Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30526 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30526 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Fondi il DATA_NASCITA avverso la sentenza emessa in data 01/12/2023 dalla Corte di Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 01/12/2023, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa dal Tribunale di Cassino, in data 22/05/2023, nei confronti di COGNOME NOME, in relazione al reato di cui all’art. 7 d.l. n 4 del 2019 (conv. con modif. dalla I. n. 26 del 2019), limitatament alla omessa dichiarazione relativa alla presenza, nel nucleo familiare, di componenti sottoposti a misura cautelare personale ovvero condannati per i gravi reati previsti dalla predetta legge (il Tribunale aveva invece assolto il COGNOME
dalla restante imputazione, relativa alla mancata indicazione, nella Dichiarazione Sostitutiva Unica, di beni durevoli di proprietà di COGNOME NOME, figlio convivente indicato sia nella D.S.U., sia nello stato di famiglia anagrafico).
Ricorre per cassazione il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge con riferimento alla ritenuta assenza di effetto abrogativo immediato della norma incriminatrice per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 318, I. n. 197 del 2022. Si deduce che tale effetto si era prodotto anteriormente anche alla decisione di primo grado.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Si deduce la mancata rilevazione di un errore sul fatto, dal momento che il ricorrente non era a conoscenza – al momento della presentazione della domanda per l’ottenimento del reddito di cittadinanza – dello stato di latitanza del figlio (non più convivente con lu nonostante le risultanze anagrafiche) e di event%li condanne da lui riportate per i gravi reati indicati dalla legge. Si evidenzia’ ribadendo quanto osservato con i motivi di appello, che non era il COGNOME a dover provare il proprio stato di inconsapevolezza delle vicende del figlio, e che lo stesso operante sentito nel giudizio di primo grado si era espresso in termini presuntivi, avendo dato atto solo della presenza, nella banca dati SDI, di un provvedimento di rintraccio relativo al figlio latitante.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO sollecita il rigetto del ricorso, ritenendo le censure difensive nel complesso infondate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato.
Priva di fondamento è la censura veicolata con il primo motivo. Questa Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che «l’abrogazione, a far data dall’01/01/2024, del delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, converti con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio di retroattività della “lex miti altrimenti conseguente ex art. 2, comma secondo, cod. pen., ma tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, non presenta profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova
incriminazione di cui all’art. 8 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per futuro introdotti in sostituzione del reddito di cittadinanza» (Sez. 3, n. 7541 del 24/01/2024, COGNOME, Rv. 285964 – 01; nellio steso senso, – cfr. Sez. 3, n. 37836 del 18/04/2023, COGNOME, citata nel provvedimento impugnato).
Si tratta di un indirizzo interpretativo condivisibile, al quale si intende da seguito in questa sede, con conseguente infondatezza del motivo di ricorso.
3. E’ invece fondata la residua doglianza.
Nel disattendere il motivo di appello concernente la sussistenza dell’elemento soggettivo (avendo il ricorrente dedotto di non avere avuto più notizie del figlio, allontanatosi dal nucleo familiare sin dal 2018, e di non essere stato quindi a conoscenza del suo stato di latitanza dall’agosto 2019), la Corte d’Appello ha osservato che le affermazioni del ricorrente erano rimaste prive di riscontri, non avendo la difesa “dimostrato che NOME COGNOME vivesse in altro luogo sin dal 2018, né allegato elementi da cui poter desumere tale circostanza”; allo stesso modo, si è ritenuta priva di riscontri “l’affermazione dell’imputato in ordine alla non conoscenza dello stato di latitanza del figlio NOME, che si era volontariamente sottratto all’esecuzione di una misura cautelare personale nell’agosto 2019″. Tale affermazione del COGNOME, “oltre che non provata”, è apparsa alla Corte territoriale “del tutto illogica, considerato che l’imputato non poteva non conoscere l’esistenza della misura cautelare personale e della scelta del figlio NOME di sottrarvisi” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
Appare evidente, ad avviso di questo Collegio, il carattere apodittico della motivazione con cui la Corte territoriale, attraverso una impropria inversione degli oneri probatori, ha ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato ascritto al COGNOME.
La prospettazione di quest’ultimo, volta a sostenere – nonostante le risultanze anagrafiche – di aver perso i contatti con il figlio NOME sin dal 2018, e di non essere quindi a conoscenza del suo stato di latitanza, avrebbe dovuto essere valutata, ed eventualmente disattesa, sulla base di risultanze concrete o quanto meno di argomentazioni di ordine logico idonee a sostenerne l’inverosimiglianza (ad es. emergendo aliunde la perdurante, effettiva residenza di COGNOME NOME nell’abitazione familiare, ovvero comunque il mantenimento dei contatti con il padre odierno ricorrente). Risulta invece del tutto inidoneo, ai fini predetti e i assenza di elementi di apprezzabile concretezza, il riferimento al fatto che il COGNOME “non poteva non conoscere l’esistenza della misura cautelare personale e della scelta del figlio NOME di sottrarvisi” (cfr. pag. 3, cit.).
GLYPH 4. Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.
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