Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9475 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9475 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da INDIRIZZO, INDIRIZZO di
.Fitalia 11 16/01/1949
avverso la sentenza del 04/05/2023 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modiff., dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176 che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria conclusiva trasmessa nell’interesse dell’imputato dall’AVV_NOTAIO
Ventimiglia, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 maggio 2023, la Corte d’appello di Roma, decidendo il gravame proposto da NOME COGNOME, ha confermato la sentenza con cui il medesimo era stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per aver omesso, quale legale rappresentante di una società cooperativa, il versamento dell’IVA per 1.034.746,00 euro in relazione all’anno d’imposta 2015.
Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, dolendosi, con il primo motivo, della mancata assunzione di prove decise e del vizio di motivazione per aver la Corte territoriale rigettato le istanze di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Tali istanze erano volte, da un lato, all’escussione testimoniale del commercialista della società e di una dipendente che si occupava delle questioni fiscali e contabili, i quali avrebbero potuto riferire sulla grave crisi di liquidità delle cooperativa e sul carattere involontario della stessa, dall’altro lato all’acquisizione della copia di u decreto ingiuntivo emesso in favore della società per i pagamento di crediti scaduti per euro 1.389.931,55, ciò che comprovava come l’imputato si fosse attivato per reperire le risorse necessarie per adempiere l’obbligazione tributaria.
Con il secondo motivo di ricorso si deducono la violazione dell’art. 43 cod. pen. e dell’art. 10-ter d.lgs. 74/2000 ed il vizio di motivazione sulla non volontarietà dell’omesso versamento, essendo la società stata posta in liquidazione a soli sei mesi di distanza dalla scadenza del termine previsto per l’adempimento dell’obbligazione tributaria. La sentenza aveva illogicamente ritenuto generiche le contestazioni mosse dall’appellante sulla crisi d’impresa, mentre il rilevante importo del decreto ingiuntivo ottenuto per il pagamento dei crediti insoluti dimostrava come questi non fossero contenuti in una fisiologica percentuale e, peraltro, non si era neppure accertato se la società avesse effettivamente incassato VIVA a debito che aveva generato l’obbligazione.
Con il terzo motivo di ricorso si lamentano la violazione degli artt. 133 ss. cod. pen. e il vizio di motivazione per essere stata inflitta una pena superiore al minimo edittale senza tener conto, almeno in quest’ottica, della evocata crisi d’impresa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e generico.
Posto che le prove la cui assunzione ed acquisizione è stata per la prima volta richiesta nel giudizio di appello erano pacificamente a conoscenza e nella disponibilità dell’imputato sin dal giudizio di primo grado, non v’è dubbio che nel caso di specie la richiesta di rinnovazione istruttoria doveva essere valutata ai sensi della previsione di cui al primo comma dell’art. 603, cod. proc. pen. Essa, dunque, poteva essere accolta soltanto «se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti».
1.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tale impossibilità sussiste unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, COGNOME, Rv. 256228; Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, COGNOME, Rv. 237410). D’altra parte, come confermato anche da questa Corte nella sua più autorevole composizione, la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso, appunto, esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266820; Sez. 2, n. 41808 del 27/09/2013, COGNOME, Rv. 256968).
Proprio per questo, tra l’altro, secondo un orientamento da tempo consolidato, il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento nel solo caso di suo accoglimento, mentre può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 275114; Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259893; Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872; Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009, Messina e a., Rv. 245009; Sez. 6, n. 5782/2007 del 18/12/2006, COGNOME, Rv. 236064). In sede di ricorso per cassazione, pertanto, la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale può essere censurata qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, COGNOME, Rv. 273577; Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE., Rv. 265323), mentre il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale si sottrae al sindacato di legittimit
quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 25/01/2021, Rv. 280589).
Tanto nel giudizio di appello, quanto in quello di legittimità è invece inammissibile la doglianza circa l’omessa istruttoria che attenga ad una attività “esplorativa” di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente (Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016, H., Rv. 267974; Sez. 3, n. 23058 del 26/04/2013, COGNOME, Rv. 256173).
1.2. Come meglio si dirà affrontando il secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata ha reso non illogica motivazione sulla sussistenza della responsabilità anche sul piano dell’elemento soggettivo, rilevando la genericità della doglianza per la prima volta proposta con l’appello – sulla crisi di liquidità che avrebbe impedito l’adempimento dell’obbligazione tributaria. Il tentativo di esplorare quel nuovo tema di prova nel giudizio di appello mediante l’audizione di due testimoni, ricorrendo all’eccezionale istituto della rinnovazione istruttoria, dunque, è stato correttamente e non illogicamente respinto e non presta il fianco a censure nemmeno la mancata acquisizione del decreto ingiuntivo.
Ed invero, la sentenza attesta che lo stesso è stato ottenuto nel maggio 2018, dopo che la società era stata messa in liquidazione quasi un anno prima. E’ evidente, pertanto, che, da un lato, l’iniziativa – la cui paternità non è peraltr neppure certamente attribuibile all’imputato, che era cessato dalla carica di legale rappresentante della società nel giugno 2017 (la contestazione per cui nel periodo successivo egli avrebbe continuato a svolgere funzioni di amministratore di fatto non è stata approfondita neppure nella sentenza di primo grado) – non è certamente idonea a dimostrare l’attivazione del ricorrente a reperire le risorse per pagare il debito tributario oggetto di contestazione, scaduto circa un anno e mezzo prima; d’altro lato, proprio in considerazione di quel significativo lasso temporale, in ricorso si sarebbe quantomeno dovuta allegare l’epoca degli insoluti a cui si riferisce il provvedimento monitorio e, in difetto, lo stesso è sul punto anche irrimediabilmente generico.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato, generico e proposto per ragioni consentite, posto che, in primo luogo, ci si limita a reiterare le medesime doglianze contenute nel gravame di merito, non illogicamente disattese dalla Corte territoriale, in applicazione di corrette regole ermeneutiche, senza che il ricorrente si confronti con le argomentazioni spese (cfr. Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 2594254; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838). In secondo luogo, si ripropongono inammissibilmente
a questa Corte doglianze attinenti alla ricostruzione e valutazione del fatto e delle prove (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362).
2.1. Ed invero, la sentenza impugnata richiama e correttamente applica i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, essendo pacifico che il reato di omesso versamento dell’IVA è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, sicché non rileva, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti urgenti (Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, dep. 2014, Casella, Rv. 258056). Né le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possono essere valutate in termini di “non volontarietà”, concetto – quello speso in ricorso – piuttosto generico e che sembra evocare l’istituto della forza maggiore. Com’è noto, tuttavia, quest’ultimo, postulando la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione o ad un’omissione cosciente e volontaria dell’agente (Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880). Questa conclusione vale anche con riferimento ai reati omissivi in materia di versamento di imposte, posto che, in tali casi, l’inadempimento della obbligazione può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Come ha poi osservato la Corte territoriale – senza che il ricorrente si confronti con questa affermazione – l’imputato non aveva in alcun modo allegato come erano stati impiegati i redditi ricavati dal consistente fatturato (pari a olt 6.380.000 euro nel 2015), né risulta che questi avesse dimostrato di aver fatto tutto il possibile, anche ricorrendo al credito bancario ed al proprio personale patrimonio, per reperire risorse al fine di adempire il debito tributario e, per quanto si è più sopra osservato, certo non può essere al proposito considerata l’iniziativa (a tutto concedere tardiva) assunta, non si sa se dall’imputato o dal liquidatore, in relazione al procedimento monitorio di cui al decreto ingiuntivo emesso nel maggio 2018.
Le considerazioni svolte dai giudici di merito circa il fatto che le problematiche genericamente addotte dall’imputato non consentissero di escludere il dolo sono, dunque, in linea con i consolidati principi ermeneutici e non sono manifestamente
illogiche, dovendosi peraltro rilevare come anche in questa sede le generiche allegazioni effettuate sono del tutto inidonee a far comprendere quale fosse la situazione di liquidità della società alla data di commissione del reato e ad apprezzare le ragioni per cui non erano state accantonate le somme incassate a titolo di IVA dai clienti.
Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e perché proposto per ragioni non consentite.
Ed invero, richiamando la obiettiva gravità del reato con riguardo all’elevato ammontare dell’IVA non versata, la Corte territoriale – integrando sul punto la deficitaria motivazione della sentenza di primo grado, che appariva distonica rispetto al dispositivo quanto al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche – ha ritenuto adeguata la pena base di un anno di reclusione determinata dal primo giudice, ridotta a mesi otto di reclusione in forza del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche applicate nella massima estensione. Trattandosi di una pena base superiore di soli sei mesi rispetto al minimo e ben inferiore al medio edittale, la doglianza al proposito mossa è dunque inammissibile posto che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito (Sez. 4, n. 21294 de 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197), sicché può essere censurata in sede di legittimità soltanto sul piano del soddisfacimento dell’obbligo di motivazione, per assolvere il quale, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 16 febbraio 2024.