Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11588 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11588 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Figline e Incisa Valdarno ill DATA_NASCITA avverso la sentenza del 02/03/2023 della Corte di appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2 marzo 2023, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Fireze del 8 giugno 2020, con la quale l’imputato era stato condannato, alla pena di un anno di reclusione, per il reato previsto dall’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, aveva omesso di versare nel termine di legge
l’imposta sul valore aggiunto risultante dalla dichiarazione annuale relativa all’anno di imposta 2014 per l’importo di euro 468.250,00.
Avverso la sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione di legge ed il vizio della motivazione del provvedimento impugnato, con riferimento all’incidenza delle note di credito emesse nell’anno 2014 dalla società RAGIONE_SOCIALE in relazione al mancato superamento della soglia di punibilità, per effetto dell’errato conteggio delle note stesse. La Corte di appello avrebbe erroneamente calcolato l’importo dell’imposta dovuta dal ricorrente in quanto il debito Iva della RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2014 – pari ad euro 468.250,00 – sarebbe costituito per oltre il 55% dalla diminuzione del credito Iva conseguente alla registrazione delle note di credito emesse da RAGIONE_SOCIALE – pari ad euro 257.682,54 – e non già dal materiale ricevimento di somme poi utilizzate per finalità diverse con configurazione di una vera e propria distrazione vietata. Non si potrebbe attribuire alcuna rilevanza giuridica e logica alla incidenza delle note di credito sul fatturato della società, dal momento che queste riguarderebbero i costi mentre il fatturato si riferirebbe ai ricavi, si tratterebbe pertanto di un confronto di grandezze d natura diversa. Dunque, il credito d’imposta per la società RAGIONE_SOCIALE si sarebbe ridotto di complessivi euro 257.682,54 e, pertanto, dal debito d’imposta complessivo di euro 468.250,00, il debito effettivo per l’Iva relativa all’anno 2014 sarebbe pari ad euro 210.567,46, somma che, per effetto del pagamento delle rate versate in forza della transazione fiscale, si ridurrebbe ad euro 152.179,71, valore inferiore alla soglia di rilevanza penale di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con una seconda censura, si denuncia il vizio della motivazione del provvedimento impugnato, anche per travisamento della prova, nonché la mancata assunzione di una prova decisiva, in relazione all’omessa valutazione della documentazione versata nei precedenti giudizi di merito. Per la difesa, la Corte territoriale non ha compreso che la causa della crisi di liquidità non è l’inadempimento dei debitori, bensì l’improvviso ed imprevedibile scioglimento del contratto di concessione di vendita delle autovetture da parte della RAGIONE_SOCIALE. La Corte di appello avrebbe ignorato completamente che a fronte dello scioglimento del contratto di concessione di vendita da parte di RAGIONE_SOCIALE, dopo soli quindici giorni, il signor COGNOME aveva provveduto a stipulare il contratto di affitto del ram d’azienda e, nei primi giorni del 2015, aveva proposto l’accordo di ristrutturazione dei debiti e la transazione fiscale. Risulterebbe inoltre che il ricorrente, a seguit dello scioglimento del contratto di concessione e quindi della irreversibile crisi
aziendale, abbia cessato tutti i rapporti di lavoro subordinato, salvo quello con un unico dipendente. Egli avrebbe corrisposto retribuzioni e Tfr per oltre 711.000,00 euro; avrebbe incaricato immediatamente il AVV_NOTAIO di introdurre una procedura concorsuale minore, ed in particolare un accordo di ristrutturazione dei debiti, al fine di evitare il dissesto irreversibile dell’impresa e prevenir fallimento. A causa del ritardo nel pagamento delle ultime tre retribuzioni e del Tfr da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, l’imputato si sarebbe sentito in obbligo di assicurare immediatamente ai suoi ex dipendenti i mezzi di sostentamento e, quindi, di non procedere con un’istanza di fallimento in proprio. Il collegio di merito avrebbe dunque omesso di considerare che l’agire del ricorrente era stato dettato unicamente dall’apprezzabile obbligo morale di assicurare i necessari mezzi di sostentamento ai propri ex dipendenti, essendo soggettivamente inesigibile una condotta diversa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Il primo motivo – relativo all’incidenza delle note di credito, emesse nell’anno 2014 dalla società RAGIONE_SOCIALE, in relazione al mancato superamento della soglia di punibilità – è prospettato in modo non specifico e, comunque, manifestamente infondato.
