Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4209 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 4209  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a Grosseto il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/12/2022 della Corte di appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratori di inammissibilità del ricorso.
Depositata in Cancenetia
°ggi.
3 1 GEN. 2E24
RITENUTO IN FATTO
 Con sentenza del 01/12/2022, la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Grosseto in data 20/04/2021, con la quale COGNOME NOME era stata dichiarata responsabile del reato di cui all’art. 10-t 74/2000- perché nella qualità di amministratore unico dell’RAGIONE_SOCIALE ometteva il versamento dell’Iva dovuta, per il periodo di imposta 2 per un ammontare complessivo di euro 446.405,00 – e condannata alla pena di mesi sei di reclusione, condizionalmente sospesa.
 Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seg enunciati.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla sussistenz dell’elemento psicologico del reato.
Argomenta che con i motivi di appello si era evidenziato che a seguit dell’escussione dei testi COGNOME e COGNOME era stata fornita prova di una illiquidità in capo all’impresa negli anni 2014 e 2015 e della ricorre un’assoluta impossibilità di provvedere altrimenti alle esigenze dell’impresa reperire le risorse necessarie a consentire l’adempimento dell’obbligaz tributaria; la Corte di appello, a fronte di specifiche censure, aveva disa motivo di appello con motivazione sbrigativa e travisando le dichiarazioni rese testi indicati, che avevano dichiarato che l’impresa si era trovata nell’imposs di pagare il debito tributario anche attraverso iniziative dirette ad otte risorse necessarie sacrificando beni personali ovvero dirette ad ottenere rateizzazione del debito stesso con il fisco.
Con il secondo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione dell’art. 10-ter d.lgs 74/2000.
Argomenta che la Cote di appello di Firenze aveva ritenuto sussistent l’elemento soggettivo del reato contestato, affermando, in contrasto co giurisprudenza di legittimità, che la scelta di privilegiare operai e forni escludeva il dolo, integrato proprio della decisione di posticipare i pagament rispetto ad altri.
Con il terzo motivo ripropone eccezione di illegittimità costituzionale dell 10-ter d.lgs 74/2000 in relazione all’art. 3 Cost per ingiustificata disp trattamenti rispetto all’analoga fattispecie di cui all’art. 70 d.P.R. n. 6 rimarca che l’omesso versamento dell’Iva sulle importazioni, anche se di rileva
entità, non è oggi previsto come reato, pur essendo la condotta più grave de corrispondente ipotesi integrante il reato di cui all’art. 10 -ter d.lgs 74/2000.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo ed il secondo motivo di ricorso, entrambi afferenti all’affermazio di responsabilità, sono manifestamente infondati.
Va ricordato che l’elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA è costituito dal dolo generico (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 2016, Va Rv. 265939), configurabile anche nella forma del dolo eventuale (Sez. 3, n. 349 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264882, cit), integrato dalla condotta omissiva p in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motiv scelta dell’agente di non versare il tributo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 2015, COGNOME, Rv. 263127), mentre l’inadempimento della obbligazione tributari può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputa all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3 8352/2015 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 263128). Quanto alla incidenza dell situazione finanziaria dell’impresa ai fini dell’esclusione della colpevolez affermato che è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano sta adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo ( n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Rv. 258595), anche attingendo al patrimoni personale (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258055 Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, in motivazione). Più in particolare, l’om versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo n. 74, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effe riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricor procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (ex multis, Sez 27202 del 19/05/2022, Rv. 283347). Né la mancata riscossione di credit costituisce circostanza idonea ad escludere il dolo, posto che si tratta di eve rientrano nel normale rischio di impresa (Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, COGNOME in motivazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte territoriale, con motivazione congrua e non manifestamente illogica ed in linea con i suesposti principi di diritto, ha confermato la valutazione del giudice, rimarcando l’irrilevanza della crisi finanziaria in cui versava la socie quale era legale rappresentante l’imputata, peraltro insorta in epoca largam
antecedente al termine di versamento dell’Iva, non risultando iniziative provvedere alla corresponsione del tributo ed anzi, emergendo, la sce consapevole di posticipare il pagamento Iva per far fronte agli impegni confronti dei fornitori e degli operai.
A fronte di un percorso argomentativo adeguato e corretto, la ricorren propone, in sostanza, rilievi in fatto, orientati ad una diversa valutazione risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità. Le censure mosse, inf risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento d decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazi dei fatti, preclusa in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2 42369, De Vita, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, COGNOME, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, COGNOME, Rv. 235508).
La questione di legittimità costituzionale proposta con il terzo moti manifestamente infondata.
Va, innanzitutto, rimarcato come del tutto destituito di fondamento s l’assunto che l’omesso versamento dell’Iva sulle importazioni, anche se di rilev entità, non è oggi previsto come reato.
Questa Corte ha già affermato, in tema di reato di mancato pagamento dell’IVA all’importazione, previsto dall’art. 70, comma 1, d.P.R. 26 ottobre 1 n. 633, che, per effetto del rinvio, ai fini della determinazione del tratt sanzionatorio, alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di esula dalla previsione AVV_NOTAIO della depenalizzazione di cui all’art. 1, comm del digs. 15 gennaio 2016, n. 8, l’ipotesi in cui l’ammontare dell’imposta ev maggiore di euro 49.993,03, perché, in tale caso, alla pena della multa è aggiu quella della reclusione (Sez.3-, n. 19233 del 20/02/2019, Rv.275792 – 02).
