Omesso versamento IVA: la Crisi di Liquidità non è una Scusante Assoluta
L’omesso versamento IVA è un reato tributario che può avere gravi conseguenze per gli imprenditori. Molti cercano di giustificare tale inadempienza invocando una crisi di liquidità aziendale. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i limiti di questa linea difensiva, sottolineando come la scelta di pagare altre spese, come gli stipendi, invece delle imposte, non escluda la responsabilità penale. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Un imprenditore, condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Bologna per il reato di omesso versamento dell’IVA, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione. Il motivo principale del ricorso era incentrato su un presunto vizio di motivazione e un’errata valutazione delle prove da parte dei giudici di merito, i quali non avrebbero considerato adeguatamente la grave crisi di liquidità che affliggeva la sua azienda.
Secondo la difesa, questa difficoltà economica avrebbe reso impossibile adempiere agli obblighi fiscali, configurando una causa di forza maggiore.
La Difesa Basata sulla Crisi Finanziaria
La tesi difensiva si fondava sull’idea che la mancanza di liquidità dovesse escludere la colpevolezza dell’imprenditore. L’argomentazione era che le poche risorse disponibili erano state destinate al pagamento degli stipendi dei soci lavoratori per garantire la continuità aziendale, una scelta ritenuta prioritaria rispetto al versamento dell’imposta sul valore aggiunto.
L’imprenditore sosteneva che la sua condotta non fosse il risultato di una volontà evasiva, ma una conseguenza inevitabile della situazione economica avversa.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno chiarito che le doglianze sollevate dall’imprenditore non rientravano tra le censure ammissibili in sede di legittimità. Il ricorso, infatti, mirava a una nuova valutazione dei fatti e delle prove, un compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado e non alla Cassazione.
La Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza d’appello fosse congrua, esauriente e logicamente corretta, respingendo così le critiche dell’imputato.
Le Motivazioni: la Scelta Imprenditoriale non Giustifica l’Omesso Versamento IVA
Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha smontato la tesi difensiva. I giudici hanno affermato che le difficoltà economiche e finanziarie non sono, di per sé, sufficienti a giustificare l’omesso versamento IVA. La Corte ha sottolineato diversi punti cruciali:
1. Mancata Prova dell’Impossibilità Assoluta: Non era stato dimostrato in giudizio che la società non avesse mai incassato l’IVA derivante dalle fatture emesse. L’IVA è un’imposta che l’azienda incassa per conto dello Stato e che ha l’obbligo di versare. La sua mancata corresponsione, in assenza di prove contrarie, si presume essere una scelta.
2. Onere della Prova: Spettava all’imprenditore dimostrare di aver adottato tutte le misure possibili per fronteggiare la crisi, come ad esempio il ricorso a finanziamenti bancari. Tale prova non è stata fornita.
3. Priorità degli Obblighi Tributari: La Corte ha evidenziato che la decisione di destinare le poche risorse disponibili ad altri scopi, come il pagamento degli stipendi ai soci lavoratori, costituisce una scelta imprenditoriale. Questa scelta, seppur comprensibile, non fa venir meno il dovere di adempiere agli obblighi tributari e, pertanto, non esclude la responsabilità penale.
4. Irrilevanza della Rateizzazione Tardiva: Anche la richiesta di rateizzazione del debito, avanzata in un momento successivo all’accertamento fiscale e quando l’imputato non era più legale rappresentante, è stata considerata irrilevante ai fini della sua responsabilità.
Le Conclusioni: Implicazioni per gli Imprenditori
Questa ordinanza conferma un orientamento consolidato: la crisi di liquidità può essere invocata come causa di forza maggiore solo in condizioni eccezionali e rigorosamente provate. L’imprenditore deve dimostrare un’impossibilità assoluta e non prevedibile di adempiere al pagamento, e di aver fatto tutto il possibile per evitare l’inadempimento. La semplice scelta di dare priorità ad altri pagamenti rispetto a quelli fiscali non è sufficiente per escludere il reato di omesso versamento IVA. Gli amministratori devono quindi essere consapevoli che la gestione delle finanze aziendali comporta una responsabilità diretta anche sul piano penale per quanto riguarda gli obblighi verso l’Erario.
Un’azienda in crisi di liquidità può essere assolta per l’omesso versamento dell’IVA?
No, secondo questa ordinanza la crisi di liquidità non è una scusante sufficiente, specialmente se non viene dimostrato di aver messo in atto tutte le misure idonee per fronteggiarla e se l’imprenditore sceglie di destinare le scarse risorse economiche ad altri scopi, come il pagamento degli stipendi.
Scegliere di pagare gli stipendi ai dipendenti invece dell’IVA è una giustificazione valida?
No. La Corte ha evidenziato che la scelta di pagare gli stipendi ai soci lavoratori e di non adempiere agli obblighi tributari è una decisione imprenditoriale che non esclude la responsabilità penale per l’omesso versamento dell’IVA.
La richiesta di rateizzazione del debito fiscale può salvare dalla condanna?
In questo caso specifico non è stata considerata rilevante. La Corte ha osservato che la richiesta era successiva all’accertamento fiscale e fu presentata quando l’imputato non era più il legale rappresentante della società, quindi non ha avuto alcun effetto sulla sua responsabilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4370 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4370 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 22/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 04/03/1992
avverso la sentenza del 13/02/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso sentenza di condanna per reati di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000, lamentando, con unico motivo di ricorso, vizio della motivazione e travisament della prova in ordine alla sussistenza della crisi di liquidità.
Considerato che la doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili in se di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto r alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabi cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar cont dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di s dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una ricostruzione dei fa precisa e circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzi difensive ed essendo pervenuti alle foro conclusioni, in punto di responsabilità, attraverso disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, come si d dalle considerazioni formulate dal giudice a quo, laddove ha affermato che non rilevano difficoltà economiche finanziarie attraversate dall’azienda, tanto più che non è stato dimost in giudizio che la società non abbia mai incassato l’iva derivante dalle fatture emesse della si contesta l’omesso versamento. Al riguardo il giudice ha evidenziato che il ricorrente non dato prova di aver messo in atto tutte le misure idonee a fronteggiare la crisi economica liquidità, magari facendo ricorso a finanziamento bancario, nè rilevano i motivi della decisi imprenditoriale di non pagare l’imposta e di destinare le poche risorse economiche disponib ad altri scopi. In particolare, la Corte ha evidenziato che lo stesso imputato ha ammesso di scelto di pagare gli stipendi ai soci lavoratori e di non adempiere agli obblighi tributari. Né la richiesta di rateizzazione del debito tributario, peraltro successiva all’accert dell’Agenzia delle Entrate, ed avanzata dalla società quando il ricorrente non era rappresentante legale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrent al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22/11/2024
Il Consigliere estensore
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