Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1037 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1037 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Pasiano di Pordenone il 17/10/1944
avverso la sentenza del 07/03/2024 della Corte d’appello di Trieste visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore , generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Trieste ha confermato la sentenza del Tribunale di Pordenone con la quale l’imputato era stato condannato, all’esito del giudizio abbreviato, per il reato di cui agli artt. 81 comma 2 cod.pen. e 2 d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983, n. 638 per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori per il mese di dicembre 2017, per C 51.245,32, alla pena sospesa di mesi tre di reclusione e C 400,00 di multa.
Avverso la sentenza, il difensore di fiducia ha proposto ricorso per cassazione, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi di ricorso.
– Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità penale in assenza di prova della corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori. La Corte d’appello avrebbe fondato il proprio convincimento su di un mero passo della testimonianza del teste COGNOME con manifesta illogicità evincibile dal testo della sentenza impugnata laddove avrebbe affermato che le retribuzioni del mese di dicembre 2017 non sarebbero state pagate, richiamando parzialmente la testimonianza del Rag. COGNOME e non considerando che proprio sulla base della medesima testimonianza l’imputato era stato assolto dalla analoga contestazione riferita ai mesi precedenti del 2017. La sentenza poi sarebbe illogica laddove avrebbe ritenuto provata l’avvenuta corresponsione degli stipendi sulla base della presentazione da parte della società degli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte e l’ammontare degli obblighi contributivi in assenza di elementi di segno contrario appunto desumibili dalla corretta interpretazione della testimonianza NOME
– Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della scriminante di cui all’art. 51 cod.pen. e/o dell’errore di fatto circa l’esistenza della scriminante, errore di diritto sulla scriminante e sulla insussistenza dell’elemento soggettivo. Argomenta il ricorrente che, in pendenza di una procedura di concordato preventivo, l’inadempimento dell’obbligo di versare le ritenute previdenziali alla scadenza rimarrebbe estraneo dall’area di rilevanza penale a fronte degli obblighi imposti al debitore da norme imperative di legge che disciplinano le procedure, ovvero il divieto di pagamento dei debiti pregressi in violazione della par condicio creditorum. Con conseguente esclusione dell’omissione quantomeno ai sensi dell’art. 51 cod.pen. Difatti il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore previsto dall’articolo 168 primo comma legge fallimentare, comporta che i debiti sorti prima dell’aperture della procedura non possano essere estinti fuori dall’esecuzione concorsuale e dunque non lascia al debitore alcun potere discrezionale relativamente all soddisfacimento dei creditori anteriori alla presentazione della domanda dd concordato pena la violazione dell’obbligo anzidetto. Così, del resto, si sarebbe espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 36320 del 2019. Pertanto, facendo applicazione dei principi espressi dalla Corte di cassazione, l’imputato non potrebbe assolutamente ritenersi penalmente responsabile per il mancato versamento delle ritenute previdenziali del mese di dicembre 2017, il cui termine di pagamento scadeva il 16 gennaio 2018 e, dunque, dopo la data di deposito della domanda di concordato preventivo. Infine, nella denegata ipotesi in cui l’eventuale errore sulla scriminante sia qualificato come errore di diritto è innegabile che si tratti di un errore inevitabile sui limiti giuridici di una causa di giustificazioni, co tale escludente la colpevolezza ai sensi dell’articolo 5 cod.pen.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’art. 45 cod.pen. Secondo il ricorrente la corte territoriale avrebbe escluso l’invocata scriminante dell’assoluta impossibilità di adempiere ai sensi dell’articolo 45 cod.pen. non valutando che l’impossibilità di adempiere il pagamento nei termini di legge era del tutto involontaria perché determinata da situazioni di crisi finanziaria di liquidità estranea alla sfera di control dell’imputato. La Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la rilevanza della crisi economica che aveva investito l’azienda già nel 2007-2008, non avrebbe considerato che l’impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità era stata allegata così come era stato documentato l’intervento dell’imputato per fronteggiare, anche con risorse personali, la suddetta crisi. Né avrebbe tenuto conto, la corte territoriale, del fatto che l’imputato aveva assunto la carica di amministratore unico solo il 27 dicembre 2017 all’unico fine di provvedere al deposito della domanda di concordata e, dunque, dopo il blocco delle linee di credito operato dalle banche che aveva impedito l’adempimento fiscale.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla quantificazione della pena tenuto conto che l’omesso versamento era limitato ad una mensilità e in assenza di intensità del dolo.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato e va, pertanto, rigettato.
Il primo motivo di ricorso che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla prova della corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori, per la mensilità di dicembre 2017, è inammissibile perché meramente reiterativo della stessa doglianza già disattesa con motivazione congrua dai giudie dell’impugnazione ed anche in parte diretto a richiedere una rivalutazione delle prove (testimonianza del teste COGNOME che non può avere ingresso in questa sede.