Giova ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis norme att. cod. proc. pen., introdott dall’art. 7, comma 1, del d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (ex plurimls, Sez. 2, n. 33523 del 16/06/2021, Rv. 281960 – 02; Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419).
Nel caso in esame, la difesa ha omesso di richiamare, nel ricorso per cassazione, elementi concreti dai quali risulti l’erroneità del calcolo del debito Iv così come ricostruito dalla Corte di appello sulla base della stessa dichiarazione del contribuente, la quale costituisce la base per la determinazione della somma da versare, che non può essere contestata da risultanze eventualmente diverse presenti nelle annotazioni contabili. In ogni c:aso, il teste COGNOME ha chiarito che i calcoio dell’imposta è stato effettuato tenendo conto anche dell’incidenza delle note di credito, che è stata del 12,505%; determinazione alla quale la difesa non ha contrapposto un suo documentato conteggio alternativo.
3.2. La seconda doglianza – riferita allo stato di dissesto della società, che renderebbe inesigibile l’adempimento fiscale entro il termine rilevante a fini penali – è inammissibile.
La questione è stata adeguatamente affrontata dalla Corte di appello che si è posta sulla scia della consolidata affermazione di questa Corte (ex plurimis; Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019, Rv. 275967; Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Rv. 259190; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Rv. 263128), secondo cui l’imputato può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito erariale, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi concreto, occorrendo in definitiva la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili.
Alla luce di tale premessa, devono escludersi le lacune argomentative dedotte dalla difesa, avendo la Corte di appello rimarcato la mancata prova di eventi straordinari, ingestibili e imprevedibili, apparendo piuttosto i fatti dedotti ricorrente riconducibili a generali manifestazioni dell’ordinario rischio di impresa. giudici di merito hanno puntualmente evidenziato che la risoluzione del contratto di fornitura con la RAGIONE_SOCIALE non può in alcun modo considerarsi imprevedibile, posto che, dal compendio probatorio agli atti’ risulta che l’intervenuta risoluzione sia avvenuta a causa dell’entità del debito conseguente ai pregressi inadempimenti della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, pari a quasi 140.000,00 euro, e fronte del fatto che, proprio alla luce di tale debito, la RAGIONE_SOCIALE aveva già indirizzat alla società del ricorrente un’intimazione di pagamento in cui si riservava espressamente di azionare gli altri rimedi previsti dal contratto.
Le argomentazioni richiamate dal ricorrente risultano del tutto inidonee a contrastare i rilievi contenuti nella sentenza impugnata, secondo cui risulta decisivo il fatto che la parte ricorrente non abbia fatto riferimento a specifiche condotte finalizzate a fronteggiare la crisi di liquidità. In altri termini, la difes chiarisce, neanche con il ricorso per cassazione, se possa essere ritenuta sussistente nel caso di specie una situazione di assoluta impossibilità di provvedere all’adempimento dell’obbligazione, perché richiama atti irrilevanti a tal fine, quali le retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti e la volontà di introdurre un accordo
di ristrutturazione dei debiti, che nulla possono dimostrare circa le cause del dissesto finanziario e circa i mezzi concretamente utilizzati dall’imputato per farvi fronte. Anche il fatto che le obbligazioni tributarie siano rimaste inadempiute per l’esigenza di adempiere prioritariamente alle obbligazioni di pagamento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti è di per se inidoneo a configurare la diversa circostanza scriminante dello stato di necessità ed anzi risulta elemento confessorio rispetto alla responsabilità del ricorrente, avendo questo deciso scientemente di anteporre alla soddisfazione del debito erariale la corresponsione degli emolumenti ai propri ex dipendenti, scelta moralmente apprezzabile – che è stata effettivamente valutata positivamente dal Tribunale ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche – ma che risulta tuttavia inidonea ad elidere la responsabilità penale del ricorrente. Infatti, quando l’imprenditore, in presenza di una situazione economica difficile, decida di dare la preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle imposte, non può addurre a propria discolpa l’assenza dell’elemento psicologico del reato, ricorrendo in ogni caso il dolo generico; nel conflitto tra il diritto del lavorator ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo in quanto è il solo a ricevere, secondo una scelta del legislatore non irragionevole, tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie incriminatrice (ex plurimis, Sez. F, n. 23939 del 11/08/2020, Rv. 279539; Sez. 3, n. 36421 del 16/05/2019, Rv. 276683; Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017, Rv. 271189).
Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q. M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.