Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16526 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16526 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 496/2025
NOME COGNOME
Relatore –
CC – 04/04/2025
EGLE PILLA
R.G.N. 4443/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TERNI il 12/09/1966
avverso la sentenza del 07/05/2024 della CORTE d’APPELLO di PERUGIA Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Perugia, con la sentenza emessa il 7 maggio 2024, riformava parzialmente quella del Tribunale di Terni, dichiarando l’estinzione pe r prescrizione di cui all’art. 10 -ter d.lgs. n.74 del 2000, con riferimento all’anno di imposta 2014, riducendo la pena principale e l’importo della confisca disposta in primo grado, ex art. 12bis d.lgs. cit.
Nel resto confermava la condanna di NOME COGNOME che era stato ritenuto responsabile – quale amministratore e poi liquidatore della RAGIONE_SOCIALE società di vigilanza, dichiarata fallita il 9 luglio 2018 – per bancarotta impropria da reato societario e bancarotta preferenziale
(capo 1), per il reato di cui art. 10ter d.lgs. cit. , contestato al capo 3), lett. b), relativo agli omessi versamenti dell’Iva in ordine al periodo di imposta 2015 , per il capo 4) relativo al delitto previsto dall’art. 2, comma 1 -bis , d.l. 463 del 1983, convertito con modificazioni dalla l. n. 638 del 1983, come sostituito dall’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 8 del 2016, per omesso versamento all’Inps delle trattenute previdenziali, tra il giugno e il novembre 2016 (capo 4).
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce vizio di motivazione in ordine al capo 3) lett. b) e capo 4), in ordine al dolo richiesto.
Dopo aver ricostruito la vicenda processuale e evidenziata l’intervenuta estinzione per prescrizione per i reati sub capi 3, lett. b) e 4), lamenta il ricorrente che la Corte di appello non avrebbe riconosciuto la sussistenza della forza maggiore impeditiva del pagamento dell’I va, determinata da una incolpevole carenza di liquidità, comprovata dal mancato pagamento da parte dei clienti della società di vigilanza.
Rappresenta il ricorren te come vi sia stata una disponibilità dell’imputato al pagamento dei debiti erariali, tanto da aver acceduto alla rateizzazione, non adempiuta per l’intervenuto sequestro preventivo del 6 aprile 2018.
Inoltre, l’imputato non aveva consapevolezza de ll’ammontare del debito e del superamento della soglia di punibilità di 250mila euro.
Infine, il motivo richiama l’art. 1 d. lgs. 87 del 14 giugno 2024, che introduce una nuova causa di non punibilità, se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore e sia sopravvenuta, tenendo in conto della crisi di liquidità per l’autore del reato, dovuta al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche.
Il secondo motivo deduce vizio di motivazione quanto all’elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale, non avendo la Corte territoriale valutato che gli unici debiti assolti dall’imputato furono quelli nei confronti dei lavoratori, mentre per il debito tributario e previdenziale erano in atto piani di rateizzazione, il cui inadempimento fu determinato dal sopravvenire del sequestro preventivo. In sostanza, difetterebbe il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, in quanto tale coefficiente soggettivo sarebbe deficitario nel caso in cui l’amministratore agisca per salvaguardare l’attività sociale e il risultato di evitare il fallimento possa essere ragionevolmente raggiungibile, come ritenuto
dalla giurisprudenza di legittimità. In sostanza non basta il solo pagamento in favore di un creditore, ad integrare il delitto, ma è necessario il dolo specifico, incompatibile con la richiesta di rateizzazione dei debiti erariali. Per altro i pagamenti operati in favore dei dipendenti non sono suscettibili di revocatoria fallimentare.
Il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del r innovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
Quanto al primo motivo, lo stesso è manifestamente infondato sotto plurimi profili , nonché generico quanto all’ultima doglianza.
Va anche premesso che il motivo, pur riferendosi all’esordio anche al reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali, si concentra nella parte argomentativa esclusivamente sulla violazione dell’art. 10 -ter cit ., vale a dire sull’omesso versamento dell’Iva. In sostanza sul primo reato le deduzioni risultano generiche oltre, che, comunque, per quel che si leggerà in ordine al delitto tributario, manifestamente infondate.
2.1 In primo luogo, in merito a tale ultima condotta, la Corte di appello ha escluso la sussistenza della forza maggiore, rilevando come la scelta di privilegiare i pagamenti dei lavoratori, al fine di consentire la prosecuzione delle attività, non esclude il dolo generico richiesto.
