Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11396 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11396 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Perugia nel procedimento a carico di
NOME NOME, nato a Cammarata (Ag) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/4/2023 della Corte di appello di Perugia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, con memoria
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18/4/2023, la Corte di appello di Perugia, in riforma della pronuncia emessa il 20/12/2021 dal locale Tribunale, assolveva NOME COGNOME
dall’imputazione di cui all’art. 5, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, perché il fatto non sussiste.
Propone ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Perugia, deducendo – con unico motivo – la mancanza, la illogicità e la contraddittorietà della motivazione. La Corte di appello avrebbe riformato la sentenza di condanna sulla scorta di mere considerazioni soggettive sprovviste di qualunque riscontro, tra cui l’avvenuta vendita degli immobili ad un prezzo inferiore a quello di mercato o, addirittura, a quello di costruzione, così da non realizzarsi alcun reddito, se non uno così modesto da non raggiungere neppure la soglia di punibilità. Tali considerazioni, tuttavia, non terrebbero conto degli oggettivi elementi emersi dall’istruttoria, quali l’esistenza di ricavi di fatturati 395.000 euro (per l’esercizio 2015), l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi dal 2011 al 2015 e – in sede di indagine – anche della documentazione fiscale. In senso contrario, peraltro, non varrebbe la presunta inattività della società tra il 2011 e il 2015, in quanto i ricavi certi, nei termini indicati, avrebbe imposto la presentazione della dichiarazione dei redditi, specie a fronte di costi solo ipotizzati dalla Corte nella loro esistenza e nel loro ammontare, contrariamente alla giurisprudenza di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta fondato.
Il Tribunale aveva riconosciuto la responsabilità del COGNOME sottolineando che nel 2015 la “RAGIONE_SOCIALE“, di cui egli era legale rappresentante, aveva fatturato ricavi per 395.000 euro, senza presentare alcuna dichiarazione; la documentazione societaria, peraltro, non era stata esibita agli accertatori, così come l’asserita variazione in diminuzione delle rimanenze non era stata esposta nelle dichiarazioni, mai presentate dal 2011 al 2015 compreso. Con riguardo, poi, ai costi sostenuti, la prima sentenza ne aveva evidenziato l’assoluta carenza di allegazione, in palese contrasto con la giurisprudenza di questa Corte.
Tanto premesso, il Giudice di appello ha sovvertito la decisione di condanna con una motivazione del tutto inadeguata, assolvendo l’imputato attraverso la valorizzazione di elementi dei quali non è indicato alcun fondamento istruttorio, al pari dell’idoneità a superare le considerazioni spese dal primo Giudice.
5.1. In particolare, la Corte ha affermato che gli immobili di proprietà della società erano stati venduti in sede di esecuzione forzata, a seguito di pignoramenti, dunque “sottocosto”; da ciò, come fatto notorio, la conseguenza che “il ricavato della vendita in sede esecutiva sia stato notevolmente inferiore al reale valore di mercato degli immobili, probabilmente persino al di sotto del loro
costo di costruzione.” Ebbene, una tale affermazione, pur se astrattamente verosimile, risulta espressa con assoluta apoditticità, senza l’indicazione di alcun elemento – eventualmente emerso nell’istruttoria – tale da sostenerla con apprezzabile affidabilità, specie a fronte di ricavi fatturati dalla società p l’ammontare di 395.000 euro. Ancora, la sentenza ha ritenuto tali argomenti – si ribadisce, privi di qualunque riferimento probatorio – talmente forti, anzi espressione di fatto notorio, da non richiedere alcun accertamento quanto ai costi che la società avrebbe sostenuto, presuntivamente ritenuti superiori ai ricavi, o, qualora inferiori, di certo in misura tale da non permettere di raggiungere la soglia di punibilità di cui all’art. 5 in contestazione.
Ebbene, il carattere apodittico di queste considerazioni impedisce di riconoscervi una forza argomentativa tale da scardinare la precedente sentenza di condanna che, in senso contrario, aveva evidenziato non solo l’esistenza di un reddito certo (per l’anno di riferimento), ma anche l’assenza di qualunque prova di costi sostenuti, così come la mancata indicazione di una qualunque variazione negativa degli elementi di reddito (o patrimoniali) nella dichiarazione, mai presentata dal 2011 al 2015.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2024