Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35034 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35034 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/10/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/10/2024, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza emessa in data 25/05/2023 dal Tribunale di Napoli, con la quale COGNOME NOME era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 10-ter d.lgs 74/2000 e condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed alle correlate pene accessorie, con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità.
Argomenta che la Corte territoriale, nel confermare l’affermazione di responsabilità, riteneva sussistente l’elemento soggettivo del reato contestato, limitandosi a qualificare come fatto non imprevedibile e, dunque, evitabile, il venir meno dei finanziamenti pubblici relativi al proprio settore di riferimento, senza specificare le ragioni poste a sostegno di tale processo motivazionale.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 131-bis cod.pen.
Argomenta che la Corte territoriale aveva denegato l’applicabilità dell’art. 131-bis cod.pen, dando rilievo ostativo al carattere non irrisorio del superamento della soglia di punibilità ed al fatto che il debito tributario non era sta integralmente soddisfatto; non erano stati, invece, considerati, quali elementi favorevoli, che la somma non versata risultava di poco eccedente la soglia di punibilità e che l’omesso versamento era dovuto al fatto che il ricorrente aveva dato priorità al pagamento dei propri dipendenti.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
I Giudici di appello hanno evidenziato che le convergenti risultanze istruttorie comprovavano che l’imputato aveva consapevolmente scelto di non versare l’Iva dovuta per il periodo di imposta 2016, considerato che il venir meno dei finanziamenti pubblici non poteva considerarsi evento imprevedibile e che le residue risorse finanziarie della società erano state utilizzate per far fronte ad altra
posizione debitoria; hanno, quindi, rimarcato come l’obbligo tributario sia indipendente dalle vicende finanziarie della società e come il ricorrente non avesse neppure dato prova di aver adottato tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo.
Le argomentazioni sono congrue e logiche ed in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in subiecta materia.
Va ribadito che l’elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA è costituito dal dolo generico (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265939), configurabile anche nella forma del dolo eventuale (Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264882, cit), integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motivi della scelta dell’agente di non versare il tributo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263127), mentre l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352/2015 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 263128). Quanto alla incidenza della situazione finanziaria dell’impresa ai fini dell’esclusione della colpevolezza si è affermato che è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Rv. 258595), anche attingendo al patrimonio personale (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, dep. 2014, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, in motivazione). Più in particolare, l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (ex multis, Sez. 3, n. 27202 del 19/05/2022, Rv. 283347). Né la mancata riscossione di crediti costituisce circostanza idonea ad escludere il dolo, posto che si tratta di eventi che rientrano nel normale rischio di impresa (Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, COGNOME, in motivazione). Ed è stato precisato che l’omesso versamento dell’Iva cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 cod. civ.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 cod civ.), vige nel solo ambito delle procedure Corte di Cassazione – copia non ufficiale
esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della “par condicio creditorum”, al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato (Sez.3 n. 52971 del 06/07/2018, Rv.274319 – 01).
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha denegato la configurabilità della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod.pen, rimarcando la gravità del fatto sulla base di una valutazione in senso negativo delle modalità dell’azione (carattere non irrisorio del superamento della soglia di punibilità) e del comportamento susseguente al reato (pagamento solo parziale del debito tributario).
Le argomentazioni sono congrue e non manifestamente illogiche e la motivazione è conforme al principio di diritto, secondo cui, ai fini dell’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis cod.pen. ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez.3, n.34151 del 18/06/2018, Rv.273678 – 01: Sez 6, n.55107 del 08/11/2018, Rv.274647 – 01).
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27/06/2025