Si tratta di argomento non manifestamente illogico e speso in modo corretto: in tema di reati tributari, infatti, l’omesso versamento dell’Iva, dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale, non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (Sez. 3, n. 27202 del 19/05/2022, Natale, Rv. 283347 -01; conf.: N. 6506 del 2020 Rv. 278909 – 01, N. 6220 del 2018 Rv. 272069 – 01, N. 19099 del 2013 Rv. 255327 -01).
Quanto alle esigenze dei lavoratori, l’omesso versamento dell’Iva cui all’art. 10ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 cod. civ.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 cod civ.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della “par condicio creditorum”, al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato (Sez. 3, n. 52971 del 06/07/2018., COGNOME, Rv. 274319 -01). Anzi la prova inequivocabile del dolo del reato è rappresentata proprio dalla consapevole scelta di non pagare il tributo. In sostanza correttamente la Corte di appe llo evidenzia come la scelta di non adempiere al pagamento dell’Iva per proseguire l’attività e per ‘salvare l’occupazione’ afferisce a profili relativi ai motivi dell’agire che non escludono il dolo . Gli argomenti utilizzati dal ricorrente, a sostegno della fondatezza della oggettiva impossibilità di adempiere, appaiono quindi, alla luce delle considerazioni che precedono, «frutto di un’operazione dogmaticamente errata che tende ad attrarre nell’orbita del dolo generico requisiti che, per definizione, non gli appartengono e che si collocano piuttosto nell’ambito dei motivi a delinquere o che ne misurano l’intensità (art. 133 c.p.). La scelta di non pagare prova il dolo; i motivi della scelta non lo escludono» (così in motivazione, Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 25/02/2015, COGNOME, Rv. 263126 -01).
2.2 Anche consolidato è il principio per cui in tema omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, il quale non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3 COGNOME, cit . , nel caso, analogo a quello in esame, nel quale la Corte ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; conf.: N. 37528 del 2013 Rv. 257683 – 01, N. 2614 del 2014 Rv. 258595 – 01, N. 5467 del 2014 Rv. 258055 -01).
2.3 Generica è, infine, la richiesta di applicazione della nuova causa di non punibilità richiamata dal motivo in esame.
Certamente il legislatore ha introdotto una nuova causa di non punibilità, che non poteva essere oggetto di doglianza in appello, cosicché ne è consentita la deduzione solo in questa Sede, ex art. 609, comma 2, cod. proc. pen.
La causa di non punibilità invocata dal ricorrente è prevista dall’art. 1, lett. f), n. 3) del d.lgs. del 14 giugno 2024 n. 87, che ha aggiunto un nuovo comma 3bis a ll’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, che recita: «I reati di cui agli articoli 10bis e 10ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.».
Inoltre, trattandosi di causa di non punibilità introdotta con vigenza dal 29 giugno 2024 al 1 gennaio 2026 in ragione della abrogazione ad opera dell’art. 101, comma 1, lett. cc) del d.lgs. 5 novembre 2024, n. 173 – trova applicazione, in quanto norma più favorevole, retroattivamente, vertendosi in tema di norma sostanziale (sul punto della retroattività della norma più favorevole, in ordine ai requisiti- per la causa di non punibilità ex art. 131bis cod. pen.- introdotti al comma 3ter dell’art. 13 cit . dallo stesso l’art. 1 d.lgs. 14 giugno 2024 n. 87, cfr. Sez. 3, n.7027, ud. 22/10/2024, dep. 20/02/2025, COGNOME, n.m. ).
Si tratta, quindi, di un inedita causa di non punibilità nei reati di omesso versamento delle ritenute certificate (art. 10bis ) e Iva (art. 10ter ) legata alla crisi di liquidità, per la cui sussistenza occorre che: a) il fatto -l’omesso versamento – dipenda da cause non imputabili all’autore del reato; b) tali cause devono essere sopravvenute, dunque successive, all’effettuazione delle ritenute certificate o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto; quale causa tipizzata non imputabile il legislatore indica la crisi di liquidità non transitoria, determinata da:
l’ inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi;
il mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche; 3) la non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.
