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Omessa dichiarazione: non basta ipotizzare i costi

La Corte di Cassazione ha annullato l’assoluzione di un legale rappresentante di una società immobiliare dal reato di omessa dichiarazione. La Corte d’Appello lo aveva assolto presumendo che una vendita forzata di immobili non avesse generato utili. La Cassazione ha stabilito che, a fronte di ricavi certi per 395.000 euro, i costi devono essere provati e non possono essere meramente ipotizzati, annullando la sentenza e rinviando il caso per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Omessa Dichiarazione: I Costi Vanno Provati, Non Ipotizzati

In tema di omessa dichiarazione, un recente intervento della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: di fronte a ricavi certi e documentati, l’imputato non può essere assolto sulla base di una mera supposizione circa l’esistenza di costi che avrebbero azzerato l’imponibile. La prova dei costi sostenuti è un onere che non può essere eluso attraverso presunzioni, anche se apparentemente verosimili. Analizziamo insieme la Sentenza n. 11396/2024.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda il legale rappresentante di una società immobiliare, condannato in primo grado per il reato di omessa dichiarazione dei redditi. La società, nell’anno fiscale 2015, aveva registrato ricavi fatturati per 395.000 euro, ma non aveva presentato la relativa dichiarazione, così come per gli anni dal 2011 al 2015. Durante gli accertamenti, inoltre, non era stata esibita la documentazione societaria.

La Decisione della Corte di Appello: l’Assoluzione basata su Presunzioni

Contrariamente al Tribunale, la Corte di Appello di Perugia aveva riformato la sentenza, assolvendo l’imputato perché “il fatto non sussiste”. La motivazione si basava su una considerazione principale: gli immobili della società erano stati venduti a seguito di un’esecuzione forzata e pignoramenti. Secondo i giudici d’appello, era un “fatto notorio” che le vendite giudiziarie avvengono a un prezzo “sottocosto”, spesso inferiore persino al valore di costruzione. Da questa premessa, la Corte aveva dedotto che la società non avesse realizzato alcun reddito imponibile, o comunque un reddito inferiore alla soglia di punibilità, senza però basarsi su alcun elemento probatorio concreto emerso dall’istruttoria.

Il Ricorso per l’omessa dichiarazione in Cassazione

Il Procuratore Generale ha impugnato la sentenza di assoluzione, lamentandone la mancanza di logica e la contraddittorietà. Il ricorso evidenziava come la decisione fosse fondata su considerazioni soggettive e sprovviste di riscontro, ignorando dati oggettivi come i ricavi certi per 395.000 euro e la sistematica omissione delle dichiarazioni fiscali. In sostanza, la Corte d’Appello aveva dato per scontata l’esistenza di costi superiori ai ricavi, invertendo di fatto l’onere della prova.

Le Motivazioni della Cassazione: I Ricavi Certi Prevalgono sui Costi Ipotizzati

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, definendo la motivazione della sentenza d’appello “del tutto inadeguata” e “apodittica”. Gli Ermellini hanno sottolineato che, sebbene l’ipotesi di una vendita sottocosto fosse “astratttamente verosimile”, essa era stata affermata con “assoluta apoditticità”, senza alcun elemento istruttorio a supporto. A fronte di un dato certo e provato – i ricavi fatturati per 395.000 euro – non è ammissibile ritenere, senza alcuna prova, l’esistenza di costi di entità tale da annullare il reddito. Il carattere apodittico di tali considerazioni, secondo la Cassazione, non ha la forza argomentativa necessaria per scardinare una sentenza di condanna basata su prove concrete come l’esistenza di un reddito certo e l’assenza totale di prova sui costi sostenuti. La Corte ha ribadito che l’onere di dimostrare i componenti negativi del reddito grava su chi li allega.

Conclusioni: Il Principio di Diritto e le Implicazioni Pratiche

La sentenza riafferma un caposaldo del diritto penale tributario: la prova deve fondarsi su elementi oggettivi e non su presunzioni o “fatti notori” non suffragati da riscontri processuali. Per il reato di omessa dichiarazione, l’esistenza di ricavi documentati costituisce il punto di partenza dell’accertamento. Qualsiasi elemento a discarico, come i costi di produzione o di gestione, deve essere debitamente provato dall’imputato. Affidarsi a congetture, per quanto plausibili, per neutralizzare un dato certo come il fatturato, equivale a sovvertire le regole probatorie. La decisione è stata quindi annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo fondamentale principio.

Per il reato di omessa dichiarazione, è sufficiente affermare che non c’è stato reddito a causa di una vendita “sottocosto” per essere assolti?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che a fronte di ricavi certi e fatturati, i costi che ridurrebbero o annullerebbero l’imponibile devono essere provati e non possono essere semplicemente ipotizzati o presunti, neanche se la vendita è avvenuta in un’asta giudiziaria.

Cosa significa che una motivazione è “apodittica”?
Significa che è un’affermazione presentata come una verità evidente che non necessita di dimostrazione. La Cassazione ha ritenuto apodittica la decisione della Corte d’Appello perché ha dato per scontato che una vendita forzata non generasse utili, senza basarsi su alcuna prova emersa nel processo.

Cosa succede quando la Corte di Cassazione annulla una sentenza con rinvio?
La sentenza annullata perde la sua efficacia. Il processo deve essere celebrato nuovamente davanti a un altro giudice (in questo caso, la Corte di Appello di Firenze), che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi di diritto stabiliti dalla Cassazione nella sua decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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