Omessa Dichiarazione: La Prova dei Costi Spetta al Contribuente
L’omessa dichiarazione dei redditi è un reato tributario grave, le cui conseguenze possono essere molto serie. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia: l’onere di provare l’esistenza dei costi deducibili spetta interamente al contribuente. In assenza di prove concrete, i giudici calcoleranno l’imposta evasa basandosi unicamente sui ricavi accertati. Analizziamo insieme questa importante decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.
I fatti del caso: una condanna per evasione fiscale
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un contribuente condannato per il reato di omessa dichiarazione, previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. La Corte d’Appello aveva quantificato l’imposta evasa in € 64.918,08. Tale calcolo era stato effettuato sulla base della documentazione rinvenuta presso l’abitazione dell’imputato, principalmente fatture di vendita.
Dai ricavi così accertati, i giudici di merito avevano dedotto soltanto una somma minima a titolo di costi (€ 750,00), poiché non erano state fornite dall’interessato ulteriori allegazioni o prove documentali relative ad altre spese sostenute. L’imputato ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione, contestando la correttezza della motivazione che aveva portato alla sua condanna, in particolare per quanto riguarda la determinazione della base imponibile.
La decisione della Corte e l’onere della prova nell’omessa dichiarazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la sentenza di condanna. Secondo gli Ermellini, il ricorso non faceva altro che riproporre le stesse censure già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello.
Il punto centrale della decisione riguarda l’onere della prova. La Corte territoriale, secondo la Cassazione, ha applicato correttamente i principi giuridici affermando che, per provare il superamento della soglia di punibilità, è legittimo basarsi sulla documentazione attiva (le fatture di vendita) per calcolare i ricavi. Da questi, si possono detrarre i costi, ma solo se essi sono adeguatamente provati. In mancanza di allegazioni specifiche da parte del contribuente, il giudice non può presumere l’esistenza di costi ulteriori a quelli documentalmente riscontrati.
Le motivazioni
La motivazione della Suprema Corte si fonda su un orientamento giurisprudenziale consolidato. Viene richiamata una precedente sentenza (Cass. n. 17214/2023) secondo cui i costi possono essere riconosciuti solo in presenza di ‘allegazioni fattuali da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza’.
In altre parole, non basta affermare genericamente di aver sostenuto dei costi. È necessario fornire elementi concreti (documenti, fatture d’acquisto, registri) che permettano al giudice di quantificarli e ritenerli veritieri. L’omessa dichiarazione crea una situazione di incertezza che spetta al contribuente dissipare, dimostrando quali fossero le spese effettivamente sostenute per produrre il reddito. Se non lo fa, si espone al rischio che il calcolo dell’imposta evasa venga effettuato sul totale dei ricavi, con conseguenze penali molto più severe.
Le conclusioni
Questa ordinanza offre un monito importante per imprenditori e professionisti. La corretta tenuta della contabilità non è solo un obbligo formale, ma uno strumento essenziale di difesa. In caso di contestazioni fiscali, e a maggior ragione in un procedimento penale per omessa dichiarazione, la capacità di documentare puntualmente i costi sostenuti è decisiva. La decisione della Cassazione chiarisce che la passività del contribuente di fronte a un’accusa di evasione non gioca a suo favore: l’onere di dimostrare la reale entità del reddito imponibile, attraverso la prova dei costi, grava interamente su di lui.
In caso di omessa dichiarazione, come viene calcolata l’imposta evasa?
L’imposta evasa viene calcolata determinando i ricavi sulla base della documentazione disponibile (es. fatture di vendita) e sottraendo i soli costi che il contribuente è in grado di provare concretamente con allegazioni fattuali e documentali.
È possibile dedurre i costi anche se non si è presentata la dichiarazione dei redditi?
Sì, ma è onere del contribuente fornire le prove necessarie a dimostrare l’esistenza e l’ammontare di tali costi. In assenza di allegazioni fattuali e prove, i costi non possono essere riconosciuti dal giudice.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato ritenuto riproduttivo di censure già correttamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza sollevare nuove questioni di diritto o vizi di legittimità nella sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46416 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46416 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 08/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PARMA il 06/02/1960
avverso la sentenza del 19/12/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME i cui motivi possono essere trattati congiuntamente, che contesta la correttezza della motivazione posta /base dell’affermazione della responsabilità per il reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per l’omessa presentazione della dichiarazione Irpef con evasione della predetta imposta per C 64. 918,08, è inammissibile perché riproduttivo di profilo di censura già adeguatamente vagliato e disatteso dal giudice del merito con argomenti giuridici corretti in diritto là dove la corte territoriale ha argomentato la prova del superamento della soglia di punibilità sulla scorta della documentazione rinvenuta presso l’abitazione dell’imputato (fatture di vendita) da cui ha calcolato l’ammontare del reddito e la relativa imposta evasa, deducendo i costi riscontrati per C 750,00, in assenza di ulteriori allegazioni di costi, motivazione corretta in diritto (Sez. 3, n. 17214 del 14/03/2023, Rv. 284554 – 01 secondo cui i costi possono essere riconosciuti solo in presenza di allegazioni fattuali da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza).
Rilevato che pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, l’08 novembre 2024
Il Presidente