle sanzioni accessorie, in conseguenza della declaratoria di prescrizione del reato ex art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 per il periodo di imposta 2015.
Secondo la prospettazione difensiva, la Corte avrebbe omesso di rideterminare l’entità della sanzione accessoria a seguito della prescrizione di uno dei tre reati contestati e non avrebbe fornito adeguata motivazione circa la ratio in ragione della quale gli effetti della prescrizione sarebbero stati applicati alla pena principale e alla confisca ma non alle pene accessorie.
2.4. Con un quarto motivo di doglianza, la difesa si duole della violazione dell’art. 12-bis del D. Lgs. 74/2000 e di vizi della motivazione in relazione all’applicazione della confisca per equivalente disposta nei confronti dell’imputato senza preventiva effettiva verifica della possibilità di eseguire la confisca diretta nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE
Secondo la difensa, la Corte ha basato il proprio giudizio sulla sentenza dichiarativa di insolvenza della società, omettendo di considerare che la stessa sentenza afferma la possibilità di riequilibrio economico all’esito della procedura di amministrazione straordinaria e del patrimonio societario monetizzabile.
2.5. La difesa ha depositato memoria, con la quale, a integrazione del primo motivo di doglianza, lamenta la mancata considerazione dell’inesigibilità dei pagamenti dei debiti tributari, visto il grave quadro di dissesto economico documentato nel corso del giudizio, condizionato da una crisi generale del settore operativo, da pagamenti ritardati da parte delle amministrazioni committenti, dall’impossibilità di una interruzione dell’erogazione del servizio pubblico appaltato, che avrebbe portato a sanzioni. Nessuna libera scelta nel senso dell’inadempimento delle obbligazioni tributarie sarebbe, dunque, ascrivibile all’imputato.
2.6. Nel replicare, con successiva memoria, alle conclusioni del pubblico ministero, la difesa ribadisce quanto già dedotto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, limitatamente alla durata della pena accessoria dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
1.1 Il primo motivo di doglianza – relativo al giudizio di colpevolezza dell’imputato e oggetto di ulteriore precisazione con successiva memoria – è inammissibile, perché generico e rivalutativo delle risultanze probatorie. La Corte di merito, in ogni caso, offre ampia motivazione sul punto, evidenziando come non vi siano elementi rilevanti per riscontrare l’assenza dell’antigiuridicità, per forza maggiore, o la carenza del dolo postulato dalle fattispecie in questione.
1.1.1. Infatti, come correttamente affermato dalla Corte, in tema di reati di omesso versamento di imposte di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, la rilevanza dell’inesigibilità del versamento delle ritenute certificate, in caso di crisi di liquidità dell’impresa, presuppone, comunque, che detb crisi di liquidità effettiva sia stata offerta piena prova, come pure dell’interruzione dell’eventuale nesso causale con la condotta dell’imputato e, soprattutto, dell’estraneità del medesimo anche quanto al momento rappresentativo del dolo. E infatti, le semplici difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non sono di per sé riconducibili al concetto di forza maggiore che, postulando la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, esula del tutto dalla condotta dell’agente, così da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente. In definitiva, la responsabilità può essere esclusa solo ove l’impresa dimostri di aver fatto tutto il possibile per recuperare le risorse economiche necessarie ai propri obblighi tributari, ricorrendo ad esempio al credito bancario o al factoring, ovvero eseguendo i pagamenti dovuti subito dopo aver incassato le somme di cui era creditrice. Si è inoltre precisato che l’omesso versamento dell’IVA I dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale, non esclude la. sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, visto che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi; nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’IVA per altrui inadempimento, deve essere fornita prova dei motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (ex plurímis, Sez. 3, n. 27202 del 19/05/2022, Rv. 283347; Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019, Rv. 275967; Sez. 3, n. 41689 del 26/6/2014, n.m.). Analogamente, anche in tema di omesso versamento delle ritenute certificate, è stato espressamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la situazione di difficoltà finanziaria dell’imprenditore non costituisce causa di forza maggiore in grado di escludere l’antigiuridicità della condotta. In particolare Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (ex plurimis, Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017, Rv. 271189; Sez. 3, n. 37528 del 12/06/2013, Rv. 257683).