In particolare, nella predetta sentenza si è osservato, in maniera condivisi che “se è ben vero che il reato di evasione dell’IVA all’importazione, prev dall’art. 70 cit. rientra nella previsione AVV_NOTAIO di depenalizzazione di cui 1, comma 1, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, essendo sanzionato con la sola pe della multa e non risultando ricompreso fra le 4 fattispecie escluse dalla s come indicate nell’elenco allegato al citato decreto legislativo (da ultimo, senso, Sez. 3, n. Sez. 3 n. 15436/18 del 24/11/2017, COGNOME ed altro, Rv. 2727 Sez. 3, n. 35888 del 14/06/2017, NOME, non massimata), va tuttavia osservato che, per effetto del richiamo effettuato dallo stesso art.70 cit., 1, quanto alle sanzioni, alle “disposizioni delle leggi doganali relative ai d confine” e, dunque, anche all’art. 295, u.co., del d.P.R. 23/01/1973, n. 43 prevede che alla pena della multa si aggiunga anche quella della reclusione quan l’ammontare dei diritti di confine sia maggiore di euro 49.993,03), esse l’ammontare della evasione nella specie addebitata pari ad euro 238.000, la pe
prevista è quella, appunto, congiunta della reclusione e della multa; da ciò d dunque che dovendo, per effetto dell’art. 1, comma 2, del d. Igs. n. 8 del cit., considerarsi l’ipotesi aggravata richiamata dall’art.70 cit. quale fa autonoma, nessuna depenalizzazione, operante solo per le ipotesi di contrabband punite con pena pecuniaria, può reputarsi intervenuta”.
Va, poi, rimarcato che le fattispecie incriminatrice di cui all’art. 70, d. 633 del 1972 e quella di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 si disting diversità strutturale ( “non può infatti prescindersi dalla diversa natur differenti presupposti delle due fattispecie che appaiono legittimare il legisl nel suo compito di regolazione della materia, a prevedere diversi limiti di rile penale, ovvero evasione dell’Iva interna, oggi condizionata al superamento di e 250.000, da una parte, ed evasione dell’iva all’importazione, condizionata in al superamento di euro 49.993,03, dall’altra” (Sez.3-, n. 19233 del 20/02/20 cit).
Del resto, questa Corte, con decisioni riferite, anche all’assetto prece alla depenalizzazione del 2016 (che prevedevano la rilevanza penale di fatt prescindere addirittura dall’importo evaso), ha già dichiarato la manif infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 70 del d. 633 del 1972, prospettata, in relazione all’art. 3 Cost., sotto il profilo dell entità di sanzione prevista per l’evasione dell’I.V.A. in relazione a c all’interno e per l’evasione dell’I.V.A. relativa ad importazioni e ciò sul ril tale disomogeneità è appunto obiettivamente giustificata dalla diversità d situazioni regolate (Sez. 3, n. 42462 del 23/06/2016, Theiler, non massimata Sez. 3, n. 1387 del 23/11/1983, COGNOME, Rv. 162661; si veda altresì Sez. 3, n. del 25/02/1983, COGNOME, Rv. 158903, che ha dichiarato la manifest infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 70 cit. fini dell’I.V.A. per le importazioni richiama, quanto alle sanzioni, le Dispos delle leggi doganali relative ai diritti di confine -, per presunto contrasto c 50 dello stesso d.P.R. n. 633 del 1972 e con l’art. 3 Cost. sul rilievo che il regime sanzionatorio di cui ai citati artt. 50 e 70 tiene conto della di intrinseca delle violazioni cui si riferiscono le due norme, riguardanti, la pr cessioni di beni e le prestazioni di servizi, e la seconda, le importazioni di q genere da chiunque effettuate anche di merci non sottoposte a dazi doganali).
In particolare, si è evidenziato (Sez. 3, n. 42462 del 23/06/2016, Theiler, massimata, cit) che “la diversità strutturale della fattispecie incriminatric all’art. 70, d.P.R. n. 633 del 1972, rispetto a quella di cui all’art. 10-ter 74 del 2000, impedisce che quest’ultima possa fungere da termine di paragone a fini dell’eccepita illegittimità costituzionale del reato di evasione d all’importazione nella parte in cui non prevede la medesima soglia di punibilit
quest’ultimo caso, infatti, elemento costitutivo del reato è l’importazione del (come definita dall’art. 67, d.P.R. n. 633 del 1972) che è, ad un tempo, an fatto costitutivo dell’obbligazione tributaria e del conseguente dover assolvimento dell’imposta rimasto inadempiuto; nel caso di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74, cit., fatto genetico del rapporto obbligatorio tributario precede la dichiarazione, essa solo presupposto ed è estraneo allo stesso accertamento del reato, tant’è la dichiarazione fiscale ha solo funzione ricognitiva/confessoria del quant debeatur, non certo dell’an. Sicché, mentre in questo ultimo caso il manc versamento dell’imposta non mette comunque a rischio il buon fondamento della pretesa dell’Erario, l’evasione dell’IVA all’importazione espone a pericolo la s possibilità di accertare la sussistenza della pretesa”.
Alla luce di tali rilievi, risulta, pertanto, la manifesta infondatezz questione di legittimità costituzionale proposta.
 Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilev dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod.proc.pen. compresa la prescrizione (Sez. U n. 21 del 11 novembre 1994, dep.11 febbraio 1995, COGNOME; Sez. U n. 11493 del 3 novembre 1998, COGNOME; Sez. U n. 23428 del 22 giugno 2005, COGNOME; Sez U n. 12602 del 17.12.2015, dep. 25.3.2016, COGNOME)
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pe non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna de ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella a pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso il 19/12/2023