Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25910 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25910 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 29/05/2025
SENTENZA
sul ricorso·proposto da COGNOME COGNOME nato a Grumo Appula il 09/04/1972 avverso la sentenza del 09/01/2025 della Corte d’appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 gennaio 2025, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza del 9 aprile 2024, con la quale il Gip del Tribunale di Palmi, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato COGNOME Vincenzo, in relazione al reato di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs., n. 74, del 2000, per avere , in concorso con altri soggetti, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto,
omesso di presentare, pur essendovi obbligato, le dichiarazioni fiscali per l’anno 2018, con un importo evaso di euro 211.832,00 di IRES ed euro 607.154,00 di IVA; nonché il relazione al reato di cui all’art. 10, comma 1, del d.lgs., n. 74 del 2000, per avere, in concorso con altri soggetti, nella summenzionata qualità, al fine di evadere le medesime imposte, occultato o distrutto scritture o documenti contabili, di cui è obbligatoria la conservazione, riferibili all’anno 2018, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari della medesima annualità.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione di legge in relazione al reato di omessa presentazione delle dichiarazioni. Il difensore afferma che il reato è integrato quando il soggetto obbligato non presenta le dichiarazioni entro la scadenza, ma che, nel caso di specie, l’imputato, in realtà, non era soggetto a tale obbligo, in quanto aveva perduto i poteri gestori prima di tale momento, come conseguenza dell’intervenuta sentenza dichiarativa di fallimento. Con l’apertura del fallimento, infatti, l’imputato era stato sostituito da curatore fallimentare in veste di soggetto obbligato alla presentazione, al quale pertanto aveva consegnato i documenti fiscali. Pertanto, l’imputato non poteva aver commesso il fatto, non rivestendo la qualifica tipica richiesta dalla fattispecie incriminatrice. Invece il giudice del merito – denuncia il difensore pur avendo ritenuto non ancora scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione IRES, al momento della sostituzione dell’imputato, ha ugualmente indicato quest’ultimo quale soggetto tenuto alla presentazione delle dichiarazioni, richiamando una risalente decisione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui spetta al fallito presentare le dichiarazioni di imposta relative a date anteriori alla dichiarazione di fallimento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con un secondo motivo, si denunciano la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’accertamento dell’ammontare dell’imposta evasa, che sarebbe stato impropriamente ricavato dall’accertamento induttivo, senza verificare in Concreto la consistenza dell’evasione. Si lamenta in particolare, l’eccessiva importanza attribuita dal giudice del merito alle rimanenze di magazzino, le quali essendo il frutto anche di periodi precedenti a quelli riferiti all’imposta evasa, costituiscono solo un indice di partenza dell’indagine e non possono da sole provare l’esistenza dell’evasione. Analoghe considerazioni sono svolte in ordine all’utilizzo dello spesometro per ricavare l’ammontare degli acquisti di merce, nonché alla valutazione del giudice del merito, che ha considerato azzerate le rimanenze alla data del 31 dicembre 2018, senza aver
considerato i pignoramenti ai quali era stata sottoposta l’impresa prima della dichiarazione di fallimento.
2.3. Con un terzo motivo, si lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione sotto il profilo della ritenuta sussistenza del reato di occultamento e distruzione delle scritture contabili. Denuncia la difesa che il reato può ritenersi integrato in presenza dei requisiti della distruzione o occultamento delle scritture e dell’impossibilità di ricostruire il reddito dell’impresa, ma che tale requisito ne caso di specie manca, poiché la Corte territoriale ha comunque ricostruito lo stato patrimoniale dell’impresa fallita. Secondo la prospettazione del ricorrente, la sentenza cade perciò in contraddizione perché, nel quantificare l’ammontare dell’imposta evasa, implicitamente riconosce di avere ricostruito lo stato patrimoniale dell’impresa.
La difesa ha depositato memoria, con la quale ribadisce quanto già dedotto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo, relativo all’estraneità del ricorrente al fatto di omessa dichiarazione per perdita dei poteri gestori successivi alla dichiarazione di fallimento, è infondato.