Come è stato osservato in dottrina, la causa di non punibilità presuppone che non si versi in tema di mancato incasso dell ‘Iva , bensì nel caso in cui il pagamento sia intervenuto, ma non sia stato accantonato e destinato poi dall’imprenditore al versamento erariale: la posteriorità delle cause determinanti la crisi di liquidità va rapportata al momento dell’intervenuto incass o.
Da ciò non pare si possa far conseguire -come invece in dottrina si è ritenuto – il superamento della consolidata giurisprudenza che ha affermato che il reato omissivo a carattere istantaneo, previsto dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10ter , consista nel mancato versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne per i casi di applicabilità del regime di «IVA per cassa», è ordinariamente svincolato dall’effettiva riscossione dei corrispettivi
relativi alle prestazioni effettuate (fra le altre, in motivazione da ultimo, Sez. 3, n. 28488 del 10/09/2020, COGNOME, Rv. 280014 01; Sez. 3 Natale, cit. ). A ben vedere il legislatore non ha voluto modificare la fattispecie incriminatrice, ma modulare, alla luce di quanto si leggerà di qui a poco, la causa di non punibilità per i casi in cui l’imprenditore/contribuente venga a trovarsi in una sit uazione di oggettiva crisi di liquidità, sopravvenuta e a lui non imputabile.
Infatti, anche la crisi di liquidità non transitoria deve essere sopravvenuta all’incasso della imposta sul valore aggiunto, il che sta a significare che una crisi già preesistente osta alla esclusione della punibilità. Ciò ha una sua ratio in quanto, evidentemente, si ritiene non punibile il solo imprenditore che si sia trovato dinanzi ad una crisi di liquidità successiva, dovendo diversamente ritenersi che il pregresso inadempimento dei debitori -rispetto all’incasso dell’Iva sia invece riconducibile all’ordinario rischio di impresa e debba essere ‘gestito’ dall’imprenditore , come affermato finora dalla giurisprudenza di legittimità.
Quanto agli oneri probatori, Sez. 3 COGNOME ha confermato come sia necessario che gli stessi siano assolti da parte dell’imputato in ordine alla forza maggiore: si tratta di principi consolidati in ordine al riparto dell’onere della prova anche quanto alle cause di non punibilità.
E così, per quanto attiene alla crisi di liquidità, l’imputato che invochi la nuova causa di punibilità dovrà fornire la prova che la stessa sia determinata da cause a lui non imputabili, che siano posteriori all’incasso , come anche che lo sia la conseguente crisi di liquidità, nonché la non transitorietà della stessa (sempre con riferimento alla forza maggiore, fra le altre, Sez. 3 COGNOME, cit. ; Sez. 3, n. 40795 del 24/06/2014, COGNOME, n.m. ; Sez. 3, n. 15416 del 8/01/2014, COGNOME, n.m. ; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258055).
Tali riparto dell’onere della prova a carico dell’imputato è stato analogamente declinato in relazione alla speciale causa di non punibilità introdotta dall’art. 13bis , d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 3 agosto 2009, n. 102, come ulteriormente modificato dal d.l. 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla l. 3 ottobre 2009, n. 141, relativa al rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute irregolarmente fuori dal territorio dello Stato (cosiddetto “scudo fiscale”): è preciso onere dell’interessato indicare gli specifici elementi e le circostanze dai quali poter desumere che le somme rimpatriate o regolarizzate corrispondono a quelle oggetto della condotta incriminata o comunque hanno attinenza con il reato contestato (Sez. 3, n. 2221 del 06/10/2015, dep. 20/01/2016, COGNOME, 266012 -01).
Per altro, ai fini della applicazione di una causa di giustificazione o di una causa di esclusione della colpevolezza, l’onere di allegazione gravante sull’imputato opera in relazione ai presupposti fattuali della esimente che rientrino
nella sfera personale di conoscenza del medesimo, venendo meno ove le circostanze conosciute o conoscibili “ex actis” consentano al giudice di svolgere anche autonomamente il relativo apprezzamento (Sez. 6, n. 27411 del 20/06/2024, COGNOME, Rv. 286826 -02; cfr. anche Sez. U, n. 12093 del 1980, COGNOME, Rv. 146696-01).
Nel caso in esame l’invocazione della causa di non punibilità di nuovo conio resta assolutamente generica, non essendo stata allegata o offerta alcuna prova specifica, se non altro in relazione alla posteriorità della crisi di liquidità e delle sue cause rispetto all’incasso dell’Iva.
