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Obbligo di dimora: esigenze cautelari prevalgono

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo sottoposto a obbligo di dimora che chiedeva di trasferirsi nel suo comune di origine per motivi familiari. La sentenza ribadisce che le esigenze cautelari, finalizzate a prevenire la reiterazione di reati e i contatti con ambienti criminali, prevalgono sulle necessità personali, lavorative e familiari dell’imputato, specialmente in contesti di criminalità organizzata.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Obbligo di dimora: quando le esigenze di sicurezza prevalgono sui legami familiari

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 3667 del 2024, offre un’importante chiave di lettura sul bilanciamento tra le esigenze personali dell’imputato e le necessità di prevenzione criminale nell’applicazione della misura cautelare dell’obbligo di dimora. Il caso analizzato riguarda la richiesta di un soggetto, accusato di gravi reati associativi, di modificare il luogo di esecuzione della misura per ricongiungersi alla famiglia, istanza respinta in ogni grado di giudizio.

I fatti del caso: la richiesta di trasferimento

Un uomo, sottoposto alla misura dell’obbligo di dimora nel comune di Bibbiano (RE) a seguito di una scarcerazione per decorrenza dei termini per reati legati alla criminalità organizzata (art. 416-bis c.p.), presentava istanza per trasferire la propria residenza obbligatoria a Cutro (KR). La richiesta era motivata dalla volontà di vivere con la moglie e la figlia di sette anni, residenti nel comune calabrese.

Il Tribunale di Bologna, confermando una precedente decisione della Corte d’Appello, rigettava la richiesta. La decisione si fondava sul presupposto che, nonostante la cosca di appartenenza operasse prevalentemente in Emilia, il trasferimento a Cutro, luogo di origine dell’associazione criminale, avrebbe aumentato il rischio di contatti con altri esponenti e favorito la reiterazione dei reati.

Le ragioni del ricorrente

La difesa sosteneva che il Tribunale avesse errato nella sua valutazione, adducendo diverse argomentazioni:

* La ‘ndrina di appartenenza del ricorrente era autonoma e operava in Emilia, non a Cutro.
* La pericolosità della cosca di origine a Cutro era diminuita a seguito di numerosi arresti e del pentimento, seppur ritenuto non credibile, del suo capo storico.
* La permanenza a Bibbiano impediva al ricorrente di trovare un’occupazione e di adempiere ai suoi doveri familiari, violando di fatto i suoi diritti.

La decisione della Cassazione sull’obbligo di dimora

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure della difesa infondate e aspecifiche. La decisione si basa su due pilastri fondamentali.

La genericità del ricorso

In primo luogo, il ricorso è stato considerato una mera riproposizione delle doglianze già avanzate in appello, senza un reale confronto con le motivazioni, logiche e congrue, addotte dal Tribunale di Bologna. La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere inammissibili i ricorsi che non svolgono una critica argomentata e specifica contro la decisione impugnata.

Il corretto bilanciamento delle esigenze

In secondo luogo, la Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione del Tribunale territoriale. Quest’ultimo aveva giustamente evidenziato come la difesa non avesse fornito prove di un effettivo allontanamento del ricorrente dalla “cosca madre”. Inoltre, il rischio di contatti con esponenti della criminalità organizzata sarebbe stato significativamente più elevato nel comune di Cutro rispetto a Bibbiano.

Le motivazioni della Corte

La motivazione della sentenza si concentra sull’interpretazione dell’art. 283, comma 5, del codice di procedura penale. Tale norma stabilisce che il giudice, nel determinare le prescrizioni dell’obbligo di dimora, deve considerare le esigenze di alloggio e di lavoro dell’imputato “per quanto è possibile”.

La Corte chiarisce che questa disposizione non pone le esigenze personali e lavorative sullo stesso piano di quelle cautelari. Le prime assumono rilievo solo dopo aver individuato un luogo idoneo a soddisfare le finalità di prevenzione. Se il luogo che garantirebbe il lavoro e la vicinanza alla famiglia è anche quello in cui il rischio di reiterazione del reato è più alto, le esigenze cautelari devono necessariamente prevalere. La finalità di prevenzione speciale della misura coercitiva è considerata subvalente e prioritaria.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale in materia di misure cautelari, specialmente quando si tratta di reati di criminalità organizzata. La scelta del luogo per l’obbligo di dimora non è una decisione basata sulla convenienza personale dell’imputato, ma uno strumento volto a neutralizzare la sua pericolosità sociale. Le esigenze familiari e lavorative, pur meritevoli di considerazione, diventano recessive di fronte al rischio concreto che l’imputato possa riallacciare legami con il proprio ambiente criminale. La decisione del giudice deve quindi fondarsi su una valutazione rigorosa del pericolo, ponendo la tutela della collettività al primo posto.

È possibile modificare il luogo dell’obbligo di dimora per motivi familiari o lavorativi?
Sì, ma solo se le esigenze familiari e lavorative non compromettono le esigenze cautelari. La legge prevede che il giudice tenga conto di tali necessità “per quanto è possibile”, ma la priorità resta quella di prevenire la commissione di nuovi reati e i contatti con l’ambiente criminale.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello, senza confrontarsi criticamente con le motivazioni della decisione impugnata. Secondo la Corte, un ricorso di questo tipo è “aspecifico” e non assolve alla sua funzione di critica argomentata.

In un procedimento per criminalità organizzata, quale elemento ha più peso nel decidere il luogo dell’obbligo di dimora?
In procedimenti per reati di criminalità organizzata, l’elemento preponderante è la necessità di impedire all’imputato di mantenere o riallacciare contatti con l’ambiente criminale di origine. Pertanto, la scelta del luogo è finalizzata a ridurre al minimo tale rischio, anche a discapito delle esigenze personali e familiari dell’individuo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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