Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32832 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2   Num. 32832  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato in Marocco il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/05/2025 del Tribunale di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27/05/2025, il Tribunale di Firenze rigettava la richiesta di riesame che era stata presentata da NOME COGNOME contro l’ordinanza del 12/05/2025 del G.i.p. del Tribunale di Firenze con la quale tale Giudice, all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto, aveva disposto l’applicazione, nei confronti del COGNOME, della misura della custodia cautelare in carcere per essere lo stesso gravemente indiziato del reato di tentata rapina di un portafogli ai danni di NOME COGNOME e per essere sussistente il concreto e attuale pericolo che commettesse delitti della stessa specie di quello per cui si stava procedendo.
Avverso la menzionata ordinanza del 27/05/2025 del Tribunale di Firenze, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, con il quale il
ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’«omessa applicazione» dell’art. 309, commi 5 e 10, dello stesso codice, per avere il Tribunale di Firenze omesso di dichiarare la perdita di efficacia dell’ordinanza che aveva disposto la misura coercitiva per la mancata trasmissione nei termini «della video-registrazione dei fatti posta a fondamento dell’ordinanza cautelare» e «dell’interrogatorio integrale dell’indagato quale elemento favorevole sopravvenuto».
Il COGNOME lamenta, in particolare: a) la «ontraddittorietà della motivazione in ordine all’asserito mancato assolvimento da parte del ricorrente dell’indicazione delle ragioni per le quali tali atti erano favorevoli e necessari ai fi della decisione»; b) l’«llogicità della motivazione non operando il principio del tantum devolutum quantum appellatum e dovendosi fondare la decisione in sede di riesame su tutti gli atti posti a fondamento dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare e comunque di quelli richiamati ai fini della valutazione della gravità indiziaria».
Il ricorrente deduce in primo luogo la contraddittorietà della motivazione là dove il Tribunale di Firenze ha ritenuto che egli non aveva «assolto all’onere dell’indicazione delle ragioni per le quali atti risultavan determinanti» (così il ricorso), atteso che, nei motivi di riesame, «veniva espressamente indicata l’importanza della video-registrazione ai fini della valutazione della gravità indiziaria», «avendo evidenziato come l’ordinanza cautelare si era fondata proprio sulle immagini di video-sorveglianza, che personalmente visionate dal GIP gli avevano consentito di ritenere smentita la versione dell’indagato», da questi resa nel corso del suo interrogatorio, secondo cui egli aveva «posto in essere l’azione a difesa di una donna derubata del portafoglio dal denunciante».
Secondo il COGNOME, la motivazione sarebbe anche illogica. Il ricorrente premette che il riesame «costituisce mezzo di impugnazione totalmente devolutivo, non operando in tale sede il principio del tantum devolutum quantum appellatum», con le conseguenze che il controllo che è demandato al tribunale del riesame «non può essere utilmente compiuto se non attraverso l’esame di tutti gli atti posti a fondamento della misura cautelare» e che la «mancata trasmissione degli atti a contenuto sostanziale e direttamente rilevanti ai fini della valutazione del merito della questione cautelare», in quanto «effettivamente utilizzati dal giudice a fondamento del provvedimento coercitivo», comporta la perdita di efficacia dell’ordinanza dispositiva della misura, a norma del comma 10 dell’art. 309 cod. proc. pen. Ciò premesso, il Moussaìd rappresenta che il G.i.p. del Tribunale di Firenze aveva disatteso la sua versione dei fatti, trasmettendo anche gli atti al pubblico ministero per le sue valutazioni in ordine
alla sussistenza del reato di calunnia, ritenendo « tal fine  dirimente l visione diretta della video-registrazione. Non, dunque, dei fotogrammi estrapolati dalla P.G. che, immortalando i soli tratti salienti della scena, non erano stati ritenuti a tal uopo sufficienti».
Il ricorrente rappresenta che «l’onere  della specificazione dell’importanza dell’atto non trasmesso – seppure per quanto sopra precisato, assolto – appare riferibile agli elementi sopravvenuti, ma non anche agli atti sui quali la decisione in ordine all’applicazione della misura risulta essersi fondata, atti sempre necessari per un compiuto riesame dell’ordinanza genetica».
Precisa che «nemmeno poteva onerarsi il difensore di produrre la videoregistrazione, posto che al difensore era stato anche precluso di accedere agli atti sui quali si fondava il provvedimento cautelare con il diniego del GIP pronunciato a seguito della rituale richiesta di accesso», «in violazione del principio della discovery e delle prerogative difensive».