A tal proposito va evidenziato che rispetto alla condotta per cui si procede inerente al periodo di imposta 2015 – analoghe condotte di omesso versamento, per le quali è stato dichiarato estinto il reato per prescrizione anche dopo la condanna in primo grado, risult ano aver preceduto l’annualità in esame, il che palesa in tutta evidenza che o le ragioni dell’omesso versamento non venivano a essere collegate alla crisi di liquidità o, se lo erano, la stessa era determinata da cause antecedenti, risalenti agli anni 2012 e seguenti. Il che esclude del tutto l’applicabilità della nuova causa di esclusione della punibilità. A fronte di ciò il motivo, sul punto, resta generico , non adempiendo all’onere di allegazione specifico richiesto.
2.4 Il motivo è quindi manifestamente infondato e generico, mentre possono affermarsi i seguenti principi: – l a causa di non punibilità prevista dall’art. 1, lett. f), n. 3) del d.lgs. del 14 giugno 2024 n. 87, che ha aggiunto il nuovo comma 3bis all’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, trattandosi di causa di non punibilità introdotta con vigenza dal 29 giugno 2024 al 1 gennaio 2026, in ragione della abrogazione ad opera dell’art. 101, comma 1, lett. cc) del d.lgs. 5 novembre 2024, n. 173, trova applicazione, in quanto norma più favorevole, retroattivamente, vertendosi in tema di norma sostanziale, ex art. 2, comma quarto, cod. pen.; – è onere dell’interessato indicare gli specifici elementi e le circostanze dai quali poter desumere che la sopravvenuta e non transitoria crisi di liquidità sia determinata da cause non imputabili all’imputato, specificando quali siano le stesse, nonché comprovandone la posteriorità all’incasso dell’Iva e all’effettuazione delle ritenute certificate.
Quanto al secondo motivo, invece, lo stesso è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata fa buon governo del consolidato principio – anche ribadito da Sez. 5, n. 4814 del 2024, COGNOME, n.m. , richiamata in ricorso -per cui in tema di bancarotta preferenziale, l’elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo
lo schema del dolo eventuale; ne consegue che tale finalità non è ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile (Sez. 5, n. 54465 del 05/06/2018, M., Rv. 274188 -01, nel caso relativo ad erogazioni di denaro effettuate in favore di una società a cui erano stati affidati lavori edili in subappalto, in modo da ottenere dalla committente il pagamento dei lavori in corso d’opera e garantire così la sopravvivenza finanziaria della società amministrata dall’imputato; conf. N. 31168 del 2009 Rv. 244490 – 01, N. 16983 del 2014 Rv. 262904 -01).
Nel caso in esame la Corte territoriale richiamava il dato per cui negli anni 2014/2015 l’insolvenza era conclamata e il patrimonio netto era negativo per euro 1.352.161,00, in misura tale da dover richiedersi il fallimento, mentre invece NOME aveva continuato nell’attività di impresa, finanziandosi con l’evasione fiscale e previdenziale. La sentenza dava atto, quindi, della impossibilità concreta di evitare ragionevolmente il fallimento e con tale argomento il ricorrente non si confronta in modo adeguato. Ne consegue la genericità oltre che la manifesta infondatezza del motivo.
Quanto , poi, alla postilla contenuta in ricorso che evidenzia l’intervenuta estinzione per prescrizione dei reati previsti ai capi 3) lett. b) e 4), in realtà il termine di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei ex art. 161 cod. pen. , andava a scadere rispettivamente alla data del 27 giugno 2024 e del 1 agosto 2024 (computando, in quest’ultimo caso, anche la sospensione per mesi tre dei termini ex art. 2, comma 1quater , l. 638 del 1983). Pertanto, il termine di prescrizione maturava dopo la sentenza di appello del 7 maggio 2024.
Ne consegue che non può essere accolta la richiesta di dichiarare il reato estinto per intervenuta prescrizione. Secondo la consolidata giurisprudenza della di questa Corte l’inammissibilità del ricorso per cassazione , per manifesta infondatezza dei motivi o per altre ragioni diverse dalla rinuncia, non consente il formarsi di un valido rapporto processuale e preclude pertanto la possibilità di rilevare e dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione a norma dell’ art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, COGNOME, Rv. 219531; Sez. U. n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME; Sez. U n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, COGNOME).
5 . All’inammissibilità complessiva del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex l. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/04/2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME