Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28012 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28012 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NAPOLI NOME NOME a MEZZOJUSO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/09/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il P.G. conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso riportandosi alla memoria depositata.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di PALERMO in difesa di NAPOLI NOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 13 settembre 2023 con la quale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo resa il 15 novembre 2022, è stato condanNOME alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 6.866,00 di multa, in ordine al reato di cui all’art. 31 legge 13 settembre 1982, n. 646, perché, quale soggetto condanNOME in ordine al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. con sentenza divenuta definitiva il 30 settembre 2009 e quale destinatario di una misura di prevenzione personale, tra il 31 gennaio 2018 e il 31 gennaio 2019, aveva omesso di comunicare al nucleo di Polizia tributaria di Palermo le seguenti variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio: finanziamenti pubblici di euro 17.324,94 percepiti nel 2017 in conseguenza delle domande uniche di pagamento relative agli anni di campagna 2015 e 2016 e finanziamenti pubblici di euro 19.202,71 percepiti nel 2018 in conseguenza delle domande uniche di pagamento relative agli anni di campagna 2017 e 2018.
2. Il ricorrente articola quattro motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 42, secondo comma, 43, primo comma, cod. pen., 30, 31 legge n. 646 del 1982, e vizio dm motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che l’imputato non era consapevole di dover adempiere a un obbligo informativo nei confronti dello Stato.
In particolare, nel ricorso si evidenzia che l’imputato, anche se condanNOME per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. per fatti commessi fino al 6 novembre 1998, in altro procedimento, era stato assolto in ordine ai medesimi fatti contestati come commessi dopo novembre 1998 e fino al 15 novembre 2006, elemento che lo aveva indotto a ritenere di non dover adempiere ad alcun obbligo informativo, anche considerando che la misura di prevenzione era stata a lui applicata solo per i fatti commessi fino a novembre 1998.
Nel ricorso, poi, si evidenzia che COGNOME non aveva mai ricevuto alcuna notizia in ordine all’esistenza di un obbligo informativo nei confronti dello Stato.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 30 e 31 legge n. 646 del 1982, perché la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che, dalla lettura del capo di imputazione, non era possibile quantificare con facilità gli importi percepiti da COGNOME per ogni singolo anno.
Dal punto di vista oggettivo, quindi, non era possibile accertare la sussistenza del reato in esame, anche considerando che gli importi di cui al capo di imputazione erano prossimi alla soglia stabilita dal legislatore e che tali somme non erano state mai aggiornate al deprezzamento della moneta.
Dalla lettura del decreto di sequestro, infatti, si evinceva che i singoli importi percepiti, divisi per annualità, fossero inferiori al limite previsto dalla fattisp penale.
2.3. Con il terzo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 30, 31 legge n. 646 del 1982, art. 5 cod. pen. e art. 27, primo e terzo comma, Cost., perché la Corte di appello, sotto il profilo dell’elemento s000ettivo del reato, si sarebbe limitata a rilevare la mera conoscibilità astratta della norma penale, senza accertare in concreto se vi fosse stata buona fede da parte del destinatario dell’obbligo informativo.
Sul punto, si evidenzia che la giurisprudenza di legittimità e della Corte costituzionale, con riferimento al reato in esame, ha attribuito al Giudice di merito il compito di allineare il fatto accertato al canone dell’offensività in concreto della condotta, accertando se l’omessa comunicazione risulti essere assolutamente inidonea, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, a porre in pericolo il bene giuridico tutelato.
2.4. Con il quarto motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 30, 31 legge n. 646 del 1982, art. 5 cod. pen. e 27, primo e terzo comma, Cost., perché la Corte di appello avrebbe interpretato le norme incriminatrici sopra indicate in violazione dei citati articoli della Costituzione, avendo di fatto elimiNOME il requis dell’elemento soggettivo dalla struttura del reato.
Sul punto, il ricorrente chiede alla Corte di cassazione di sollevare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31 legge n. 646 del 1982 per violazione dell’art. 27, primo e terzo comma, Cost.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Giova in diritto premettere che l’art. 30 legge n. 646 del 1982 prevede che le persone condannate con sentenza definitiva per delitti di criminalità organizzata (art. 51, comma 3 -bis, cod. proc. pen.) o per trasferimento fraudolento di valori (art. 12 -quinquies, comma 1, d.l. 8 giugno 1992, n. 306,
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convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 1992, n. 356), ovvero sottoposte, con provvedimento definitivo, a misura di prevenzione personale ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, debbano comunicare al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale tutte le variazion nell’entità e nella composizione del loro patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14.
La comunicazione va effettuata entro trenta giorni dal fatto, ovvero entro il 31 gennaio di ciascun anno per le variazioni dell’anno precedente che, sommate, risultino di valore non inferiore a detto importo (ciò, onde evitare elusioni del precetto tramite l’artificioso frazionamento delle operazioni); questo obbligo dura dieci anni.
