Obbligo di traduzione per lo straniero: non basta la nazionalità
L’assistenza di un interprete e la traduzione degli atti processuali sono diritti fondamentali per garantire un giusto processo. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto cruciale: l’obbligo di traduzione non scatta automaticamente per il solo fatto che l’imputato sia un cittadino straniero. È necessario un accertamento concreto della sua incapacità di comprendere la lingua italiana. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un cittadino straniero avverso una sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello di Milano. L’unico motivo di impugnazione sollevato dinanzi alla Suprema Corte riguardava la presunta violazione del diritto alla traduzione degli atti del procedimento, diritto garantito dall’articolo 143 del codice di procedura penale.
Secondo la difesa, la semplice condizione di straniero avrebbe dovuto attivare automaticamente le garanzie linguistiche previste dalla legge, a prescindere da una valutazione sulla sua effettiva conoscenza dell’italiano.
La Decisione della Corte e l’obbligo di traduzione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto tale tesi, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: il diritto all’assistenza linguistica non è un automatismo legato alla nazionalità.
La Corte ha sottolineato come la normativa, in particolare a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 32 del 2014, subordini l’obbligo di traduzione a una condizione precisa: l’ignoranza della lingua italiana da parte dell’imputato. Spetta quindi al giudice accertare, caso per caso, se l’imputato sia effettivamente in grado di comprendere gli atti e le fasi del processo.
Le Motivazioni della Decisione
Nel motivare la propria decisione, la Cassazione ha spiegato che lo ‘status’ di straniero o apolide non è, di per sé, sufficiente a far sorgere il diritto alla traduzione. Questo diritto è funzionale a garantire la piena comprensione del processo e la possibilità di esercitare una difesa efficace. Se l’imputato, pur essendo straniero, dimostra di conoscere la lingua italiana, tale garanzia non ha ragione di esistere.
Nel caso specifico, le valutazioni espresse dai giudici di merito apparivano coerenti con le risultanze processuali, dalle quali emergeva una sufficiente conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato. Pertanto, la doglianza è stata ritenuta priva di fondamento.
La declaratoria di inammissibilità ha comportato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver proposto un ricorso palesemente infondato.
Le Conclusioni
Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale chiaro: le garanzie processuali non devono essere invocate in modo strumentale. Il diritto alla traduzione è un presidio essenziale del giusto processo, ma va concesso a chi ne ha effettivamente bisogno. La decisione serve da monito: la proposizione di ricorsi basati su motivi manifestatamente infondati non solo non porta al risultato sperato, ma espone il ricorrente a conseguenze economiche significative, come la condanna al pagamento di spese e sanzioni pecuniarie.
Un cittadino straniero ha sempre diritto alla traduzione degli atti processuali?
No, il diritto alla traduzione non è automatico e non deriva dal mero ‘status’ di straniero. È subordinato all’effettivo accertamento dell’ignoranza della lingua italiana da parte dell’imputato.
Qual è il presupposto per attivare l’obbligo di traduzione secondo la Corte?
Il presupposto fondamentale è che il giudice accerti concretamente che l’imputato non conosce la lingua italiana, al punto da non poter comprendere gli atti e partecipare consapevolmente al processo.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso per manifesta infondatezza, il ricorrente è condannato per legge al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19656 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19656 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
TRITA NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/09/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che il motivo unico dedotto è manifestatamente infondato atteso che l’obbligo traduzione nei confronti del cittadino straniero a norma dell’art. 143 cod. proc. pen., modificato dall’art. 1, comma primo, lett. b, d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, non disc automaticamente dal mero “status” di straniero o apolide, essendo subordinato all’accertamento dell’ignoranza della lingua italiana;
rilevato che le valutazioni espresse sul punto appaiono coerenti alle risultanze in a depongono per la conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato;
ritenuto che dalla inammissibilità del ricorso deriva ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.