Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11469 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11469 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Grottaminarda il 10/9/1962
avverso la sentenza del 11/4/2024 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’Il aprile 2024 la Corte d’appello di Napoli, provvedendo sulla impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 19 marzo 2019 del Tribunale di Benevento, con la quale lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 (ascrittogli per avere, quale legal rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, occultato le scritture contabili e la documentazione fiscale necessaria alla ricostruzione dei redditi e del volume di affari; accertato il 9 marzo 2015; capo B della rubrica), ha riconosciuto all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a quattro motivi.
2.1. In primo luogo, ha lamentato la mancata declaratoria di estinzione del reato ascrittogli per prescrizione, con conseguente violazione degli artt. 161 cod. pen. e 129 cod. proc. pen., in quanto l’imputazione di cui al capo b) indicava quale data di accertamento del reato, e quindi di consumazione, il 9 marzo 2015 e il 1 aprile 2015, ma il Maresciallo COGNOME della Guardia di Finanza aveva riferito che già il 22 marzo 2013 era stato eseguito l’accertamento, nel corso del quale l’imputato aveva rappresentato che 1’11 aprile 2013 avrebbe consegnato i documenti richiesti e di cui alla imputazione, omettendo, poi, di provvedervi, cosicché la data di consumazione del reato doveva essere individuata in quella dell’il aprile 2013 entro la quale l’imputato aveva promesso di consegnare la documentazione non rinvenuta, con il conseguente decorso del termine massimo di prescrizione.
2.2. In secondo luogo, ha lamentato l’errata applicazione dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 e un vizio della motivazione, con riferimento alla mancata considerazione di quanto esposto nel processo verbale di constatazione a proposito della omessa istituzione da parte della RAGIONE_SOCIALE amministrata dal ricorrente delle scritture contabili obbligatorie per gli anni d’imposta 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013, con la conseguente impossibilità di configurare la condotta di occultamento ascritta al ricorrente, che presuppone, per la sua realizzazione, l’istituzione della documentazione, versandosi altrimenti nell’ipotesi di cui all’art 9, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997, sanzionata come illecito amministrativo.
2.3. Con un terzo motivo ha lamentato la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione nella parte relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di specifico motivo d’appello, mediante il quale erano state sottolineate l’inoffensività della condotta, l’assoluzione dagli altri reat
contestati, il tempus commissi delictí (assai risalente) e la personalità dell’imputato, argomenti che però erano stati disattesi dalla Corte d’appello senza adeguata motivazione.
2.4. Infine, con un quarto motivo, ha lamentato una ulteriore violazione dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, nel testo anteriore al d.lgs. n. 158 del 2015, e un vizio della motivazione, con riferimento alla pena applicata, che doveva essere quella prevista anteriormente al d.lgs. n. 158 del 2015, entrato in vigore il 22 ottobre 2015, ossia da sei mesi a cinque anni di reclusione, mentre la Corte d’appello aveva ritenuto congrua la pena stabilita dal primo giudice in considerazione del contesto complessivo nell’ambito del quale la condotta era stata realizzata, omettendo di considerare, o comunque valutandolo in modo illogico, che l’imputato era stato assolto dalle altre contestazioni che gli erano state mosse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro pressoché riproduttivo del secondo e del terzo motivo di appello senza apprezzabili elementi di novità critica, è inammissibile.
Il primo motivo, mediante il quale è stata eccepita la violazione di disposizioni di legge penale e processuale, a causa dell’omesso rilievo da parte della Corte d’appello della intervenuta estinzione del reato di occultamento della documentazione contabile di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 a causa del decorso del relativo termine massimo, è inammissibile, sia perché tende a sovvertire un accertamento di fatto, circa il momento consunnativo del reato, non già in forza di una diversa interpretazione delle disposizioni di legge penale denunciate, bensì sulla base di una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, in ordine al momento di cessazione della permanenza della condotta di occultamento, rilettura che non è consentita nel giudizio di legittimità, nel quale è esclusa, per giurisprudenza consolidata, la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716); sia perché la cessazione della permanenza della condotta di occultamento della documentazione contabile di cui è obbligatoria la conservazione non si verifica alla scadenza del
termine unilateralmente indicato dal soggetto sottoposto alla verifica fiscale (ossia l’imputato) per consegnare spontaneamente la documentazione non rinvenuta, bensì nel momento in cui tale occultamento divenga definitivo e non eliminabile da parte degli organi dell’accertamento tributario, indipendentemente dalle condotte collaborative dell’indagato, ossia con la conclusione dell’accertamento fiscale: risulta, pertanto, corretta, oltre che non sindacabile in questa sede di legittimità, l’individuazione della consumazione del reato, ossia del momento di cessazione della permanenza, in corrispondenza con la conclusione dell’accertamento fiscale, perché l’obbligo di esibizione dei documenti perdura finché prosegue il controllo da parte degli organi verificatori, con la conseguenza che il momento consumativo del reato deve individuarsi nella conclusione e non nell’inizio di detto accertamento, ed è quindi in tale momento che l’occultamento può dirsi definitivamente accertato, indipendentemente dalla verificazione o meno delle condotte collaborative promesse dal soggetto sottoposto alla verifica (cfr., nel medesimo senso, Sez. 3, n. 40317 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282340 – 01; nonché, già in precedenza, Sez. 3, n. 4871 del 17/01/2006, Festa, Rv. 234053 01).
