Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35526 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35526 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA a Gioia Tauro; nel procedimento a carico del medesimo: avverso la sentenza del 14/12/2023 della corte di appello di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta del AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza nr. 1814/2023 del 14.12.23, la Corte di Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza nr. 5/2023 del 13/01/2023 del T ribunale di Palmi, applicava in favore di COGNOME NOME il beneficio della sospensione condizionale della pena, non subordinandolo alla previa restituzione delle somme indebitamente percepite e confermava nel resto la sentenza di condanna relativa al delitto, previamente riqualificato, ex art. 7 comma 2 del D.L. n. 4/2019.
Avverso la predetta ordinanza COGNOME NOME, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per Cassazione, sollevando 2 motivi di impugnazione.
Deduce con il primo motivo vizi di violazione di legge e di motivazione rispetto alla ritenuta integrazione del delitto ex art. 7 comma 2 del DL 4/2019. Si osserva che l’omissione comunicativa addebitata all’imputata (afferente il pregiudizio penale “qualificato” del coniuge, preesistente all’ammissione al beneficio) sarebbe estranea al dettato normativo di cui all’art. 7 comma 2 D.L. nr. 4/2019 e ss. modificazioni: l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione de beneficio entro i termini di cui all’articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11 sarebbe una fattispecie tesa a punire l’omessa comunicazione di informazioni afferenti dati emersi successivamente all’ammissione al beneficio, non inclusivi del dato valorizzato dalla Corte.
La dimensione finalistico-patrimoniale del delitto (quale risvolto della duplice veste del bene tutelato: risorse economiche dell’ente ed il fine che con e intende perseguire), nonché la centralità dell’avverbio indebitamente (contemplato solo dalla fattispecie principe ex art. 7 comma 1), quale elemento qualificante il dolo specifico perseguito dall’agente (ovvero ottenere l’ammissione ad un beneficio non dovuto ovvero in misura superiore a quella dovuta), relegherebbero la rilevanza dell’omissione comunicativa ex art. 7 comma 2 D.L. 4/2019 e ss. modificazioni alle sole componenti il cui dovere informativo sia emerso successivamente all’ammissione; ovvero afferenti a successive variazione reddituali o patrimoniali, variazioni occupazionali, avvio di un’attivit di impresa o lavoro autonomo svolta da uno o più componenti del nucleo familiare beneficiante, variazioni patrimoniali comportanti la perdita dei requisit di ammissibilità. Si tratterebbe di profili cui non risulta ascrivibile l’omissi comunicativa in contestazione; sia sotto il profilo temporale (trattandosi di mancata comunicazione circa un dato preesistente all’ammissione al beneficio); sia sotto il profilo qualificativo (in quanto dato esclusivamente storico giudiziario, privo di correlazione rispetto a variazioni reddituali, patrimoniali e occupazionali, relative all’intero nucleo familiare).
Con il secondo motivo, deduce vizi di violazione di legge e di motivazione contestando l’indirizzo di legittimità (cfr. Sez. 3 nr. 37836/2023) volto ad escludere l’operatività anticipata dell’abrogazione della fattispecie penale (la cui efficacia risulta espressamente posticipata al 1.01.2024).
