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Omessa traduzione provvedimento: nullità della misura

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di aggravamento di una misura cautelare a causa della sua omessa traduzione a un imputato che non comprende la lingua italiana. La sentenza stabilisce che il diritto alla traduzione, fondamentale per l’esercizio del diritto di difesa, si estende non solo ai provvedimenti iniziali ma anche a quelli che aggravano le misure, pena la nullità dell’atto. Di conseguenza, è stata ripristinata la misura cautelare meno afflittiva degli arresti domiciliari.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omessa Traduzione Provvedimento: Annullata Misura Cautelare Aggravata

Il diritto di comprendere gli atti giudiziari che incidono sulla propria libertà personale è un caposaldo del giusto processo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 14657/2024) ribadisce con forza questo principio, chiarendo che l’omessa traduzione di un provvedimento di aggravamento di una misura cautelare ne determina l’immediata nullità. Questa decisione ha implicazioni significative per la tutela dei diritti degli indagati stranieri nel nostro ordinamento.

I Fatti del Caso

Un cittadino straniero, già sottoposto a una misura cautelare, si vedeva aggravare la sua posizione da un’ordinanza del Tribunale di Roma. Dagli atti del procedimento emergeva chiaramente che l’imputato non comprendeva la lingua italiana, tanto che nel verbale di arresto era stata annotata la necessità di un interprete di lingua spagnola e, durante l’udienza di convalida, un interprete aveva provveduto alla traduzione orale del primo provvedimento cautelare.

Nonostante ciò, la successiva ordinanza che aggravava la misura non veniva tradotta. L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva quindi ricorso per cassazione, lamentando la violazione del suo diritto di difesa a causa della mancata comprensione di un atto fondamentale che limitava ulteriormente la sua libertà personale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando senza rinvio sia l’ordinanza impugnata che quella di aggravamento. Per effetto di tale decisione, ha disposto il ripristino della misura cautelare meno grave degli arresti domiciliari precedentemente in vigore.

Le Motivazioni: Il Principio della Omessa Traduzione del Provvedimento

La Corte ha fondato la sua decisione sul principio, già affermato in una sua precedente pronuncia a Sezioni Unite, secondo cui l’omessa traduzione dell’ordinanza di custodia cautelare a un indagato che non conosce la lingua italiana ne determina la nullità. Il riferimento normativo cruciale è l’articolo 143 del codice di procedura penale, che garantisce all’imputato il diritto di essere assistito da un interprete e di ottenere la traduzione degli atti fondamentali.

Il punto chiave della sentenza risiede nell’estensione di questo principio. I giudici hanno specificato che l’obbligo di traduzione non riguarda solo il primo provvedimento che dispone una misura cautelare, ma anche tutti quelli successivi che la modificano in senso peggiorativo. La logica è stringente: un provvedimento che aggrava una misura cautelare, ad esempio trasformando gli arresti domiciliari in custodia in carcere, ha un’incidenza diretta e sensibile sulla libertà personale, esattamente come il primo. Pertanto, per evidenti ragioni di analogia e di tutela dei diritti fondamentali (in bonam partem), anche questo tipo di atto deve essere tradotto.

La mancata traduzione, in questo contesto, costituisce una violazione del diritto di difesa, sanzionata con la nullità ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), del codice di procedura penale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza n. 14657/2024 rafforza in modo inequivocabile le garanzie difensive per gli stranieri nel processo penale. Le autorità giudiziarie hanno il dovere di verificare attivamente la comprensione linguistica dell’indagato e di assicurare la traduzione di tutti gli atti che incidono sulla sua libertà personale. Non si tratta di un mero adempimento formale, ma di un presupposto essenziale per un processo equo. L’omessa traduzione di un provvedimento cautelare, sia esso il primo o un successivo aggravamento, è un vizio grave che comporta l’inefficacia dell’atto, con conseguente ripristino della situazione precedente. Questa pronuncia serve da monito, sottolineando che la tutela dei diritti fondamentali non ammette scorciatoie procedurali.

È obbligatorio tradurre un’ordinanza che aggrava una misura cautelare a un imputato che non capisce l’italiano?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che, per evidenti ragioni di analogia e tutela della libertà personale, l’obbligo di traduzione previsto per i provvedimenti che dispongono misure cautelari si estende anche a quelli che le aggravano.

Cosa succede se un provvedimento cautelare non viene tradotto?
L’omessa traduzione del provvedimento ne determina la nullità, ai sensi degli articoli 143 e 178, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, in quanto viene violato il diritto di difesa dell’imputato.

La rinuncia alla traduzione scritta di alcuni atti implica la rinuncia alla traduzione di un’ordinanza cautelare?
No. Secondo la sentenza, l’eventuale rinuncia del ricorrente alla traduzione scritta degli atti del procedimento, come ad esempio la sentenza finale, non implica in alcun modo la rinuncia alla traduzione, almeno orale, di un’ordinanza che dispone o aggrava una misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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