Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26394 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26394 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Isola del Liri il 19/05/1974
avverso la sentenza emessa il 15/10/2024 dalla Corte d’Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15/10/2024, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Cassino, in data 08/09/2023, con la quale REA NOME era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al delitto di cui all’ar 10 d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (il Tribunale aveva invece assolto il REA dalla ulteriore imputazione di omessa dichiarazione).
Ricorre per cassazione il REA, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento. Si censura l’erronea affermazione della responsabilità del ricorrente basata sul fatto che egli, al momento della emissione delle fatture contestate, era l’amministratore della società ed il custode delle scritture. Si evidenzia, al riguardo, che il REA aveva sempre dichiarato di essere stato in carica per l’esercizio 2016/2017, mentre il custode delle scritture era da individuare in altro soggetto, indicato in COGNOME NOME, mai escusso nel corso del dibattimento, il quale era anche l’amministratore della società nel periodo di emissione delle fatture: il REA non era quindi in possesso delle scritture, consegnate al COGNOME. Nel lamentare la mancata escussione di quest’ultimo, la difesa evidenzia che spettava all’accusa la prova della volontà di sottrarsi alla presentazione della documentazione obbligatoria.
2.2. Vizio di motivazione con riferimento alla conferma della condanna. Si censura la genericità della motivazione, che si era limitata a richiamare le “risultanze processuali” per dimostrare la sussistenza dell’elemento psicologico. E ciò nonostante la presenza, in atti, di un passaggio di consegne della documentazione ad un soggetto presentatosi come COGNOME NOME, mentre “solo in sede processuale il REA aveva contezza che il soggetto cui aveva fornito la documentazione fiscale e che gli era succeduto come amministratore, non era il reale COGNOME NOME, cui invece altri soggetti avevano rubato l’identità” (cfr. l’ultima pagina del ricorso).
‘ 2.3. Vizio di motivazione con riferimento all’entità della pena inflitta e al mancata concessione delle attenuanti generiche.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, attesa la manifesta infondatezza delle censure prospettate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, per la genericità e comunque la manifesta infondatezza delle censure prospettate, che possono qui di seguito essere trattate congiuntamente.
Deve invero osservarsi che la plausibilità della ricostruzione difensiva secondo cui il REA non era più titolare della carica amministrativa al momento della verifica fiscale, essendo stato sostituito da COGNOME NOME, al quale aveva consegnato tutta la documentazione della RAGIONE_SOCIALE – è stata radicalmente smentita dalla Corte territoriale, sulla scorta di una pluralità di elementi.
Si allude in particolare (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata): alla convocazione del REA nella qualità di amministratore della società, iniziata in una
data successiva alle affermate dimissioni; alla conferma di tale qualifica sulla scorta dell’estratto del Registro delle Imprese, allegato alla verifica della G.d.F. alla mancanza di qualsiasi attestazione di autenticità del verbale che attesterebbe le dimissioni del REA ed il subentro del COGNOME (verbale del resto mai iscritto nel Registro delle Imprese); alla singolarità del fatto che il verbale di consegna della documentazione, pur allegato al verbale di assemblea della RAGIONE_SOCIALE, era in realtà riferito ad altra società (RAGIONE_SOCIALE) pure amministrata dal REA; alla mancanza di qualsiasi positivo riscontro alla tesi difensiva, posto che la documentazione non era stata reperita presso il COGNOME, e che quest’ultimo non era stato citato dal REA a deporre.
In definitiva, la Corte d’Appello – lungi dal limitarsi ad un generico richiamo alle risultanze processuali, come sostenuto dalla difesa ricorrente – ha basato su una serie di convergenti risultanze la propria valutazione di falsità dei verbali d dimissioni e di consegna offerti dal REA a sostegno della propria ricostruzione, e di conseguente piena configurabilità del reato contestato anche sotto il profilo del necessario dolo specifico, proprio avuto riguardo alla condotta nel suo complesso (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
Si tratta di una ricostruzione in sé immune da profili di illogicità contraddittorietà, che è rimasta del tutto priva di una effettiva ed idonea confutazione da parte della difesa ricorrente, che si è limitata a riproporre la tesi della sostanziale estraneità del REA, e della necessità di approfondire le responsabilità del COGNOME, senza peraltro minimamente confrontarsi con le specifiche, gravi anomalie evidenziate dalla Corte d’Appello, anche quanto alla mancata indicazione di tale soggetto tra le richieste di prova dichiarativa.
Va anzi sottolineato che, nell’atto di appello, la difesa aveva addirittura evitato di indicare il nominativo del preteso cessionario delle scritture, facendo riferimento ad un “altro soggetto” non meglio specificato. Altrettanto immotivata, e per altri versi alquanto sorprendente, risulta l’ulteriore affermazione, contenuta nell’odierno ricorso e già in precedenza richiamata, secondo cui “solo in sede processuale il REA aveva contezza che il soggetto cui aveva fornito la documentazione fiscale e che gli era succeduto come amministratore, non era il reale COGNOME NOME, cui invece altri soggetti avevano rubato l’identità” (cfr. l’ultima pagina del ricorso).
3. Ad analoghe conclusioni di inammissibilità deve pervenirsi quanto alle residue censure, posto che la misura del trattamento sanzionatorio è stata contestata senza il minimo confronto con le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale. Quanto poi alla mancata concessione delle attenuanti generiche, menzionata nell’epigrafe del motivo, è appena il caso di evidenziare che già il primo giudice aveva applicato tali attenuanti, con decisione ritenuta “generosa”
dalla Corte territoriale, in considerazione dei numerosi precedenti a carico del REA
(cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
4. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 03 giugno 2025
Il Consigli
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Il Pres ente