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Offesa a personale penitenziario: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che un’offesa a personale penitenziario non costituisce illecito disciplinare se avviene in un contesto privato e intimo, come un colloquio con un familiare, e si qualifica come mero sfogo personale. Nel caso esaminato, un detenuto aveva usato epiteti offensivi verso il direttore e il comandante della polizia penitenziaria. La Corte ha confermato la decisione del Tribunale di Sorveglianza di annullare la sanzione, poiché la condotta non aveva minato l’autorità né creato disordine, rimanendo confinata alla sfera privata del colloquio.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Offesa a personale penitenziario in colloquio privato: quando non è illecito disciplinare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7323 del 2024, ha affrontato un’interessante questione riguardante i limiti della rilevanza disciplinare di un’offesa a personale penitenziario. Il caso specifico riguardava un detenuto sanzionato per aver usato espressioni offensive nei confronti di figure apicali dell’istituto durante un colloquio privato con un familiare. La Suprema Corte ha confermato l’annullamento della sanzione, stabilendo che un mero sfogo personale, confinato in un contesto di intimità, non integra necessariamente un illecito disciplinare.

I Fatti del Caso: uno sfogo durante un colloquio

Un detenuto, nel corso di un colloquio in istituto con un familiare, sottoposto a videoregistrazione, si era lamentato del comandante di polizia penitenziaria e del direttore, utilizzando epiteti offensivi nei loro confronti. A seguito di ciò, l’amministrazione penitenziaria gli aveva inflitto la sanzione disciplinare dell’esclusione temporanea dalle attività comuni.

Contro tale sanzione, il detenuto aveva proposto reclamo al Magistrato di Sorveglianza e, successivamente, al Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo, riformando la precedente decisione, accoglieva il reclamo e annullava la sanzione.

La decisione del Tribunale di Sorveglianza

Il Tribunale di Sorveglianza aveva motivato la sua decisione sostenendo che gli epiteti offensivi erano stati pronunciati in un contesto di intimità familiare. Pertanto, andavano interpretati come l’espressione di un mero sfogo di carattere privato. Secondo i giudici, tali parole non erano dirette a minare l’autorità dei destinatari, né avevano concretamente creato disordini o situazioni di pericolo all’interno dell’istituto. Di conseguenza, la condotta era stata ritenuta priva di valenza disciplinare.

L’Offesa a Personale Penitenziario e il Ricorso del Ministero

Il Ministero della Giustizia, non condividendo la decisione del Tribunale, ha presentato ricorso per cassazione. Il motivo del ricorso si fondava sulla presunta violazione dell’art. 77, comma 1, n. 15 del D.P.R. n. 230/2000 (Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario). Tale norma sanziona l'”atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari o di altre persone che accedono nell’istituto per ragioni del loro ufficio o per visita”.

Secondo il Ministero, la condotta del detenuto integrava pienamente tale illecito e la motivazione del Tribunale era illogica, in quanto, di fronte a un fatto disciplinarmente rilevante, avrebbe dovuto al massimo rimodulare la sanzione, non annullarla del tutto.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Ministero, ritenendo infondata la censura. I giudici supremi hanno innanzitutto ricordato che la fattispecie disciplinare in questione ricalca il modello legale dell’ingiuria, che oggi non è più reato. Il punto cruciale, secondo la Corte, non è la mera pronuncia di parole offensive, ma il contesto e l’effetto che queste producono.

La Corte ha sottolineato che il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente valutato le circostanze concrete. Le frasi offensive, pur essendo state pronunciate, erano rimaste confinate nella sfera di privatezza del colloquio familiare. Non vi era prova che fossero state dirette a ledere l’autorità o il prestigio del personale, né che avessero causato turbamento dell’ordine o pericolo per la sicurezza dell’istituto. Trattandosi di un semplice sfogo, la condotta è stata considerata priva di quella offensività concreta necessaria per giustificare una sanzione disciplinare.

Conclusioni: i limiti del potere disciplinare

La sentenza in commento traccia un confine importante tra ciò che costituisce un comportamento disciplinarmente rilevante e ciò che rientra in una sfera privata, seppur all’interno di un istituto di pena. Un’offesa a personale penitenziario, per essere sanzionabile, deve avere una portata che va oltre il mero sfogo personale e deve essere idonea a ledere concretamente i beni tutelati dalla norma, quali l’ordine, la sicurezza e l’autorità del personale. La decisione ribadisce il principio di proporzionalità e la necessità di una valutazione contestualizzata dei fatti, anche nell’ambito del diritto penitenziario.

Insultare un agente di polizia penitenziaria durante un colloquio privato con un familiare è sempre un illecito disciplinare?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se le espressioni offensive sono un mero sfogo di carattere privato, pronunciate in un contesto di intimità familiare e non sono dirette a minare l’autorità del personale o a creare disordini, non costituiscono un illecito disciplinare.

Qual è la norma di riferimento per l’offesa a personale penitenziario?
La norma è l’art. 77, comma 1, n. 15, del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, che sanziona l'”atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari o di altre persone che accedono nell’istituto per ragioni del loro ufficio o per visita”.

Perché la Corte ha ritenuto la condotta priva di valenza disciplinare?
La Corte ha ritenuto che gli epiteti offensivi, sebbene pronunciati, non avessero superato la sfera della privatezza del colloquio familiare. Non avendo turbato l’ordine, creato pericolo o minato l’autorità dei destinatari, la condotta è stata considerata un semplice sfogo personale, privo della rilevanza necessaria per integrare un illecito disciplinare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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