Peraltro, la sentenza impugnata, con doppio conforme accertamento, ha argomentato l’avvenuta corresponsione degli stipendi sulla base della presentazione da parte della società degli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte e l’ammontare degli obblighi contributivi, non essendo emersi elementi di segno contrario. L’esistenza di debiti per retribuzione quantificati in euro 2.994.223 alla data del 10 gennaio 2018, come risultante dalla proposta di concordato, dimostrava soltanto che non tutte le retribuzioni erano state corrisposte in un arco temporale più ampio, ma non contraddiceva quanto dichiarato dalla società mediante l’invio degli appositi modelli con riferimento alle retribuzioni del dicembre 2017, oggetto di contestazione. Né tale conclusione era contraddetta dalle dichiarazioni rese dal teste il quale nel confermare in generale che non tutte le retribuzioni erano state corrisposte, non aveva confermato la
circostanza della non corresponsione delle retribuzioni relative proprio alla mensilità di dicembre 2017, in un contesto nel quale la corresponsione delle retribuzioni risultava dall’invio degli appositi modelli, invio non disconosciul:o dall’imputato.
A logica conclusione è, dunque, pervenuta la corte territoriale che ha ritenuto dimostrata la corresponsione delle retribuzioni sulla scorta dei modelli DM 10, formati secondo il sistema informatico UNIEMENS (vedi imputazione) che trattandosi di dichiarazioni che, seppure generate dal sistema informatico dell’INPS, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce individuali e dalla denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente (Sez. 3, n. 28672 del 24/09/2020, COGNOME, Rv. 280089 – 01; Sez. 3, n. 42715 del 28/06/2016, COGNOME Rv. 267781 – 01).
5. Il secondo motivo di ricorso risulta infondato sulla base delle seguenti ragioni.
Sulla questione dei rapporti tra concordato preventivo e pagamento dei debiti pregressi, la giurisprudenza di legittimità ha, da tempo, fissato alcuni principi, che possono dirsi consolidati (Sez. 3, n. 13628 del 20/02/2020, COGNOME, Rv. 279421 – 01; Sez. 3, n. 9248 del 02/12/2021, COGNOME, Rv. 283228 – 01).
In particolare, la procedura di concordato preventivo, a differenza della procedura fallimentare, non priva l’imprenditore in crisi dell’amministrazione dei beni, ma gli consente il compimento di alcuni atti gestori, situazione che viene comunemente indicata come “spossessamento attenuato” ed in particolare, il compimento degli atti di ordinaria amministrazione, e quelli di “straordinaria amministrazione”, che possono essere compiuti dietro autorizzazione del Tribunale (art. 161 comma 7, 167 legg. fall.).
In tale ambito, la giurisprudenza di legittimità, con riguardo alle condotte di reato di omesso versamento, nel caso di procedura di ammissione al concordato preventivo del soggetto tenuto al versamento stesso, ha chiarito che non si prescinde, innanzitutto, da un basilare presupposto, rappresentato dalla anteriorità del provvedimento di ammissione al concordato rispetto alla scadenza del termine di legge che segna anche il momento consumativo del reato.
In secondo luogo, per quanto concerne il rapporto tra pagamenti di debiti anteriori e lesione della par condicio, si è chiarito che l’imprenditore può compiere senza necessità di autorizzazione del tribunale gli atti di gestione dell’impresa finalizzati alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio, secondo il medesimo criterio previsto dall’art. 167 I.fall.; mentre per il compimento di atti di straordinaria amministrazione, come vanno qualificati i pagamenti di debiti pregressi, il debitore deve munirsi di autorizzazione da parte del tribunale.
Da cui l’affermazione che la procedura di concordato preventivo, sia essa introdotta con piano concordatario, sia con riserva, non inibisce, in via generale,
il pagamento dei debiti tributari il cui termine di scadenza è successivo al deposito della domanda, giuste le disposizioni di cui all’art. 161 comma 7 e 167 legge fall., salva la presenza di un provvedimento del tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori (Sez. 3, n. 49795/2018, Sez. 3, n. 2860/2018, Sez. 4, n. 52542/2017). Ancora, si è chiarito che la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, anche con riserva, non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione, e pertanto la mera presentazione della domanda non assume rilevanza, né sul piano dell’elemento soggettivo, né su quello della esigibilità della condotta, salvo che, in data antecedente alla scadenza del debito, sia intervenuto un provvedimento del tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori, essendo configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 cod. pen., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario (Sez. 3, n. 2860 del 30/10/2018, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 274822 – 01; Sez. 3, n. 39696 del 08/06/2018, COGNOME, Rv. 273838 – 01; Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017, COGNOME, Rv. 271554).
