Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 3021 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3021 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/09/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta la memoria del difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso.
Ricorso trattato ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020
RITENUTO IN FATTO
1.La sig.ra NOME COGNOME ricorre per l’annullamento della sentenza del 16/09/2022 della Corte di appello di Firenze che ha confermato la condanna alla pena principale di un anno e dieci mesi di reclusione (oltre pene accessorie) irrogata con sentenza del 18/01/2021 del Tribunale di Firenze, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lei impugnata, per i reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 5 d.lgs. n. 74 del 2000, co riferimento agli anni di imposta 2013 e 2014.
1.1.Con il primo motivo deduce la carenza del dolo specifico e la manifesta illogicità della motivazione sul punto / siccome contrastante con le risultanze processuali dalle quali – sostiene – emerge che, diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello, al commercialista era stata fornita tutta l documentazione necessaria per predisporre e presentare la dichiarazione annuale, sicché resta inspiegabile (e non spiegato) il motivo per il quale commercialista stesso non aveva adempiuto al proprio dovere. Non è dunque vero che il professionista aveva edotto l’imputata della mancanza di documentazione necessaria; le e-mail in atti provano il contrario, così come prova il contrario il fatto che il commercialista aveva potuto effettuare comunicazione IVA per conto della società indicando i medesimi importi successivamente accertati dall’RAGIONE_SOCIALE.
La ricorrente non aveva perciò alcun motivo di interloquire tempestivamente con il commercialista (al quale inviava sempre ciò di cui quest’ultimo aveva bisogno, tant’è vero che quando il rapporto professionale si era interrotto le er stato restituito dal commercialista tutto quello che era stato a ques consegnato); in ogni caso, aggiunge, potrebbe al più esserle addebitato un rimprovero a titolo di colpa, non di dolo specifico di evasione.
Il mancato pagamento dell’IVA, infine, costituisce condotta neutra dalla quale non è dato ricavare la prova del dolo.
Una corretta gestione del materiale probatorio avrebbe certamente indotto i Giudici distrettuali ad un diverso epilogo decisorio.
1.2.Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 2 cod. pen. essendo stata applicata una pena più grave di quella prevista alla data perfezionamento del reato, data – osserva – da individuare in quella correlata all scadenza del termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, non in quella corrispondente alla maturazione dei novanta giorni successivi.
1.3.Con il terzo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale sotto il profilo della insussistenza di precedenti ostativi alla concessione de
sospensione condizio alVella pena, non essendo incompatibile il beneficio p*, richiesto con le r coutne a pene pecuniarie o per contravvenzioni.
1.4.Con il GLYPH motivo deduce la mancanza di motivazione in ordine alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.11 ricorso è infondato.
3.11 primo motivo è proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge siccome fondato su ampi richiami al materiale istruttorio del quale non viene nemmeno dedotto il travisamento.
3.1.L’affermazione dei Giudici distrettuali (e prima ancora del Tribunale) che l’imputata era stata avvertita dal proprio commercialista della mancanza di documentazione necessaria ai fini della compilazione della dichiarazione annuale contrasta con la diversa ricostruzione della vicenda da parte della ricorrente che, a tal fine, fa riferimento al contenuto di atti (CNR, mail, altri atti di indagine) quali, come detto, non deduce il travisamento.
3.2.E’ necessario allora ricordare che l’indagine di legittimità sul discors giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza RAGIONE_SOCIALE argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fat posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 – 01).
3.3.E’ possibile estendere l’indagine di legittimità al contenuto di «atti de processo specificamente indicati» quando se ne deduce il travisamento, vizio (di natura percettiva, non valutativa) configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il travisamento ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione
per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 257499). L’errore percettivo rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. L’errore è perc decisivo solo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come spiegato in motivazione da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, COGNOME, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).
3.4.Poiché il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando l prova travisata, se l’errore è imputabile al giudice di primo grado la relativ questione deve essere devoluta al giudice dell’appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimità, non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d “doppia conforme”, il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, COGNOME, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio può essere eccepito in sede di legittimità, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, COGNOME, Rv. 258438).
3.5.Inoltre, quando viene dedotto il travisamento della prova è onere del ricorrente, in virtù del principio di “autosufficienza del ricorso”, suffragare validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità i loro esame diretto, a meno che il “fumus” del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 2067 dell’11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302). Non è sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarativ estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli att processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, COGNOME, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art.
comma primo, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricor l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processua di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581 comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen.).
3.6.E’ necessario, pertanto: a) identificare l’atto processuale omesso o travisato; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale at emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, l tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035). Il principio di autosufficienza del ricorso trova applicazione anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. p introdotto dall’art. 7, comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, che si tradu nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato ove a ciò egli non abbia provveduto nei modi sopra indicati (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419 – 01; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432 01).
3.7.Nel caso di specie, la ricorrente non deduce di aver sottoposto al giudice del gravame le medesime questioni devolute in sede di legittimità; in particolare non precisa se se si è doluta in appello dell’omesso esame RAGIONE_SOCIALE medesime prove indicate nell’odierno ricorso, che peraltro nemmeno allega. Al riguardo deve essere precisato che il travisamento non può che riguardare le stesse prove indicate dall’art. 581, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., a meno che – come già detto – la Corte di appello, per rispondere ai motivi, non abbia fatto ricorso prove diverse da quelle indicate dal giudice di primo grado (circostanza che deve essere esclusa nel caso di specie non essendo stata nemmeno dedotta).
3.8.In ogni caso, l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione (art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), in quanto, trattandosi di reat omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il
relativo dovere; tuttavia, la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una “culpa in vigilando” sull’operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, COGNOME, Rv. 265087).