1.1.2. Nel caso in esame, i giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione, hanno evidenziato che i testi a discarico, come pure l’imputato, non hanno riferito in modo analitico e completo circa l’esistenza di quei fattori esimenti prospettati dalla difesa, riportando mere circostanze generiche, o comunque non dirimenti. In particolare, la prospettazione difensiva circa il difetto di esigibili della condotta ed il difetto dell’elemento psicologico, come ben sottolineato dalla Corte di appello (pagg. 9 e ss. del provvedimento), risulta insufficiente quanto alle cause e all’entità della crisi di liquidità. Si è correttamente osservato che, dal documento di analisi del gruppo al 31 marzo 2013, era emerso che lo stato di crisi della società era dovuto principalmente al rilevante indebitamento finanziario, con conseguente stato di insolvenza di tutte le società del gruppo. Il peggioramento finanziario e le difficoltà economiche erano, però, ampiamente e prevedibili, anche perché la documentazione difensiva fa emergere come l’imputato avesse consapevolmente destinato le somme dovute a titolo di Iva o di ritenuta d’acconto al soddisfacimento di altri crediti o rapporti..
Fermi dunque i parametri ermeneutici richiamati, la sentenza impugnata – che si salda sul punto con quella conforme di primo grado – ha dato ampio conto delle ragioni per le quali si è escluso il soddisfacimento del descritto onere probatorio gravante sull’imputato. Si è preso in esame un ampio arco temporale delle vicende societarie, escludendo così qualsiasi vizio nella valutazione dell’incidenza causale della crisi medesima rispetto all’annualità oggetto di condanna.
In questo quadro, le critiche difensive risultano congetturali, perché non danno conto, se non attraverso generiche asserzioni relative alla natura del servizio prestato, delle ragioni per le quali l’imputato ha privilegiato il pagamento di crediti diversi rispetto a quelli tributari, con le risorse che aveva a disposizione. Esse risultano, altresì, prive di specificità con riferimento alla valenza dei documenti e delle testimonianze richiamate, in quanto si limitano a dare conto di una situazione – tanto perdurante quanto prevedibile nei suoi effetti di dissesto finanziario – con un’anticipata emissione di fatture del tutto ingiustificata rispetto
agli asseriti plurimi inadempimenti dei pagamenti dei corrispettivi da parte dei committenti e un sostanziale storno di risorse a favore di altri rapporti debitori.
1.2. Il secondo e il terzo motivo di doglianza, con riferimento alla pena accessoria dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per una anno, sono fondati. Erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che tale pena sia stata irrogata dal Tribunale nella misura minima e, dunque, non ha provveduto alla sua riduzione, pure in presenza di una declaratoria di prescrizione di uno dei reati. Essendo chiara la volontà del giudice di applicare la pena accessoria nel minimo, la stessa può essere ridotta direttamente da questa Corte di cassazione alla durata minima legale di sei mesi, fissata dal comma 1, lettera a), dell’art. 12 del D. Lgs. 74/2000, previo annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente a tale profilo, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lettera /), cod. proc. pen.
1.3. Il quarto motivo di ricorso – relativo all’erronea applicazione della confisca per equivalente disposta nei confronti dell’imputato senza preventiva effettiva verifica della possibilità di eseguire la confisca diretta nei confronti della società è infondato, non emergendo alcuna violazione di legge né vizio motivazionale, a fronte di un ammontare già ridotto nel quantum in ragione del parziale proscioglimento.
Deve infatti rilevarsi che la mera possibilità astratta di soddisfacimento del credito erariale attraverso i beni della società, all’epoca amministrata dall’odierno imputato e attualmente sottoposta ad amministrazione controllata, non esclude in alcun modo la legittimità del ricorso alla confisca per equivalente. Trattasi, infatti, di misura avente natura surrogatoria, attivabile ·laddove emerga in concreto l’incapienza dei beni aggredibili mediante confisca diretta. Come correttamente evidenziato dalla Corte di appello (pag. 16 del provvedimento), il regime giuridico cui era sottoposta la società in esame, rende di per sé solo ipotetico l’eventuale recupero degli importi dovuti. Pertanto, le asserzioni difensive si sostanziano in mere ipotesi prive di alcun riscontro, non essendo stata indicata l’eventuale presenza nel patrimonio della società dell’effettivo profitto del reato ed essendo irrilevante, oltre che non dimostrata, l’eventuale presenza presso la società di beni equivalenti.
Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, relativamente alla durata della pena accessoria dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, da rideterminarsi in mesi sei; il ricorso deve essere rigettato nel resto.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente alla durata della pena accessoria dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle
imprese; durata che ridetermina i mesi sei. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 05/02/2023.