3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata denunciata l’errata applicazione dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, a causa della errata o, comunque, insufficiente considerazione di quanto accertato nel corso della verifica fiscale, a proposito della mancata istituzione della documentazione contabile di cui è stato contestato al ricorrente l’occultamento, con la conseguente erroneità della affermazione della configurabilità del reato, che presuppone l’istituzione della documentazione, è manifestamente infondato, in quanto a seguito dell’accertamento fiscale sono emerse sia la mancanza del registro dei corrispettivi, che era stato istituito, come riportato anche nel ricorso, sia la produzione frammentaria e lacunosa delle fatture attive e passive (alcune risultate anche false), che ha impedito la pronta ricostruzione dei ricavi e dei redditi della società sottoposta alla verifica, con l conseguente configurabilità del delitto di occultamento delle scritture contabili, che, per giurisprudenza consolidata, ricorre anche nel caso di occultamento (o distruzione) solo di alcune o di parte delle scritture contabili, a condizione, nella specie verificatasi, che tale condotta impedisca, o renda più difficile, il suddetto accertamento di ricavi e redditi e la determinazione delle imposte eventualmente dovute, posto che anche in tema di occultamento “parziale” di scritture contabili, deve sussistere non l’assoluta impossibilità ma un elevato grado di difficoltà di ricostruire il reale volume degli affari o dei redditi, avuto riguardo esclusivamente alla situazione interna dell’azienda, né il reato è escluso dalla circostanza che alla determinazione dei redditi si sia potuti addivenire aliunde (Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, COGNOME, Rv. 274862 – 02; Sez. 3, n. 13212 del 06/12/2016, dep. 2017,
COGNOME, Rv. 269258 – 01; Sez. 3, n. 36624 del 18/07/2012, Pratesi, Rv. 253365 – 01; Sez. 3, n. 39711 del 04/06/2009, COGNOME, Rv. 244619 – 01; Sez. 3, n. 5791 del 18/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238989 – 01).
Il terzo motivo, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che sarebbe privo di adeguata giustificazione, è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, attraverso la sottolineatura della gravità del fatto e della negativa personalità dell’imputato, ha dato conto, sia pure implicitamente, degli elementi, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., ritenuti di rilevanza decisiva ai f della connotazione negativa della personalità dell’imputato.
La ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen. non impone, infatti, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base alla gravità del fatto o ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell’imputato (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826 – 01; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201 – 01; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, COGNOME, Rv. 227142 – 01).
L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato. Essa, inoltre, può, come nel caso di specie, essere contenuta, implicitamente, nel giudizio di gravità del fatto e nella valutazione negativa della personalità dell’imputato, essendo compresa in tale giudizio l’indicazione delle ragioni ritenute preponderanti per escludere la riconoscibilità di dette attenuanti.
Analogo ordine di considerazioni può essere svolto a proposito del quarto motivo, relativo alla misura della pena, non risultando alcuna illegalità o erronea determinazione della pena principale, stabilita all’interno della cornice edittale applicabile all’epoca di consumazione del reato, secondo cui il delitto di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 era punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni, in
misura inferiore alla media edittale, come tale non richiedente specifica o analitica motivazione (così Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869 – 01, in motivazione), con la conseguente sufficienza della affermazione della congruità di detta pena tenendo conto dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., affermazione che è stata censurata dal ricorrente sul piano delle valutazioni di merito e, in particolare, di congruità di tale sanzione, dunque in modo non consentito nel giudizio di legittimità, nel quale è inammissibile la censura che miri a una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME Rv. 273819 – 01, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142 01; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825 – 01; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.).
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 7/3/2025