Deduce, infine, che «l’integrale verbale di interrogatorio rappresentava un ulteriore elemento sopravvenuto favorevole all’indagato», atteso che, posto che «al verbale redatto in forma riassuntiva emergeva che l’indagato aveva affermato avere posto in essere l’azione in difesa di un soggetto terzo», cioè «una ricostruzione alternativa dei fatti inconciliabile con la gravità indiziaria», « luce di tale contenuto, appariva ultronea ogni altra specificazione in ordine alla mancata trasmissione dell’integrale verbale di interrogatorio, apparendone per tabulas la rilevanza». Pertanto, anche dalla mancata trasmissione di tale atto sarebbe dovuta derivare la perdita di efficacia dell’ordinanza dispositiva della misura coercitiva. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo è manifestamente infondato.
La Corte di cassazione ha affermato che l’omessa trasmissione al tribunale del riesame di parte degli atti acquisiti al procedimento cautelare determina la caducazione del provvedimento impugnato soltanto qualora gli atti non trasmessi siano stati ritenuti determinanti ai fini dell’applicazione della misura. In tale caso grava sull’indagato l’onere di indicare le ragioni per le quali gli stessi atti, di egli lamenta la mancata trasmissione, si debbano ritenere, appunto, determinanti ai fini dell’applicazione della misura cautelare (Sez. 5, n. 19979 del 15/02/2024, Bakar, Rv. 286484-01; Sez. 3, n. 25632 del 29/01/2018, B., Rv. 273348-01; Sez. 5, n. 21205 del 03/03/2017, COGNOME, Rv. 270050-01; Sez. 2, n. 20191 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 263522-01; Sez. 6, n. 8657 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258797-01).
1.1. Posti tali condivisibili principi, improntati a un’interpretazione non formalistica del disposto dell’art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen., quanto, in primo luogo, alla lamentata mancata trasmissione della videoregistrazione dei fatti che era stata effettuata per mezzo delle telecamere di videosorveglianza presenti sul posto (la fermata “Valfonda” della tramvia), si deve da un lato osservare come il Tribunale di Firenze, con una motivazione del tutto logica, abbia reputato non determinante la suddetta videoregistrazione alla luce dei fotogrammi, da essa estrapolati, che erano stati inseriti nell’annotazione della polizia giudiziaria de 09/05/2025.
La logicità di tale giudizio del Tribunale di Firenze discende dal fatto che, come è stato rilevato dallo stesso Tribunale, la dinamica dei fatti emergeva con chiarezza già dai menzionati fotogrammi, dai quali risultavano «i momenti salienti dell’aggressione» (pag. 3 dell’ordinanza impugnata), in particolare che, mentre NOME stava camminando, il NOME lo aveva raggiunto e aveva tentato di afferrargli qualcosa, non riuscendovi a causa della resistenza opposta dal NOME, e che, subito dopo, il NOME aveva iniziato a seguire il NOME, lo aveva intercettato pochi metri più avanti e lo aveva aggredito da tergo, cercando di strappargli il portafogli, spingendolo e trascinandolo a terra, fino a che era intervenuta la Polizia di Stato (pag. 5, primo capoverso, dell’ordinanza impugnata).
Dall’altro lato, il ricorrente non ha spiegato su quali basi, tenuto conto di quanto si è appena detto, possa essere ancora sostenuta la sua tesi difensiva di essere intervenuto a difesa di una donna alla quale il NOME stava rubando il portafogli.
1.2. Quanto, in secondo luogo, alla mancata trasmissione della videoregistrazione dell’interrogatorio di garanzia, si deve rilevare come il COGNOME si sia in proposito limitato a lamentare tale mancata trasmissione, senza tuttavia in nessun modo indicare le ragioni per le quali la stessa videoregistrazione si dovesse ritenere determinante ai fini dell’applicazione della misura, tenuto anche conto che l’indicata tesi difensiva secondo cui «era stata la persona offesa a sottrarre il portafoglio ad un’altra persona nei pressi della tramvia, per cui era intervenuto a difesa di quest’ultima», era emersa in modo del tutto chiaro, salvo essere smentita sulla base delle risultanze probatorie (costituite, oltre che dai menzionati fotogrammi, anche dalla denuncia-querela che era stata sporta dalla persona offesa).
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 12/09/2025.