Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12658 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12658 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Soriano nel Cimino il 12/12/1945
avverso la sentenza del 26/04/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, avv. NOME COGNOME del foro di Roma, in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME del foro di Viterbo, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione emessa dal Tribunale di Rieti e appellata dall’imputata, la quale aveva condannato NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia per il delitto ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, a lei ascritto perché, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE ometteva di versare, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’i.v.a. dovuta in base alla dichiarazione di annualità 2015, per un ammontare di 312.065 euro; il Tribunale, inoltre disponeva, ai sensi dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, la confisca della somma di 312.065 euro quale profitto del reato.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputata, per il ministero dei difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
2.1. Con un primo motivo, lamenta la violazione del’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento all’elemento soggettivo del reato. Rappresentano i difensori che la Corte di merito, pur avendo recepito per intero la ricostruzione dei fatti emersa dalle allegazioni difensive – ossia la crisi d settore automobilistico, che ha prodotto i sui effetti negativi sul bilancio del società a partire dal 2011, in cui si registrò una perdita di 455.36 euro, l sottrazione di merci dal magazzino per un valore di 240.000 euro nell’agosto 2015, la concorrenza sleale subita da un operatore del settore operante nella medesima zona – , ha illogicamente omesso di attribuire a quei fatti alcuna rilevanza per escludere la sussistenza del dolo, configurando in capo alla ricorrente una responsabilità di tipo oggettivo, nonostante la stessa abbia fatto tutto quanto era nelle sue concrete possibilità per assolvere il debito tributario, come affermato da Sez. 3 n. 42522 del 2019. Ad avviso dei difensori, nel caso di specie la ricorrente ha tentato di far fronte alla crisi economica attingendo alle proprie risorse personali, rinunciando ai profitti e annettendo capitali nelle casse sociali, condotte chiaramente dimostrative dell’assenza di dolo.
2.2. Con un secondo motivo, deduce la violazione del’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 131-bis cod. pen., la applicazione è stata esclusa, ad avviso dei difensori, con illogica motivazione perché frutto di un’erronea applicazione della legge penale, in quanto la Corte di merito avrebbe dovuto valutare il grado di colpevolezza, i rilevanti sforzi economici ed organizzativi profusi volti a fronteggiare la crisi d’impresa, anche considerando che, oltre ad essere oggetto di richiesta congiunta di concordato in appello, il riconoscimento della causa di non punibilità in esame ha rappresentato la ragione posta a fondamento dell’istanza di rinvio avanzata dalla difesa
all’udienza del 26 aprile 2024, nell’attesa che l’Agenzia delle entrate di Viterbo potesse esprimersi in ordine alla proposta di ristrutturazione dei debiti inoltrata ai sensi degli artt. 57 e 63 d.lgs. n. 14 del 2019, ciò che avrebbe potuto consentire il pagamento del debito tributario, condotta valutabile ex art. 131-bis cod. pen.
2.3. Con un terzo motivo, si chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 34, 599-bis, 602 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede una causa di incompatibilità del giudice che abbia rigettato l’istanza di concordato in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., avente ad oggetto l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Rappresentano i difensori che la questione non è assimilabile a quella in cui il “patteggiamento in appello” viene rigettato per incongruità della pena, in quanto, nella vicenda in esame, la valutazione in ordine all’insussistenza della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. rappresenta un’anticipazione del giudizio di merito.
2.4. Con un quanto motivo, eccepisce la violazione del’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione al trattamento sanzionatorio e alle pene accessorie. Ad avviso dei difensori, la pena sarebbe eccessiva, non avendo la Corte di merito valutato le modalità della condotta e il contesto di crisi di liquidità venutasi a creare per cause indipendenti dalla volontà dell’imputata; allo stesso modo, appare eccessivamente onerosa la misura delle pene accessorie inflitte.
2.5. Con un quinto motivo, censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione alla confisca ex art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000. Espongono i difensori che i giudici di merito avrebbero errato, laddove hanno omesso di individuare i beni oggetto di confisca per equivalente. In ogni caso, posto che il reato è prescritto, non può trovare applicazione retroattiva l’art. 578-bis cod. pen., stante la natura sanzionatoria della confisca per equivalente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, si osserva che la ventilata questione di legittimità costituzionale, eccepita con il terzo motivo – la cui trattazione riveste priorit logica, in quanto, ove accolto, comporterebbe la sospensione del processo e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale – è inammissibile per carenza di rilevanza.
Invero, la difesa, dopo il rigetto dell’istanza ex art. 599-bis cod. proc. pen., non ha ricusato il Collegio giudicante, sicché la norma, della cui legittimità il ricorrente dubita, non troverebbe applicazione nel procedimento in esame.
