Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27708 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27708 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sul ricorso presentato da NOME NOMECOGNOME nata a Palermo il 13/11/1986 avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 17/05/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale che, riportandosi alla memoria già depositata, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME in sostituzione, come da delega scritta, dell’avv. NOME COGNOME che riportandosi ai motivi di ricorso, ha concluso per l’accoglimento dello stesso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/05/2024 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Termini Imerese, in composizione monocratica,
all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato NOME NOME colpevole del reato di cui all’art. 7, comma 2, d.l. n. 4/2029, e l’aveva condannata alla pena di mesi dieci di reclusione.
COGNOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso, affidato a due motivi.
2.1. Col primo motivo la ricorrente deduce erronea applicazione di legge -art. 7 d.l. 4/2019 in relazione agli artt. 42 e 5 cod.pen.- e correlato vizio di motivazione, asseritamente contraddittoria ed illogica, in ordine, specificamente, all’elemento soggettivo del reato, sicchè, postulando che il fatto non sussiste, invoca l’annullamento della sentenza.
Il delitto in contestazione è contestato nella sua forma omissiva, per non aver la ricorrente comunicato, in sede di rinnovo della richiesta del beneficio, il sopravvenuto stato detentivo del coniuge, componente del nucleo familiare, informazione rilevante ai fini della riduzione dell’importo del sussidio; la Corte territoriale ha concretamente imputato alla ricorrente una condotta negligente, e dunque colposa, per l’omessa solerzia nel richiedere chiarimenti all’impiegato del CAF in ordine alla procedura di rinnovo, attesa una «qualche difficoltà nella lettura dei moduli prestampati»; ai fini dell’integrazione del delitto sotto il profilo soggettivo è necessario il dolo generico, al più eventuale, nella specie non evocabile per come emerso dalla piattaforma probatoria (l’istanza fu redatta tramite impiegato del CAF cui la ricorrente chiese delucidazioni, venendo interpellata, solo, in ordine al fatto se il nucleo familiare fosse mutato rispetto al precedente anno di presentazione della richiesta).
2.2. Col secondo motivo deduce erronea applicazione di legge – art. 131-bis cod.pen. e 2, comma 4, cod.pen.-.
Giurisprudenza di legittimità più risalente escludeva il rilievo dei comportamenti successivi alla commissione del reato ai fini dell’apprezzamento della condizione della non abitualità della condotta, in considerazione del fatto che la disposizione dell’art. 131-bis cod.pen. correla l’esiguità del disvalore ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado in colpevolezza da esso desumibile, dell’entità del danno o del pericolo, da apprezzare in relazione ai soli profili di cui all’art. 133, comma 1, cod.pen., e non anche a quelli indicativi della capacità a delinquere, di cui all’art. 133, comma 2, cod.pen.; erronea è stata l’interpretazione della novella di cui alla L. 150/2022 da parte della Corte territoriale, che ha sì modificato la norma in discussione, valorizzando la condotta susseguente al reato, ma -argomenta la difesa- sempre e solo in relazione alla gravità del reato, sicché nessuna rilevanza ricoprirebbe la mancanza di ravvedimento attivo o di desistenza o di resipiscenza.
In ogni caso la Corte territoriale avrebbe violato il disposto di cui ad art. 2, comma 4, cod.pen., valutando esizialmente la condotta susseguente al reato che è stato commesso il 28 maggio 2021 e, dunque, prima dell’entrata della disciplina più sfavorevole.
La decisione adottata sarebbe, comunque, contra legern nella parte in cui ha giudicato abituale la condotta della ricorrente sulla base di precedenti per reati non della stessa indole di quello di che trattasi, datati, e di modetso allarme sociale; taluni per di più estinti ai sensi dell’art. 460, comma 5, cod.proc.pen., dei quali non doveva tenersi conto in quanto l’estinzione del reato comporta, anche, l’elisione di ogni effetto penale della condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Innanzi tutto osserva il collegio che i motivi qui formulati sono meramente reiterativi di quelli proposti con l’atto di appello innanzi alla Corte del territorio, con la motivazione resa non si confrontano.
Il ricorso è, perciò, intanto per tale motivo, inammissibile, venendo riproposte in questa sede di legittimità doglianze già correttamente disattese, in fatto e diritto, dalla Corte territoriale.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217). La funzione tipica dell’impugnazione, d’altro canto, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, Furlan, cit.).
2.E’ esattamente quanto accaduto nel caso di specie, al di là della ‘forma’ stilistica del ricorso.
I motivi di ricorso sono, come anticipato, sovrapponibili a quelli di appello, come risulta evidente dalla sintesi delle lagnanze difensive di cui al «ritenuto in fatto» e dalla discussione che di seguito se ne propone.
3. I motivi sono, altresì, manifestamente infondati.
3.1. Ed infatti con riferimento alla censura di cui al primo motivo di ricorso la sentenza impugnata si sottrae a qualsiasi censura, sia in diritto che in relazione alla motivazione resa, priva di illogicità manifesta.
Questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 5440 del 13/01/2023 Ud., dep. 08/02/2023, rv. 284137 – 01) ha affermato, con riferimento all’elemento soggettivo del reato che : «Integrano il reato di cui all’art. 7, comma 1, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, anche le false indicazioni o le omissioni di informazioni dovute che consentano di conseguire un beneficio di importo maggiore di quello al quale si avrebbe avuto diritto. (In motivazione, la Corte ha chiarito che, essendo sanzionate dalla medesima norma anche le condotte del percettore del reddito di cittadinanza che ometta di comunicare informazioni dovute e rilevanti ai fini della riduzione del beneficio, deve ritenersi “indebitamente” ottenuto non solo il beneficio non spettante, ma anche quello erogato in misura maggiore rispetto al dovuto)». Più di recente sempre questa Corte (Sez. 2 Sentenza n. 23265 del 07/05/2024 Ud., dep. 10/06/2024, rv. 286413 – 01) ha affermato il seguente principio: «In tema di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza, l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione, in difetto dei requisiti a tal fine richiesti dall’art. 2 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, si risolve in un errore su legge penale, che non esclude la sussistenza del dolo ex art. 5 cod. pen., in quanto l’anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all’art. 7 del citato d.l. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che non ricorre neanche un caso di inevitabilità dell’ignoranza della legge penale, non presentando la normativa in tema di concessione del reddito di cittadinanza connotati di cripticità tali da far ritenere
l’oscurità del precetto)». Motivazione . -come sottolineato dalla Corte territoriale, cfr. § 1.2.- che perfettamente si attaglia al caso di specie in cui la omessa dichiarazione della mutata composizione del nucleo familiare attiene a situazione di concreta immediata evidenza tale da non legittimare fraintendimento alcuno.
2.2. Quanto, al secondo motivo si osserva che la Corte di cassazione ha in più occasioni stabilito il principio secondo il quale, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131bis cod.pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod.pen. , ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (da ultimo Sez. 7, Ordinanza n. 10481 del 19/01/2022 Cc., dep. 24/03/2022, rv. 283044).
accaduto dopo quel momento, costituito appunto dalla condotta che l’imputato ha
tenuto in epoca posteriore alla realizzazione dell’illecito (condotta susseguente che, in precedenza, si era negato potesse essere valorizzata ai fini che qui rilevano: v. i Sez. 5, n. 660 del 02/12/2019, dep. 2020, P., Rv. 278555; Sez. 3, n. 893 del 28/06/2017, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 272249).
La disposizione dettata dall’art. 131-bis cod. pen. in tale nuova versione è entrata in vigore il 30 dicembre 2022, giusta la previsione dell’art. 6 del decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, nel testo convertito dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, sicché, in assenza di una disposizione transitoria, si è posto il problema della applicazione retroattiva di tali novità legislative a fatti di reato commessi in epoca anteriore a quella data: dunque, anche al delitto accertato a carico dell’odierna ricorrente, chiamata a rispondere del reato commesso il 28 maggio 2021. Il quesito è stato risolto positivamente, in ossequio al preciso indirizzo esegetico formulato dalle Sezioni Unite della Cassazione in occasione dell’entrata in vigore del nuovo istituto, quando la questione della deducibilità dell’istanza di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. per la prima volta in cassazione venne definita in senso positivo, in quanto norma afferente ad un istituto di diritto penale sostanziale, dunque ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.: ne consegue il riconoscimento dell’applicazione retroattiva dell’art. 131-bis cod. pen. alle nuove figure criminose definibili quoad poenam anche nei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della riforma aventi ad oggetto reati commessi prima di quella data (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266594-01).
Applicazione retroattiva che non vi è ragione di non riconoscere pure per la parte della nuova disposizione che prevede la possibilità per il giudice di tenere conto della condotta del reo susseguente al reato, in quanto concernente un presupposto per l’applicazione di quell’istituto di diritto penale sostanziale.
Fermo tale principio, che trae la propria giustificazione nell’ottica del favor rei, si osserva, tuttavia, che nella specie lo stesso non esplica e non ha esplicato efficacia alcuna, in quanto volto a valorizzare, in favore dell’imputato condotte, tra quelle indicate nell’art. 133, comma 1, cod.pen., atte a far ritenere l’esiguità del disvalore in base ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado in colpevolezza da esso desumibile, dell’entità del danno o del pericolo (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 18029 del 04/04/2023 Ud. (dep. 02/05/2023) Rv. 284497 – 01 «Ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, acquista rilievo, per effetto della novellazione dell’art. 131-bis cod. pen. ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, anche la condotta dell’imputato successiva alla commissione del reato, che, tuttavia, non potrà, di per sé sola, rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell’ambito del giudizio
complessivo sull’entità dell’offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen.».
Condotte, nella specie, non censite dai giudici del merito, ma neppure allegate dall’imputata odierna ricorrente che non può certo dolersi -con un preteso
inaccettabile ribaltamento di prospettiva- della sottolineatura, da parte della Corte del territorio, della mancanza di condotte positivamente valorizzabili.
3. Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno
2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 13 marzo 2025
Il Presidente