Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26545 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26545 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato a Camposampiero 11 01/05/1972
avverso la sentenza del 22/05/2024 della Corte di appello di Trento visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, d Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; letta la memoria del difensore, avv. NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso e, in subordine, la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite in ordine all’individuazione del soggetto tenuto ala dichiarazione annuale dei redditi in caso di intervenuto fallimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Trento ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Rovereto all’esito del giudizio abbreviato ed impugnata dall’imputato, la quale aveva condannato NOME COGNOME quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 con riferimento all’annualità imposta del 2015.
Avverso la sentenza, l’imputato, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato da due motivi, che deducono:
il vizio di motivazione a fronte di un contrasto giurisprudenziale in relazione all’individuazione del soggetto tenuto alla presentazione della dichiarazione annuale in materia di imposta sui redditi, in quanto, secondo il più recente arresto, supportato dalle risoluzioni dell’amministrazione finanziaria (Ris. 2 febbraio 2007, n. 18/E, che richiama la Circ. 7 novembre 1988, n. 5), tale onere incombe sul curatore fallimentare anche per il periodo anteriore al fallimento; nei caso in esame, quindi, in relazione alla dichiarazione del 2015, la cui presentazione scadeva il 31 dicembre 2016, il soggetto obbligato era il curatore fallimentare, nominato con sentenza del 29 aprile 2016;
il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del dolo specifico, posto che, come riconosciuto dallo stesso curatore, l’imputato era stato esautorato di qualsiasi potere di gestione della società e non era nemmeno in possesso della documentazione contabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
2.1. Si rammenta che, per constante giurisprudenza, in tema di reato di omessa dichiarazione dei redditi, spetta al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento, mentre il curatore deve presentare le dichiarazioni per i periodi di imposta successivi, in essi compreso anche il periodo nel corso del quale è intervenuta la dichiarazione di fallimento (Sez. 3, n. 1549 del 01/12/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249351 – 01; Sez. 3, n. 299 del 27/10/1995, dep. 1996, Bruno, Rv. 203692 – 01).
In quelle decisioni, si è chiarito che, in materia di fallimento, la soggettivit passiva nel rapporto tributario permane nei confronti del fallito, il quale dopo la dichiarazione di fallimento perde solo la disponibilità dei suoi beni nonché la capacità processuale e quella di amministrare il suo patrimonio.
Coerentemente con tale assunto, resta in capo al fallito l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi relativamente ai periodi di imposta anteriori alla sentenza di fallimento, mentre, relativamente ai periodi di imposta successivi, è il curatore fallimentare il soggetto obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi per l’intervallo di tempo compreso tra l’inizio del periodo di imposta e la dichiarazione di fallimento.
Anche la giurisprudenza civile (cfr. Sez. 5, n. 11590 del 2021, non massimata), ha stabilito che, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, spetta al curatore presentare la dichiarazione dei redditi relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la dichiarazione di fallimento, mentre spetta al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento.
2.2. A fronte di tali argomentazioni, le censure difensive appaiono del tutto generiche, sia perché l’asserito contrasto in giurisprudenza viene solamente enunciato, senza alcuna indicazione di decisioni di segno opposto – di talché non sono ravvisabili i presupposti per adire le Sezioni Unite -, sia perché le circolari dell’amministrazione finanziaria, cui si appella il ricorrente, non sono affatto pertinenti, posto che esse riguardano l’obbligo, o meno, per il curatore fallimentare di effettuare la ritenuta d’acconto di cui all’articolo 25-bis d.P.R. n. 600 del 1973 sui compensi erogati all’Istituto Vendite Giudiziaríe per l’effettuazione delle operazioni di vendita di beni compresi nel compendio fallimentare.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
3.1. Invero, si osserva che la sentenza di primo grado si era ampiamente diffusa sulla sussistenza del dolo specifico (cfr. p. 7-9), evidenziando come l’imputato avesse cercato in ogni modo di salvare il patrimonio sociale dalle aggressioni dei creditori, primo fra tutti l’Erario, ponendo in essere una serie di azioni volte a trasferire i beni a società partecipate ed a paralizzare, anche mediante azioni legali, il fallimento e l’attività del curatore; in questo contesto come spiegato dal Tribunale, si colloca, appunto, la mancata presentazione della dichiarazione ai fini Ires, nel tentativo estremo di sottrarre l’attivo anche al fisc il che incarna la finalità di evasione perseguita dall’agente, supportata anche dall’ammontare, tutt’altro che esiguo, dall’imposta evasa.
La Corte di appello, sia pure in maniera sintetica (cfr. p. 6-7), ha ripreso le argomentazioni del Tribunale, le quali, peraltro, con l’atto di appello erano state
contestate in maniera generica ed assertiva.
3.2. Orbene, rammentato che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con
quella di primo grado per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando, come nella specie, i giudici del gravame concordino nell’analisi e
nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione impugnata (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418
del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep.
2012, NOME, Rv. 252615), si osserva che il ricorso omette un effettivo confronto critico con la motivazione, deducendo censure per un verso di
contenuto fattuale (come la circostanza che l’imputato fosse stato esautorato di qualsiasi potere di gestione della società), altro verso non pertinenti (quali il non
avere l’imputato la disponibilità delle scritture contabili).
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente a! pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 21/05/2025.