La tesi difensiva, che poggia sulla pronuncia n. 36320 del 2019, secondo cui “una volta intervenuto il provvedimento di ammissione del debitore al concordato anche le preg resse condotte omissive, consistenti in omessi pagamenti di obbligazioni giunte a maturazione nell’intervallo fra la presentazione della istanza e la sua positiva evasione da parte dell’organo giurisdizionale a ciò preposto, cessano, laddove mai in precedenza esse la avessero avuta, di avere rilevanza penale, atteso che tali condotte neppure possono essere considerate compiute contra ius in quanto legittimate, a tutto voler concedere a posteriori, dall’avvenuta ammissione alla procedura concorsuale” (cfr. sentenza n, 36320/2019) è stata motivatamente disattesa da successive pronunce (Sez. 3, n, 13628 del 20/02/2020, COGNOME, Rv. 279421 – 01; Sez. 3, n. 9248 del 02/12/2021, COGNOME, Rv. 283228 – 01).
Nel dare continuità all’orientamento maggioritario, rileva il Collegio che la sentenza impugnata ha mostrato condivisione dello stesso là dove ha rilevato in punto di fatto che la domanda di concordato era stata depositata in data 09/01/2018 e che il debito scadeva il 16/01/2018 e che non vi era stato alcun provvedimento del tribunale che ne vietava il pagamento.
6. Quanto al profilo devoluto di mancata applicazione dell’art. 51 cod.pen. esso potrà porsi, ma non è il caso in esame, unicamente alle situazioni nelle quali vi sia stato un provvedimento del tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori, essendo configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 cod. pen., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti
a quelli di carattere tributario (Sez. 3, n. 2860 del 30/10/2018, Rv. 274822 – 01, Sez. 3, n. 49795 del 23/05/2018, Rv. 274199; Sez. 3, n. 39696 del 08/06/2018, Rv. 273838 – 01; Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017, COGNOME, Rv. 271554). Viceversa, la ammissione alla procedura non vale a scriminare sic e simpliciter la sua omissione alla scadenza o a escluderne successivamente gli effetti penali dell’omissione.
Quanto al profilo della sussistenza putativa della causa di giustificazione, esclusa la prospettazione di un errore di diritto, la sentenza impugnata ha rilevato come l’imputato avesse assunto la carica sociale della società, che versava in crisi economica da molti anni, appena pochi giorni prima della presentazione della domanda di concordato avendo perfetta conoscenza non solo della crisi economica che aveva colpito da tempo la società, che aveva tentato di sanare anche con impegni patrimoniali personali, al solo fine di presentare una domanda di concordato, nella piena consapevolezza dell’esistenza di debiti fiscali. Da cui l’insostenibilità dell’errore di fatto sulla scriminante, essendo egli consapevole dell’obbligazione tributaria e dell’impossibilità di farvi fronte attesa la cri economica. Né ricorre la causa di esclusione della colpevolezza dovuta ad errore di diritto, segnatamente l’obbligo di munirsi di autorizzazione per il pagamento del debito in presenza di domanda di concordato, poiché nel dubbio dell’esistenza di tale obbligo poteva attivarsi, situazione che esclude una ignoranza inevitabile scriminata ai sensi dell’art. 5 cod.pen.
Non c’è spazio, neppure, per l’applicazione dell’art. 45 cod.pen.
Con riferimento al tema della rilevanza della circostanza di forza maggiore quale causa di esclusione della punibilità, la giurisprudenza di legittimità ha, cori indirizzo ermeneutico costante (anche richiamato nella sentenza impugnata) affermato che essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez 4, n. 8089 del 13/0571982, COGNOME, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, COGNOME, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, COGNOME, Rv. 147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, COGNOME, Rv. 099191) e rileva come causa esclusiva dell’evento, ma mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, COGNOME, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, COGNOME, Rv. 148018). Presupposto indefettibile per la verificazione di una causa di forza maggiore è l’individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto e non prevedibile, estraneo alla condotta dell’agente, si da rendere ineluttabile l’evento costituito e comporta, nei reati omissivi, qual è quello in esame, l’assoluta impossibilità del comportamento doveroso omesso.
Da tali affermazioni discende, quale corollario, che nei reati omissivi integra
causa di forza maggiore solo l’assoluta impossibilità e non la semplice difficoltà a porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, COGNOME, Rv. 184856) anche se derivante da crisi economica e/o i liquidità.
La quantificazione della pena, superiore ai minimi edittali, è stata argomentata in ragione sia dell’entità non minima dell’importo non versato, seppur circoscritto ad una mensilità, ma anche sulla circostanza che l’omissione era parte di una strategia più ampia di evasione proseguita dal gennaio dell’anno precedente.
La corte territoriale ha correttamente ancorato la determinazione della pena alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen. evidenziando, tra questi, quelli ritenuti più significativi. Motivazione corretta sul piano del diritto dovendosi ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorchè siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 1, n. 31 del 25/09/2013, COGNOME e altri, Rv. 258410).
Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 26/11/2024