3.9.Nel caso di specie la condanna non si fonda sulla “culpa in vigilando” della ricorrente, bensì sulla violazione dell’obbligo di presentare la dichiarazion annuale a lei direttamente imputabile, non solo in quanto soggetto passivo di imposta tenuto all’obbligo dichiarativo (strumentale al corretto adempimento dell’obbligazione tributaria), ma perché autrice di condotte dolosamente orientate allo scopo proprio di sottrarre rilevanti risorse all’Erario mediante violazione di tale obbligo. Rileva, a tal fine, sia la circostanza che la ricorre non ha presentato la dichiarazione IVA per due anni consecutivi senza mai pagare la relativa imposta, sia il fatto che, come già osservato dal primo Giudice, l’imputata ha comunque presentato le comunicazioni dati di cui all’art. 8-bis d.P.R. n. 164 del 1999, che non sono soggette a controlli, laddove, se avesse presentato la dichiarazione, l’omesso versamento dell’imposta sarebbe apparsa evidente, in ciò mostrando di aver scelto tra cosa dichiarare e cosa no, ciò che rende del tutto illogica la tesi difensiva dell’affidamento al professionista e n manifestamente illogica la motivazione della sentenza.
4.11 secondo motivo è infondato.
4.1.Deve essere preliminarmente ricordato che il termine di prescrizione del reato di omessa dichiarazione, di cui all’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 decorre non dal giorno in cui l’accertamento del debito di imposta diviene definitivo, ma dal novantunesimo giorno successivo alla scadenza del termine ultimo stabilito dalla legge per la presentazione della dichiarazione annuale (Sez. 3, n. 36837 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276884 – 01; Sez. 3, n. 48578 del 19/07/2016, COGNOME, Rv. 268189 – 01; Sez. 4, n. 24691 del 03/03/2016, Villabuona, Rv. 267229 – 01; Sez. 3, n. 17120 del 20/01/2015, COGNOME, Rv. 263251 – 01).
4.2.Cíò sul rilievo che ai sensi del secondo comma dell’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine. La presentazione della dichiarazione dopo la scadenza del termine ma entro il novantesimo giorno successivo rende atipico il fatto, visto che con la dicitura “non si considera omessa” il legislatore intervenuto direttamente sulla descrizione della condotta omissiva rendendo
“atipico” il ritardo rispetto all’omissione. Se ne ha conferma dal tenore dell’art. comma 7, d.P.R. n. 322 del 1998, a mente del quale le dichiarazioni presentate entro il novantesimo giorno dalla scadenza del termine sono considerate, anche a fini sanzionatori, come presentate in ritardo, laddove le dichiarazioni sono considerate omesse solo se presentate dopo il 90 0 giorno. Del resto, in assenza di una chiara indicazione in tal senso, il termine dilatorio non può esser considerato né una condizione di procedibilità, né una causa di non punibilità. La dichiarazione presentata entro il termine di novante giorni dalla scadenza è una dichiarazione “tardiva”, ma non omessa. Non si può pertanto condividere la tesi difensiva secondo la quale il reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 perfeziona alla scadenza del termine stabilito per la presentazione della dichiarazione e si consuma decorsi i novanta giorni da tale scadenza. In realtà, come detto, il reato si perfeziona e si consuma il novantunesimo giorno successivo alla scadenza per il semplice fatto che prima di tale scadenza il reato non sussiste, non essendosi perfezionato l’elemento omissivo non considerato tale prima della scadenza di detto termine.
4.3.Ne consegue che correttamente l Giudici distrettuali hanno applicato, per il reato commesso il 30/12/2015 la più grave disciplina sanzionatoria introdotta con d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
5.11 terzo motivo si avvale di inammissibili deduzioni fattuali ed è generico.
5.1.11 giudizio prognostico negativo è stato formulato dalla Corte di appello non solo in base ai precedenti penali (definiti “ostativi”), ma anche i considerazione della condotta posta in essere dall’imputata successivamente alla commissione dei reati. Su quest’ultimo aspetto il ricorso non si sofferma affatto.
5.2.In ogni caso, ai fini del diniego della sospensione condizionale della pena, la sentenza di applicazione della pena, in quanto equiparata a sentenza di condanna, costituisce un precedente penale, valutabile anche nell’ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzio del reato cui essa si riferisce (Sez. 3, n. 43095 del 12/10/2021, COGNOME, Rv. 282377 – 01; Sez. 6, n. 46400 del 13/09/2017, COGNOME, Rv. 271389 – 01). Peraltro, in tema di sentenza di patteggiamento, l’estinzione degli effetti penal conseguente, ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., all’utile decorso del termine di due o cinque anni (secondo che si tratti di delitto o d contravvenzione), deve intendersi limitata, con riferimento alla reiterabilità della sospensione condizionale, ai soli casi in cui sia stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, con la conseguenza che, ove sia stata applicata una sanzione detentiva, di questa occorre comunque tenere conto ai fini della valutazione, imposta dagli artt. 164, ultimo comma, e 163 cod. pen.
circa la concedibilità di un secondo beneficio (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 218529 – 01).
6.E’ infondato anche l’ultimo motivo.
6.1.11 Tribunale, ai sensi dell’at. 168, comma primo, n. 1), cod. pen., aveva revocato il benefiqb della sospensione condizionale della pena concesso con sentenza del GUP del Tribunale di Firenze del 10/02/2010 (irr. il 19/04/2010) perché il reato commesso il 29/12/2014 era stato consumato nel quinquennio successivo a quelli oggetto della precedente condanna. Vero è che il giudice avrebbe potuto non revocare il beneficio e concedere una nuova sospensione condizionale ma il giudizio prognostico negativo ribadito dalla Corte di appello ha reso superfluo l’esame del motivo con cui la ricorrente lamentava proprio la mancata concessione della seconda sospensione condizionale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10/10/2023.