Il successivo art. 31 punisce l’omissione della comunicazione con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 10.329 a 20.658 euro, stabilendo, altresì, che alla condanna segue la confisca obbligatoria (anche “per equivalente”) dei beni acquistati e anche del corrispettivo dell’alienazione.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha evidenziato che, per il perfezionamento del reato in esame, non fosse necessario che il reo avesse agito allo specifico scopo di occultare alla polizia tributaria le informazioni oggett dell’obbligo di comunicazione, trattandosi di omissioni punibili a tiolo di dolo generico.
L’elemento soggettivo del delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali da parte dei condannati per reati di criminalità organizzata, infatti, integrato dal dolo generico e non è pertanto necessario che l’autore abbia agito allo specifico scopo di occultare alla polizia tributaria le informazioni cui l’obbli normativamente imposto si riferisce (Sez. 5, n. 38098 del 29/05/2015, Clemente, Rv. 264998).
La Corte di appello, poi, ha evidenziato che l’imputato, nel corso delle spontanee dichiarazioni rese dinanzi al giudice di primo grado, si era limitato a rilevare il fatto che lo stesso non avesse mai saputo dell’esistenza dell’obbligo informativo, ma non anche che avesse trovato difficoltà nel calcolare gli importi percepiti per ogni singolo anno, come lamentato nell’atto di appello e nel ricorso per cassazione.
Su tale punto, nel ricorso non ci si confronta con la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha evidenziato che, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, il motivo di impugnazione relativo all’errore di calcolo secondo il quale l’imputato non aveva adempiuto all’obbligo informativo perché aveva riscontrato difficoltà nel calcolare esattamente gli importi percepiti nei vari anni di riferimento – doveva ritenersi superato da fatto che lo stesso imputato
aveva affermato al Tribunale di non aver adempiuto all’obbligo informativo solo perché non aveva avuto contezza della sussistenza di tale obbligo.
La Corte territoriale, pertanto, fornendo sul punto una motivazione ineccepibile, preso atto della violazione dell’obbligo informativo da parte dell’imputato e della sussistenza in capo allo stesso del dolo generico, ha ritenuto perfezionati l’elemento oggettivo e soggettivo del reato in esame.
D’altronde, avrebbe potuto ritenersi sussistente il difetto di dolo, in capo all’imputato, nel caso in cui fosse stato dimostrato che lo stesso era stato a conoscenza degli obblighi su di lui incombenti, ma non li aveva osservati, ad esempio, per mera negligenza e, quindi, per colpa.
L’assunto dell’imputato, invece, è che in lui non vi fosse consapevolezza di violare la norma, adducendo ignoranza del precetto.
L’ignoranza del precetto, però, può assumere rilevanza nel nostro ordinamento solo come ignoranza della legge extrapenale (nell’ottica delineata dall’ad 47, terzo comma, cod. pen.) o come ignoranza inevitabile della norma penale (ai sensi dell’ad 5 cod. pen.).
La prima ipotesi esula sicuramente dal caso di specie: in ordine all’art. 47, terzo comma, cod. pen., infatti, è possibile distinguere norme extrapenali integratrici del precetto che, essendo in esso incorporate, sono da considerarsi legge penale (per cui l’errore su di esse non può ricoprire alcuna rilevanza in forza dell’ad 5 cod. pen.) e norme extrapenali non integratrici del precetto, ossia disposizioni destinate in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamate, neppure implicitamente, dalla norma penale; l’errore che cade su di esse esclude il dolo, generando – quindi – un errore sul fatto.
Anche a voler qualificare l’art. 30 legge n. 646 del 1982 come norma extrapenale, appare difficile sostenere che essa non integri il precetto di cui all’ari 31 legge cit., che non solo la richiama espressamente, ma si configura come una norma esclusivamente sanzioNOMEria della violazione del precetto di cui al precedente articolo, tanto da poter affermare che la fattispecie incriminatrice risulta dal combiNOME disposto delle due norme: l’ignoranza circa l’obbligo di comunicazione alla polizia tributaria delle variazioni patrimoniali da parte del condanNOME per reati di criminalità organizzata, quindi, non esclude il dolo del reato, atteso che l’art. 30 legge n. 646 del 1982, che impone tale obbligo, è la norma integratrice del precetto penale, ancorché la sanzione per la sua violazione sia contenuta nel successivo art. 31 della stessa legge (Sez. 6, n. 33590 del 15/06/2012, Picone, Rv. 253200).
L’ignoranza del disposto dell’ad 30 legge cit., pertanto, si traduce in ignoranza di legge penale, che non può escludere l’elemento soggettivo ai sensi dall’art. 5 cod. pen.
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In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/04/2024