La decisione impugnata sarebbe stata assunta in violazione di legge e con manifesta illogicità della motivazione in quanto l’ “abrogatio legis pro futuro” impone una sua rilevazione anticipata, giusta la valenza prioritaria del principio di retroattività della previsione più favorevole. Inoltre, la previsione transitoria
-ex art. 13 comma 3 D.L. 48/ 2023, convertito con modificazioni ex Legge nr. 85/2023 ove interpretata secondo la permanenza della fattispecie penale anche dopo l’abrogazione della normativa di riferimento, sarebbe in contrasto con il principio costituzionale (cfr. art. 25 Cost.) e sovranazionale (cfr. art. 7 Cedu) della retroattività della norma più favorevole; si aggiunge che l’eventuale riqualificazione ex art. 640 bis c.p. si porrebbe in contrasto con il consolidato insegnamento nomofilattico teso a delinearne il confine con la diversa figura ex art. 316 ter c.p., e determinerebbe un difetto di correlazione tra accusa e sentenza, mentre l’eventuale riqualificazione ex art. 316 ter c.p., comporterebbe il ricorrere della sola fattispecie amministrativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Per ragioni di priorità logico giuridica deve innanzitutto considerarsi l censura, inammissibile, di cui al secondo motivo, riguardante vizi di violazione di legge e di motivazione sollevati contestando l’indirizzo di legittimità (cfr. Sez. nr. 37836/2023) volto ad escludere l’operatività anticipata dell’abrogazione della fattispecie penale (la cui efficacia risulta espressamente posticipata al 1.01.2024). Deve in proposito ribadirsi l’orientamento di questa Suprema Corte secondo il quale l’abrogazione, a far data dall’01/01/2024, del delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio di retroattività della “lex mitior”, altrimenti conseguente ex art. comma secondo, cod. pen., ma tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, non presenta profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdott sostituzione del reddito di cittadinanza. (Sez. 3 – n. 7541 del 24/01/2024 Rv. 285964 – 01). Le ulteriori notazioni appaiono meramente astratte e lontane dalla questione decisa, afferente il reato ex art. 7 comma 2 del DL 4/2019.,
Quanto al primo motivo, va premesso che COGNOME NOME è stata condannata in ordine al reato di cui all’art. 7 D.L. n. 4/2019 perché, nelle autocertificazioni del 9.7.2019 e dell’8.2.2021, volte a ottenere il beneficio del “reddito di cittadinanza” aveva omesso di segnalare che il proprio coniuge
–NOME COGNOME (indicato quale componente del nucleo familiare) era stato condannato in via definitiva alla pena di anni 3 mesi 4 di reclusione per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., ottenendo in tal modo l’importo complessivo d euro 17.541,20, anziché il corretto ammontare di euro 13.017,20, con un ingiusto profitto conseguito pari ad euro 4.524,00., ovvero un beneficio superiore a quanto le sarebbe effettivamente spettato. Il giudice di appello, in tale quadro ha rilevato, venendo in rilievo una omissione che aveva riguardato informazioni rilevanti ai fini della revoca e/o della “riduzione” del beneficio, correttezza della riqualificazione della fattispecie contestata, ai sensi dell’art. comma 2 del DL 4/2019, che il Giudice di prime cure ha effettuato rispetto alla condotta originariamente contestata ai sensi dell’art. 7 commi 1 e 4 del D.L. 4/2019, relativa alle falsità relative ai requisiti di accesso.
Si tratta di una decisione che, al di là delle distinzioni operate dai giudici tra primo e secondo comma dell’art. 7 citato, che si traducono al più in errori di diritto ex art. 619 cod. proc. pen., appare comunque giuridicamente coerente l’art. 7, comma 1, d.l. cit., · I · GLYPH · · prevede: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette ttndirizzo di Corte informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni».
Questa disposizione deve ritenersi riferita non solo ai casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissione di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza, quando questo non spetterebbe in alcuna misura, ma anche ai casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissione di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza per un importo maggiore di quello altrimenti spettante, come nel caso in esame.
Innanzitutto, infatti, beneficio «indebitamente» ottenuto è anche quello di importo maggiore di quello legittimamente spettante.
Inoltre, la soluzione ermeneutica secondo cui beneficio «indebitamente» ottenuto è anche quello di importo maggiore di quello legittimamente spettante è in linea anche con esigenze di coerenza normativa.
Invero, l’art. 7, comma 2, d.l. n. 4 del 2019, sottopone a sanzione penale «’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di all’articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11».
E sembra irrazionale ritenere, anche in chiave di coerenza logica del sistema, che le falsità e le omissioni funzionali ad ottenere un importo maggiore di quello spettante siano penalmente indifferenti, mentre le omesse comunicazioni di
informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio anche quando non attinenti a variazioni reddituali o patrimoniali, siano assoggettate a sanzione penale (cfr. in motivazione Sez. 3 – , n. 5440 del 13/01/2023 Rv. 284137 – 01).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso, il 15.7.2024.