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Oltraggio a pubblico ufficiale: chi sono i testimoni?

Un individuo era stato assolto in appello dal reato di oltraggio a pubblico ufficiale per aver offeso un agente di polizia penitenziaria, poiché i testimoni erano due infermiere ritenute non estranee alla pubblica amministrazione. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che per la configurazione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale è sufficiente la presenza di altri pubblici ufficiali, a condizione che svolgano funzioni diverse da quelle della persona offesa. La Corte ha precisato che le infermiere del Servizio Sanitario Nazionale, operanti in un carcere, sono da considerarsi ‘terze’ rispetto alle funzioni della polizia penitenziaria, rendendo così integrato il requisito della presenza di più persone.

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Pubblicato il 16 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Oltraggio a Pubblico Ufficiale: la presenza di altri funzionari è sufficiente?

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 211/2024 offre un chiarimento cruciale sul reato di oltraggio a pubblico ufficiale, specificando quali persone possono essere considerate testimoni validi ai fini della configurazione del delitto. La Corte ha stabilito che la presenza di altri pubblici ufficiali, purché non coinvolti nello stesso atto d’ufficio, è sufficiente a integrare il requisito della pluralità di persone richiesto dalla legge. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un episodio avvenuto all’interno dell’ambulatorio di un istituto penitenziario. Un detenuto aveva rivolto frasi offensive a un agente di Polizia Penitenziaria. All’evento avevano assistito due infermiere in servizio presso l’infermeria.
In primo grado, il detenuto era stato condannato per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale. Tuttavia, la Corte di Appello di Bologna aveva ribaltato la decisione, assolvendo l’imputato con la formula “perché il fatto non sussiste”. La motivazione dei giudici d’appello si basava sull’idea che la condotta offensiva non si fosse realizzata “alla presenza di più persone”, come richiesto dall’art. 341-bis del codice penale. Secondo la Corte d’Appello, le due infermiere non potevano essere considerate persone “estranee alla pubblica amministrazione” e, pertanto, la loro presenza non era idonea a configurare il reato.

L’Oltraggio a Pubblico Ufficiale e la questione dei presenti

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello ha presentato ricorso per cassazione contro la sentenza di assoluzione, sostenendo una violazione di legge. Il punto centrale del ricorso era la qualifica delle infermiere. Esse, infatti, non appartengono all’amministrazione penitenziaria, ma al Servizio Sanitario Nazionale, le cui competenze in ambito penitenziario sono state trasferite per legge. Svolgevano, quindi, funzioni pubbliche del tutto diverse da quelle di ordine e sicurezza proprie dell’agente di polizia offeso.
La questione giuridica, quindi, verteva sull’interpretazione del requisito “in presenza di più persone”: è necessario che i presenti siano semplici cittadini (civili) o anche la presenza di altri pubblici ufficiali è sufficiente a far scattare il reato?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Procuratore Generale, annullando la sentenza di assoluzione e rinviando il caso per un nuovo giudizio. Il ragionamento della Corte si fonda su argomenti logici e testuali.

In primo luogo, i giudici hanno sottolineato l’erroneità della decisione d’appello. Le infermiere erano effettivamente estranee all’Amministrazione Penitenziaria, essendo dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale. Svolgevano un servizio pubblico sanitario, distinto dal compito istituzionale dell’agente di polizia, che è quello di garantire l’ordine all’interno dell’istituto.

In secondo luogo, e in modo ancora più dirimente, la Cassazione ha superato un precedente orientamento più restrittivo, affermando un principio di diritto più ampio. Il bene giuridico tutelato dalla norma sull’oltraggio a pubblico ufficiale è il prestigio e l’onore della Pubblica Amministrazione nel suo complesso. Questo prestigio viene leso quando l’offesa viene percepita da terzi, indipendentemente dal fatto che questi siano cittadini privati o altri funzionari pubblici.

La Corte ha specificato che altri pubblici ufficiali, non direttamente coinvolti nell’atto specifico compiuto dalla persona offesa, assumono il ruolo di “soggetti terzi”. La loro presenza è sufficiente a ritenere configurabile il reato, poiché l’offesa, percepita da loro, è idonea a compromettere l’autorevolezza e la considerazione sociale della funzione pubblica.

Infine, la Corte ha evidenziato come il testo dell’art. 341-bis cod. pen. parli genericamente di “presenza di più persone”, senza introdurre alcuna distinzione sulla loro qualifica soggettiva. Introdurre un elemento non previsto dalla legge, come la necessaria qualità di “civile” dei presenti, costituirebbe un’interpretazione non consentita.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione stabilisce un principio chiaro: il reato di oltraggio a pubblico ufficiale è integrato anche quando l’offesa avviene alla sola presenza di altri pubblici ufficiali. La condizione è che tali funzionari stiano svolgendo compiti e funzioni diverse da quelle della persona offesa e non siano, quindi, direttamente coinvolti nel medesimo atto d’ufficio. Questa decisione rafforza la tutela del prestigio della Pubblica Amministrazione, riconoscendo che la sua autorevolezza può essere minata anche agli occhi di chi ne fa parte, seppur in settori e con mansioni differenti.

Per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, i testimoni devono essere necessariamente cittadini privati?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il requisito della “presenza di più persone” è soddisfatto anche se i presenti sono altri pubblici ufficiali.

Quando la presenza di altri pubblici ufficiali è sufficiente per configurare il reato di oltraggio?
È sufficiente quando questi pubblici ufficiali, pur appartenendo alla stessa o a un’altra pubblica amministrazione, non sono direttamente coinvolti nel compimento del medesimo atto d’ufficio della persona offesa e svolgono funzioni diverse.

Perché la Corte ha ritenuto che le due infermiere presenti nel carcere fossero testimoni validi ai fini del reato?
Perché le infermiere, pur lavorando nel penitenziario, appartengono al Servizio Sanitario Nazionale, un’amministrazione diversa da quella penitenziaria, e stavano svolgendo funzioni sanitarie del tutto distinte da quelle di ordine e sicurezza proprie dell’agente di polizia offeso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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