Oltraggio a Pubblico Ufficiale: Quando la Presenza di Altri Detenuti Integra il Reato
L’oltraggio a pubblico ufficiale è un reato che tutela il prestigio e l’onore della pubblica amministrazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento su uno degli elementi costitutivi di questo delitto: la presenza di più persone. La Corte ha stabilito che anche altri detenuti, se percepiscono le offese rivolte al personale di polizia penitenziaria, soddisfano tale requisito. Analizziamo insieme la vicenda.
I Fatti del Caso
Un detenuto veniva condannato per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale per aver rivolto offese a membri della polizia penitenziaria durante lo svolgimento delle loro funzioni. L’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, sostenendo che mancasse un elemento fondamentale per la configurazione del reato: la presenza di “più persone” al momento del fatto. A suo dire, non vi erano terzi che avessero assistito alla scena.
La Decisione della Corte di Cassazione e il requisito dell’oltraggio a pubblico ufficiale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno evidenziato come l’argomento sollevato dal ricorrente fosse una semplice riproduzione di una censura già avanzata e correttamente respinta dalla Corte di Appello. Quest’ultima, infatti, aveva già accertato, sulla base degli atti processuali, che le offese erano state chiaramente percepite da altri detenuti presenti, i quali erano stati persino disturbati dall’accaduto. Di conseguenza, il requisito della presenza di più persone era da considerarsi pienamente soddisfatto.
L’Importanza della “Presenza di Più Persone”
L’elemento della presenza di più persone (almeno due) è cruciale nel reato di oltraggio a pubblico ufficiale, poiché la norma non tutela solo l’onore del singolo funzionario, ma soprattutto il prestigio e la dignità dell’istituzione che egli rappresenta. La percezione dell’offesa da parte di terzi amplifica la lesione, rendendola pubblica e minando l’autorevolezza della funzione pubblica. La Corte, con questa ordinanza, ribadisce che la qualità dei presenti è irrilevante: che si tratti di cittadini, colleghi o, come in questo caso, altri detenuti, ciò che conta è che l’offesa sia stata udita da altri, ledendo così il bene giuridico protetto dalla norma.
Le Motivazioni
La motivazione della Cassazione si fonda su un principio di economia processuale e di rispetto dei gradi di giudizio. Il ricorso per Cassazione non può essere una terza istanza di merito, ma serve a controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. Nel caso di specie, la Corte di Appello aveva già fornito una motivazione logica e coerente, basata su dati processuali concreti, per confutare la tesi difensiva. Riproporre la stessa identica questione senza nuovi e validi argomenti giuridici rende il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. La Corte ha ritenuto la censura “riproduttiva di identica censura adeguatamente confutata”, chiudendo così la porta a un riesame dei fatti.
Le Conclusioni
Questa pronuncia consolida un principio importante: per integrare il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, è sufficiente che le espressioni offensive siano percepite da almeno due persone oltre all’offeso e all’autore del fatto, indipendentemente dal loro status. La decisione sottolinea come la lesione al prestigio della pubblica amministrazione si concretizzi proprio attraverso la diffusione dell’offesa a un pubblico, per quanto ristretto. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma alla Cassa delle ammende funge da monito sull’inammissibilità di ricorsi meramente dilatori o ripetitivi.
Per configurare il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, chi può essere considerato tra le “più persone presenti”?
Secondo la decisione, anche altri detenuti che percepiscono le offese rivolte agli agenti di polizia penitenziaria possono essere considerati “più persone presenti”, integrando così un elemento essenziale del reato.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo presentato era una semplice riproposizione di una censura già adeguatamente esaminata e respinta dalla Corte di Appello.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44609 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44609 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ALGHERO il 20/03/1967
avverso la sentenza del 31/10/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminato il ricorso di Monaco Mauro
OSSERVA
Ritenuto che il motivo con cui si censura la assenza del requisito delle più persone presenti alle offese rivolte al personale di polizia penitenziaria, ai fini della integrazione del deli all’art. 341-bis cod. pen., è riproduttivo di identica censura adeguatamente confutata tenut conto che la Corte di appello ha precisato, con pertinente riferimento ai dati processuali disposizione, come le offese rivolte ai pubblici ufficiali fossero state percepite anche dagli detenuti che venivano, nell’occasione disturbati;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 11/10/2024.