1.1. Al riguardo merita ricordare che l’obbligo tributario nasce in capo al soggetto che si trova alla guida dell’impresa quando spira il termine del periodo di imposta: in tale momento questi assume le vesti di soggetto obbligato a dichiarare. La dichiarazione, in particolare, si riferisce ad una situazione passata ovvero l’andamento dell’impresa nel periodo precedente allo scadere del termine del periodo di imposta. In riferimento a tale periodo, infatti, l’imprenditore, in quanto titolare di un potere gestorio, è chiaramente in possesso di tutti i dati circa lo stato patrimoniale dell’impresa, utili per redigere la dichiarazione a fini fiscali .
1.2. Da ciò si ricava un dato centrale: l’obbligo dell’imprenditore nasce perché questi è pienamente in grado di rendicontare su quella situazione del passato dal momento in cui scade il termine del periodo di imposta. Pertanto, se l’imprenditore mantiene il potere di gestione fino allo scadere del periodo di imposta, nasce in capo a questi l’obbligo di dichiarare il reddito maturato in tale periodo. Tale obbligo, poi, si mantiene intatto fino a che non viene estinto attraverso la presentazione della dichiarazione. Ciò significa che il soggetto potrà essere chiamato a rendere la dichiarazione in un momento successivo; ma ciò non cambia il fatto che, fino a tale momento, questi sia obbligato a rendere
A
conto in riferimento al periodo d’imposta passato. Si tratta perciò di una situazione soggettiva di carattere passivo che si cristallizza nel momento in cui spira il termine del periodo di imposta e che si estingue con la dichiarazione nel successivo momento della dichiarazione. Tale ultimo termine, però, non ha nulla a che fare con la nascita di quella situazione, che sorge al termine del periodo di imposta, ma solamente con la possibilità di estinguerlo, presentando la dichiarazione nel tempo prestabilito.
1.3. Se per avventura l’imprenditore perde il potere gestori° nel periodo compreso tra lo scadere del termine del periodo di imposta e il successivo termine per la presentazione della dichiarazione, come avviene nel caso del fallimento intervenuto in tale periodo, non per questo l’obbligo dichiarativo viene meno: questo, infatti, si è ormai si è perfezionato, con la conseguenza, che da quel momento l’imprenditore è vincolato a presentare la dichiarazione. La successiva perdita di potere gestori° risulta, pertanto, ininfluente sull’obbligo dichiarativo, come afferma la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di omessa dichiarazione dei redditi, spetta al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento, mentre il curatore deve presentare le dichiarazioni per i periodi di imposta successivi, in essi compreso anche il periodo nel corso del quale è intervenuto il fallimento (Sez. 3, n. 1549 del 01/12/2010, dep. 19/01/2011, Rv.249351).
Non pare dubitabile quindi che il fallito sia tenuto alla presentazione della dichiarazione per i periodi di imposta ricadenti nella propria fase di gestione, anche se la dichiarazione relativa a quel periodo di imposta deve essere presentata in un tempo successivo, nell’arco del quale sopraggiunge il fallimento.
1.4. Solo apparentemente in senso contrario si è posta la giurisprudenza civile di questa Corte, citata dal ricorso, che ha affermato la riferibilità dell’oner dichiarativo in capo al curatore per le dichiarazioni a cavallo del fallimento, in quanto essa dichiara espressamente di rifarsi ai principi dettati dalla sentenza penale sopra menzionata (Cass. civ., Sez. 5, n. 5623, del 02/03/2021): la sentenza considera obbligato il curatore in quanto soggetto che si trova alla “guida dell’impresa”. Tale assunto avalla l’idea che il curatore è tenuto alla dichiarazione perché è colui ché gestisce e può rendicontare. Ciò conferma, implicitamente, l’idea che l’imprenditore, se titolare della gestione per tutto l’arco del periodo di imposta, rimane obbligato alla dichiarazione fiscale in relazione a tale periodo.
