Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3667 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3667 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Crotone il DATA_NASCITA;
avverso l’ordinanza del 28 aprile 2023 emessa dal Tribunale di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Bologna ha confermato l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Bologna, che in data 27 marzo 2023 ha rigettato l’istanza di sostituzione del luogo di esecuzione dell’obbligo di dimora dal comune di Bibbiano (RE) al comune di COGNOME (KR) proposta da NOME COGNOME.
COGNOME è sottoposto all’obbligo di dimora, con ordinanza emessa in data 30 novembre 2022 dalla Corte di appello di Bologna, a seguito di scarcerazione per decorrenza termini disposta in ordine ai reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 12-quinques della I. n. 356 del 1992.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono avverso tale ordinanza e ne chiedono l’annullamento, deducendo la violazione degli artt. 283 e 307 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione sul punto.
Premettete il ricorrente che il Tribunale di Bologna avrebbe disatteso la richiesta di spostamento del luogo di esecuzione della misura coercitiva da Bibbiano a COGNOME, ove vivono la moglie e la figlia di sette anni del COGNOME, in ragione del ruolo ancora potenzialmente attivo del ricorrente nella ‘ndrina di appartenenza; ad avviso della difesa, questa argomentazione, tuttavia, sarebbe meramente apparente, in quanto non considera che la cosca di COGNOME, ove ancora esistente, non sarebbe quella di appartenenza del ricorrente, ma solo la sua origine storica.
Il COGNOME, secondo quanto accertato dalla sentenza di primo grado, sarebbe, infatti, stato il reggente della cosca operante in Emilia, con “epicentro” in Reggio Emilia, cosca ritenuta del tutto autonoma rispetto a quella di COGNOME.
Il Tribunale, nel provvedimento impugnato, avrebbe, dunque, fondato il giudizio di permanente pericolosità di questa cosca apoditticamente, in assenza di precisi approfondimenti istruttori e, peraltro, nello stabilire l’obbligo di dimora Bibbiano, avrebbe pretermesso il rischio che il ricorrente possa avere contatti con membri della «propria consorteria di asserita reggenza».
Il Tribunale di Bologna, inoltre, non avrebbe speso alcuna parola in ordine alla ormai «decaduta» pericolosità della cosca calabrese a fronte del falso pentimento di NOME COGNOME, già ritenuto capo indiscusso della cosca cutrese, e dei numerosi arresti intervenuti negli ultimi anni.
I difensori deducono, da ultimo, che il Tribunale di Bologna avrebbe solo apparentemente motivato sull’appello proposto, richiamando precedenti irrelati rispetto al caso di specie in ordine al principio di assorbimento e alla presunzione di permanenza delle esigenze cautelari, anche in caso di applicazione di misure non detentive conseguenti alla scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene la Corte che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.
Con unico motivo i ricorrenti deducono che il Tribunale di Bologna avrebbe solo apparentemente motivato sull’appello proposto, rigettando apoditticamente la richiesta di sostituzione del luogo di esecuzione dell’obbligo di dimora, e avrebbe violato il disposto degli artt. 283 e 307 cod. proc. pen.
Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto il difensore ribadisce le censure già prospettate nell’appello cautelare e non si confronta con le argomentazioni, congrue e non illogiche, poste a fondamento della decisione impugnata.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, del resto, sono generici i motivi che costituiscono la mera riproposizione delle doglianze svolte nell’atto di appello, in quanto difettano della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (ex plurimis: Sez. 2, n. 11951 del 29/1/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568); i motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, sono, infatti, soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01).
Il vizio di motivazione denunciato è, peraltro, insussistente, in quanto le circostanze evidenziate dalla difesa sono state concretamente valutate dal Tribunale di Bologna, ma non illogicamente ritenute inidonee a giustificare l’accoglimento dell’istanza formulata della difesa.
Il Tribunale di Bologna nell’ordinanza impugnata ha congruamente rilevato che: 1) la difesa non ha dimostrato l’effettivo allontanamento del COGNOME dalla “cosca madre”, profilo che aveva determinato la scelta dell’esecuzione della misura coercitiva nel Comune di Bibbiano; 2) la sostanziale indifferenza ai fini dell’accoglimento dell’istanza formulata dalla difesa sia dell’asserito pentimento del fratello NOME COGNOME (peraltro definito “tentato”, in quanto ritenuto non credibile dai magistrati), sia la dissociazione pubblica dell’altro fratello NOME COGNOME, in quanto il ricorrente, anche in costanza di tali acc:adimenti, avrebbe potuto assumere un ruolo attivo nella cosca di origine; 3) nel comune di COGNOME sarebbero più facili, frequenti e continui i contatti con esponenti della criminalità organizzata di stampo ‘ndranghetistico rispetto a quanto potrebbe accadere nel comune di Bibbiano.
Il Tribunale di Bologna ha, dunque, ritenuto, non certo illogicamente, che l’esecuzione dell’obbligo di dimora nel comune di Bibbiano consentisse di contenere l’attività dell’imputato in un ambito territoriale ove sono ridotte le sue
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possibilità di mantenere o di riallacciare i rapporti con l’organizzazione criminale di origine e che la difesa non avesse assolto l’onere probatorio che deriva dalla presunzione relativa delle esigenze cautelari sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., applicabile nel caso di specie in relazione ai reati per i quali si procede.
La violazione di legge denunciata dal ricorrente è, inoltre, insussistente.
Il Tribunale di Bologna ha correttamente rilevato che l’obiettiva difficoltà del ricorrente nel trovare lavoro in Bibbiano non può snaturare le esigenze cautelari poste a fondamento della misura cautelare in corso di esecuzione, in quanto l’art. 283, comma 5, cod. proc. pen. prescrive che il giudice, nel delimitare l’ambito territoriale delle prescrizioni connesse alle misure del divieto e dell’obbligo di dimora, deve considerare le esigenze di alloggio e lavoro dell’imputato «per quanto è possibile».
Le esigenze di alloggio e lavoro dell’imputato, dunque, non possono assumere un rilievo prevalente nella determinazione del luogo di esecuzione dell’obbligo di dimora, come vorrebbe il ricorrente, ma assumono rilievo solo una volta accertata l’idoneità del luogo prescelto a soddisfare le esigenze cautelari ritenute sussistenti; ove, pertanto, il luogo che assicura le esigenze di lavoro dell’imputato sia inidoneo a garantire la finalità di prevenzione speciale cui la misura coercitiva tende, tali misure, nel disegno non illogico del legislatore, devono essere considerate subvalenti.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento,
Non essendovi ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», in virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25/10/2023.