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2. Il primo motivo è infondato.
3. Con riferimento al delitto ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, le Sezioni Unite Romano (SU n. 37424 del 2013), hanno operato una approfondita disamina dell’elemento soggettivo del delitto in esame (par. 6 della motivazione), osservando che, mentre molte delle condotte penalmente sanzionate dal d.lgs. n. 74 del 2000, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà non emerge dal testo dell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, che è punito a titolo di dolo generico, per la cui integrazione è, perciò, sufficiente la consapevolezza, in capo all’agente, di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, consapevolezza che deve investire anche la soglia di punibilità, la quale, contribuendo a definirne il disvalore, è un elemento costitutivo del fatto.
Le Sezioni Unite hanno precisato che “la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di Euro cinquantamila, entro il termine lungo previsto. Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) VIVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda metà del 2006) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta”.
Coerentemente con tale assunto, si è perciò affermato che, di regola, non può essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte all’esigenza predetta (Sez. 3, n. 37528 del 12/06/2013, COGNOME, Rv. 257683).
Ciò non significa che, in astratto, siano possibili casi – il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e, come tale, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato – in cui possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria.
È tuttavia necessario che siano assolti precisi oneri di allegazione che, per quanto attiene alla crisi di liquidità, devono investire non solo l’aspetto circa la non imputabilità al sostituto d’imposta della crisi economica, che improvvisamente avrebbe interessato l’impresa, ma anche che detta crisi non possa essere stata adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto (Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, COGNOME, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258055).
Rispetto a tale giudizio formulato nella sentenza impugnata, la ricorrente deduce censure complessivamente infondate, in quanto per lo più implicanti una non consentita richiesta di rivalutazione nel merito degli elementi relativi alla dedotta crisi di impresa ovvero del tentativo di risanamento.
5. Si osserva, infine, la sentenza n. 42522 del 2019, richiamata dalla ricorrente, non smentisce ma conferma i principi dinanzi indicati, avendo quella decisione dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal pubblico ministero contro la sentenza di assoluzione, che aveva ritenuto non esigibile la condotta doverosa omessa, sulla base del rilievo che i soci di controllo della società
capogruppo avessero adottato tutte le iniziative idonee a tentare di fronteggiare la crisi finanziaria che aveva, tra le altre, colpito la società amministrata dall’imputato, facendo ricorso anche a beni personali allo scopo di reperire la liquidità necessaria per assolvere alle obbligazioni sociali: una situazione che, nella vicenda in esame, non è dato riscontrare.
Il rigetto del motivo, comportando il formarsi del rapporto processuale, consente a questa Corte di rilevare l’intervenuta prescrizione del reato.
Invero, anche considerando i complessivi 115 giorni di sospensione (dal 21 marzo 2021 al 31 maggio 2021, dal 5 marzo 2024 al 12 marzo 2024 e dal 12 marzo 2024 al 26 aprile 2024), il termine massimo di prescrizione, pari a sette anni e mezzo, decorrente dal 27 dicembre 2016, data di commissione del reato, è spirato il 20 ottobre 2024.
Si osserva, in replica al secondo motivo, che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen., in quanto essa, estinguendo il reato, rappresenta un esito più favorevole per l’imputato, mentre la seconda lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica. (Sez. 1 n. 43700 del 28/09/2021, Glorioso, Rv. 282214 – 01).
Quanto al quinto motivo, deve osservarsi che il Tribunale, come risulta dal dispositivo della sentenza di primo grado, oggetto di conferma da parte della Corte di appello, ha disposto “la confisca della somma pari a euro 321.065,00 quale profitto del reato”.
Orbene, in assenza di ulteriori specificazioni – non essendovi alcun riferimento, nemmeno nella scarna motivazione sul punto, alla confisca per equivalente, che certamente il Tribunale avrebbe potuto disporre – e considerando l’oggetto del provvedimento ablativo, vale a dire il profitto del reato, si tratta di confisca diretta, quindi disposta nei confronti della persona giuridica, e non di una confisca per equivalente avente ad oggetto i beni dell’imputata.
Ne deriva che, non essendo attinta dalla misura di sicurezza reale, ee, t, l’imputata non ha alcun interesse a interloquire in ordinevconfisca diretta, disposta nei confronti della società, confisca qui da confermare, stante l’accertata sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato in esame.
Per i motivi indicati, la sentenza impugnata deve perciò essere annullata senza rinvio, perché il reato è estinto per prescrizione, con conferma della disposta confisca.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione. Conferma la disposta confisca.
Così deciso il 05/02/2025.