1.5. Con riguardo al caso in esame, deve rilevarsi che nessun dubbio può porsi con riguardo alla persistenza di tale obbligo in capo al ricorrente al momento del fallimento per la dichiarazione relativa all’IVA. Infatti, la data del fallimento era del 7 febbraio 2020, mentre la data di scadenza per la
presentazione della dichiarazione era il 30 aprile 2019, ovvero mesi prima di quella data. Per cui, non solo la data di cessazione del periodo di imposta, ma addirittura quella relativa alla scadenza della dichiarazione era antecedente alla data del fallimento, che non può avere spiegato alcun effetto sulla vicenda. Dunque, relativamente a tale dichiarazione, la censura del ricorrente risulta manifestamente infondata.
1.6. Quanto, invece, alla dichiarazione IRES, il termine amministrativo per la dichiarazione scadeva il 2 dicembre 2019, tenuto conto della proroga di cui all’art. 4-bis, del d.l. n. 34 del 2019, ma era ulteriormente prorogato di novanta giorni ai fini penali, in forza dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000 dovendosi perciò identificare nella data del 1° marzo 2020. Perciò il termine rilevante ai fini penali per la presentazione della dichiarazione scadeva in momento successivo al fallimento (7 febbraio 2020). Tuttavia, questo dato risulta ininfluente con riguardo all’obbligo dell’imprenditore di presentare la dichiarazione, in quanto questa si riferiva all’anno di imposta 2018, che si concludeva entro l’anno solare successivo, ovvero entro l’anno 2019. Il fallimento, invece, è sopravvenuto in un momento necessariamente successivo, che si colloca nei primi mesi del 2020. Ciò conferma che durante il periodo di imposta 2018, il ricorrente era al guida della società e che, al termine di quel periodo, manteneva le vesti di soggetto obbligato alla dichiarazione per quell’anno d’imposta.
Il motivo relativo al mancato accertamento dell’imposta evasa è inammissibile, perché generico. Sul punto la Corte d’appello ha indicato: i criteri di calcolo utilizzati dal Tribunale; il valore delle rimanenze desunto dalla dichiarazione dei redditi della società presentata per il 2017, dal valore degli acquisti ricavati dal c.d. spesonnetro, e dunque non in via induttiva; la vendita della merce nella disponibilità della società alla data del 31 dicembre 2018; i criteri di determinazione del tempo di ricarico, che costituiva l’unico dato presuntivo utilizzato. Tuttavia, il ricorso non mette in discussione la solidità del metodo utilizzato dal giudice del merito, limitandosi a criticare genericamente l’utilizzo di tali dati, senza spiegare per quale ragione non avrebbero permesso una precisa ricostruzione dello stato patrimoniale dell’impresa e di conseguenza dell’imposta evasa.
Anche il terzo motivo, relativo alla possibilità per il Tribunale di ricostruire il reddito d’impresa è inammissibile, perché espone una lettura del dato normativo contrario ai principi interpretativi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità. Merita ricordare infatti che l’integrazione del delitto di cui all’art.
del d.lgs. n. 74 del 2000 non richiede che si verifichi in concreto una impossibilità assoluta di ricostruire il volume d’affari o dei redditi, essendo
sufficiente anche una impossibilità relativa, non esclusa quando a tale ricostruzione si possa pervenire
aliunde (ex plurimis,
Sez. 3, n. 7051 del
15/01/2019, Rv. 275005; Sez. 3, n. 39711 del 04/06/2009, Rv. 244619).
Con riguardo al caso di specie, correttamente il giudice del merito ha ritenuto integrato il fatto. Infatti, il reddito d’impresa non è stato desunt
attraverso i documenti e le scritture contabili, ma è stato ricostruito attraverso altri indici, ovvero in maniera più complicata di quanto sarebbe avvenuto se
fosse stata prodotta la relativa documentazione. Il fatto che il giudice del merito sia comunque riuscito a ricostruire tale reddito non esclude la rilevanza penale
della condotta dell’imputato.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29/05/2025