Obbligo di Dimora: Non Conta Quante Ore, ma Perché. La Cassazione Spiega
L’obbligo di dimora è una delle misure cautelari più comuni nel nostro ordinamento, finalizzata a controllare i movimenti di un indagato o imputato in attesa della definizione del suo processo. Ma cosa succede quando a questa misura si aggiungono prescrizioni accessorie, come quella di non allontanarsi dalla propria abitazione per un numero considerevole di ore al giorno? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 10527/2024) fa luce sui criteri di legittimità di tali restrizioni, spostando il focus dalla durata quantitativa alla giustificazione qualitativa.
Il Caso in Analisi
Un soggetto, sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora, si è visto imporre dal giudice anche due prescrizioni aggiuntive: l’obbligo di non allontanarsi dalla propria abitazione per tredici ore al giorno e quello di presentarsi quotidianamente alla polizia giudiziaria. Ritenendo la lunga permanenza forzata in casa eccessiva e sproporzionata, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, contestando la decisione del Tribunale.
La Decisione della Corte: l’obbligo di dimora e la non arbitrarietà
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la validità del provvedimento impugnato. Il punto centrale della decisione non risiede nella valutazione del numero di ore di permanenza domiciliare, ma nel principio della “non arbitrarietà” della prescrizione.
Secondo gli Ermellini, il ricorso dell’imputato si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in precedenza, senza muovere una critica specifica e puntuale al ragionamento del giudice che aveva imposto la misura. Questo vizio procedurale è stato uno dei motivi principali della declaratoria di inammissibilità.
Le Motivazioni
Entrando nel merito della questione, la Corte ha chiarito un aspetto fondamentale: non esiste una norma di legge che fissi un tetto massimo di ore per la prescrizione di permanenza domiciliare accessoria all’obbligo di dimora. Di conseguenza, il parametro per giudicarne la legittimità non può essere meramente temporale.
Il vero criterio, come sottolineato anche da precedenti pronunce (in particolare la sentenza n. 37302/2021), è la funzionalità della prescrizione rispetto alle esigenze cautelari del caso specifico. Nel caso di specie, l’imputato era gravemente indiziato per un reato associativo. La restrizione oraria, sebbene significativa, era stata imposta con lo scopo preciso di impedirgli di mantenere contatti con i coimputati e, quindi, di tutelare le esigenze investigative.
La motivazione del giudice, seppur sintetica, è stata ritenuta logica e sufficiente, in quanto ha stabilito un nesso chiaro tra la contestazione (reato associativo) e la misura imposta (limitare le opportunità di contatto). La prescrizione, dunque, non era arbitraria, ma mirata a uno specifico e legittimo scopo cautelare.
Le Conclusioni
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: la validità di una prescrizione accessoria a una misura cautelare come l’obbligo di dimora non si misura con il cronometro. Ciò che conta è la solidità della motivazione che la sorregge. Il giudice deve spiegare in modo chiaro perché quella specifica restrizione è necessaria per soddisfare una o più esigenze cautelari. Per la difesa, di contro, non è sufficiente lamentare la gravosità della misura, ma è indispensabile dimostrare che essa sia arbitraria, illogica o sproporzionata rispetto allo scopo cautelare dichiarato dal giudice.
Esiste un limite massimo di ore per la prescrizione di permanenza in casa accessoria all’obbligo di dimora?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che non esiste una norma specifica che stabilisca un orario massimo. La valutazione si basa sulla necessità concreta.
Qual è il criterio per giudicare la legittimità della durata di tale prescrizione?
Il criterio fondamentale è la ‘non arbitrarietà’ della misura, che deve essere funzionale a tutelare specifiche esigenze cautelari (es. impedire contatti con coimputati), e non la sua mera durata temporale.
Perché il ricorso in esame è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché riproduceva censure già respinte dal giudice precedente senza una critica specifica alle argomentazioni della decisione impugnata, e perché la misura era stata considerata correttamente motivata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10527 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10527 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/11/2023 del TRIBUNALE di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
Ritenuto che il ricorso deve essere ritenuto inammissibile in quanto riproduce profili censura già adeguatamente disattesi dal giudice dell’esecuzione, e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni a base della ordinanza impugnata, in quanto il ricorso si limit contestare la decisione soffermandosi sul dato temporale delle tredici ore al giorno in c l’ordinanza cautelare applicativa dell’obbligo di dimora aveva disposto l’obbligo accessorio di n allontanarsi dall’abitazione e la prescrizione aggiuntiva dell’obbligo di presentazione quotidia alla polizia giudiziaria, ma, in difetto di una indicazione normativa su uno specifico o massimo in cui in tale tipologia di provvedimento può essere prescritto l’obbligo di permanenza nel domicilio, è rilevante non la durata in sé della prescrizione accessoria, ma la “non arbitrari della stessa che deve essere funzionale alla tutela delle esigenze cautelari (Sez. 1, Sentenza n 37302 del 09/09/2021, Lazzerini, Rv. 281908), come correttamente rilevato nell’ordinanza impugnata, con motivazione che, in modo sintetico, ma non illogico, riferisce del nesso tra contestazione di cui era gravemente indiziato l’imputato e la prescrizione imposta a tutela del esigenze cautelari di impedirgli di mantenere rapporti con i coimputati del reato associativo;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 febbraio 2024.