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Nullità dell’imputazione: incertezza e abnormità

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del PM contro l’annullamento di un decreto di rinvio a giudizio. La causa era la nullità dell’imputazione, ritenuta incerta e contraddittoria dal Tribunale. La Corte ha stabilito che tale annullamento non è un atto abnorme, in quanto non causa una stasi processuale ma impone al PM di precisare l’accusa, scegliendo tra le ipotesi di reato contestate, senza introdurre un fatto nuovo.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La nullità dell’imputazione per incertezza non è un atto abnorme

La chiarezza e la precisione del capo di imputazione sono pilastri fondamentali del giusto processo. Senza una contestazione chiara, l’imputato non può difendersi efficacemente. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 31941/2024, si è pronunciata su un caso emblematico, affrontando la questione della nullità dell’imputazione e chiarendo quando l’annullamento del rinvio a giudizio non costituisce un atto abnorme, ma un corretto esercizio del potere giurisdizionale volto a ripristinare la correttezza procedurale.

I Fatti del Caso

Il procedimento nasceva da un’accusa di turbata libertà degli incanti in ambito universitario. Durante l’udienza preliminare, il Pubblico Ministero modificava l’imputazione, specificando l’intenzionalità della condotta e aggiungendo, come ipotesi alternativa, il reato di abuso d’ufficio. Di fronte a questa modifica, il Tribunale di Milano dichiarava la nullità del decreto di rinvio a giudizio, ritenendo l’imputazione dubitativa, contraddittoria e, quindi, insufficiente.

Il Pubblico Ministero ricorreva in Cassazione, sostenendo che l’ordinanza del Tribunale fosse un atto ‘abnorme’, in quanto avrebbe causato un’indebita regressione e una stasi del procedimento. Secondo l’accusa, il fatto storico era rimasto immutato e la mera specificazione di una qualificazione giuridica alternativa non costituiva un ‘fatto nuovo’.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Pubblico Ministero inammissibile. I giudici di legittimità hanno stabilito che l’ordinanza del Tribunale non poteva essere qualificata come abnorme. Il potere di dichiarare la nullità dell’imputazione e del conseguente decreto di rinvio a giudizio per insufficiente descrizione del fatto è espressamente previsto dall’articolo 429, comma 2, del codice di procedura penale. Pertanto, l’atto del Tribunale non era né strutturalmente né funzionalmente abnorme.

Le Motivazioni

La Corte ha articolato il proprio ragionamento distinguendo tra ‘fatto storico’ e ‘qualificazione giuridica’. Il problema sollevato dal Tribunale non riguardava l’introduzione di un ‘fatto nuovo’, ma l’incertezza generata dalla contestazione alternativa di due diversi reati senza che il Pubblico Ministero operasse una scelta precisa. Questa ambiguità, secondo il giudice di merito, violava i requisiti di certezza e precisione richiesti a pena di nullità dagli articoli 417 e 429 del codice di procedura penale.

L’ordinanza impugnata, quindi, non ha creato una stasi insuperabile del procedimento. Al contrario, ha imposto al Pubblico Ministero un’attività doverosa: precisare l’accusa. Annullando l’atto, il Tribunale ha semplicemente restituito gli atti all’accusa affinché emendasse il vizio, consentendo così al procedimento di proseguire su basi corrette e garantendo il pieno esercizio del diritto di difesa.

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: un atto è abnorme solo quando, per la sua singolarità, si pone al di fuori del sistema processuale o quando, pur essendo previsto dalla legge, determina un blocco insuperabile del processo. In questo caso, la declaratoria di nullità non ha causato alcuna stasi, ma ha innescato un meccanismo correttivo previsto dalla legge. Il Pubblico Ministero dovrà unicamente selezionare una delle due ipotesi di reato formulate, senza che ciò comporti la contestazione di un ‘fatto nuovo’.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza l’importanza del principio di precisione e chiarezza dell’accusa. Stabilisce che la valutazione del giudice sulla nullità dell’imputazione per incertezza nella qualificazione giuridica è un legittimo esercizio di un potere previsto dalla legge, finalizzato a garantire il corretto svolgimento del processo. Non si tratta di un’indebita interferenza, ma di un presidio a tutela del diritto di difesa. Per l’accusa, la lezione è chiara: è necessario formulare contestazioni precise, evitando ambiguità che, pur non alterando il fatto storico, possono compromettere la validità dell’atto e rallentare, anziché accelerare, il corso della giustizia.

Quando un’ordinanza che dichiara la nullità dell’imputazione è considerata ‘abnorme’?
Un’ordinanza di questo tipo non è abnorme quando si basa su un potere espressamente attribuito al giudice dalla legge (come l’art. 429 c.p.p.) e non provoca una stasi insuperabile del procedimento, ma richiede semplicemente al Pubblico Ministero di correggere o precisare l’accusa per poter proseguire.

Qual era il difetto specifico dell’imputazione nel caso di specie?
Il Tribunale ha rilevato un profilo di ‘incertezza’ sotto il profilo della qualificazione giuridica. L’imputazione era ritenuta dubitativa e contraddittoria perché il Pubblico Ministero aveva contestato due diverse ipotesi di reato in via alternativa senza compiere una scelta, rendendo l’accusa non idonea a consentire una precisa qualificazione del fatto contestato.

Cosa deve fare il Pubblico Ministero a seguito dell’annullamento del decreto di rinvio a giudizio?
Il Pubblico Ministero deve procedere a selezionare una delle due ipotesi di reato precedentemente formulate, precisando così il capo d’imputazione. Questa operazione non comporta la contestazione di un ‘fatto nuovo’ e permette al procedimento di proseguire nel suo iter ordinario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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