Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31941 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31941 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME, nata a Milano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
NOME, nata a Genova il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Milano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Genova il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Graffignano il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/3/2024 emessa dal Tribunale di Milano visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile; letta la memoria degli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori degli imputati, i quali hanno chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Milano, con l’impugnata ordinanza, dichiarava la nullità del decreto di rinvio a giudizio, ritenendo insufficiente la descrizione dell’imputazione, perché dubitativa e contraddittoria, anche in relazione all’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati.
Occorre premettere che, l’iniziale imputazione formulata a carico degli imputati, faceva riferimento al solo reato di turbata libertà degli incanti, asseritamente commesso in una pluralità di procedure concorsuali svolte in ambito universitario.
Nel corso dell’udienza preliminare, il pubblico ministero modificava le imputazioni, specificando che la condotta era stata commessa “intenzionalmente” al fine di agevolare il candidato cui si voleva assegnare l’incarico, in violazione dell’art.1 I. n. 240 del 2010 e indicando, quale ipotesi delittuosa alternativa a quella di cui all’art. 353 cod. pen., anche il reato di abuso d’ufficio.
Avverso tale ordinanza, il ricorrente ha formulato un unico motivo di ricorso, con il quale deduce l’abnormità del provvedimento, sottolineando come il fatto storico era rimasto sostanzialmente immutato, dovendosi ritenere che l’elemento del dolo intenzionale era già insito nella dichiarata volontà di assegnare l’incarico messo a concorso a un determinato soggetto. L’indicazione della norma di legge violata (In. 240 del 2010) non alterava la materialità del fatto, come pure la mera specificazione, in aggiunta, dell’indicazione dell’art. 323 cod. pen., posto che l’imputazione richiede la specificità della descrizione del fatto e non della qualificazione giuridica, sempre rimessa alla valutazione del giudice.
Infine, deduce il ricorrente che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che l’aggiunta della contestazione per abuso d’ufficio avesse introdotto un “fatto nuovo”, posto che, per consolidata giurisprudenza, ciò che rileva è la descrizione del fatto storico che, nel caso di specie, era rimasta sostanzialmente immutata.
Per effetto dell’ordinanza che dichiarava la nullità del capo di imputazione si determinava un’indebita regressione e stasi del procedimento, posto che il giudice
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dell’udienza preliminare altro non potrebbe fare che emettere un nuovo decreto per il medesimo fatto, non potendosi recepire le erronee indicazioni contenute nell’ordinanza impugnata.
I difensori degli imputati, con una memoria congiunta, ribadivano le ragioni della nullità del decreto di rinvio a giudizio.
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Occorre premettere che, al di là della correttezza o meno del giudizio espresso dal Tribunale nell’ordinanza impugnata, il profilo assorbente è costituito dall’insussistenza di un’ipotesi di abnormità dell’atto, posto che il potere di dichiarare la nullità del decreto di rinvio a giudizio, a fronte della ritenuta insufficiente descrizione del fatto, è espressamente attribuito al giudice dall’art. 429, comma 2, cod. proc. pen.
Applicando i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza in materia, deve ribadirsi che è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, a di là di ogni ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuo del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez.U, . 26 del 24/11/1999, dep.2000, Magnani, Rv. 215094).
Tale regola è stata ulteriore precisata, essendosi ritenuto che l’adozione di un atto astrattamente compreso tra quelli che il giudice può adottare determina una stasi del procedimento qualora la sua ottemperanza imporrebbe l’adozione di un atto o il compimento di un’attività processuale contra legem (Sez.U, n.37502 del 28/4/2022, Scarlini, Rv. 283552).
Applicando tali principi al caso di specie, deve rilevarsi come la rilevata nullità dell’imputazione, per la presunta indeterminazione della stessa, si traduce
in un atto che non comporta alcuna indebita regressione, né una stasi del procedimento, posto che l’imputazione ben potrà essere meglio precisata e condurre al prosieguo del giudizio.
Né è questa la sede per valutare nel merito se le considerazioni espresse dal Tribunale siano o meno corrette, posto che l’eventuale erroneità delle stesse non determinerebbe in ogni caso l’abnormità del provvedimento.
A diverse conclusioni, invero, si sarebbe potuti giungere ove il Tribunale avesse con certezza qualificato l’imputazione come contenente un “fatto nuovo”, posto che in tal caso si sarebbe potuta determinare una obiettiva stasi nel procedimento, posto che in sede di udienza preliminare, in assenza del consenso delle parti, risulterebbe precluso al giudice di pronunciarsi sull’imputazione, eventualmente modificata.
Su tale aspetto, invero, l’ordinanza del Tribunale ha ingenerato una difficoltà interpretativa, posto che inizialmente sembrerebbe aver recepito la tesi difensiva secondo cui la contestazione del reato di abuso d’ufficio integrerebbe un “fatto nuovo” (si veda pg.3).
Dalla complessiva lettura dell’ordinanza, tuttavia, emerge con chiarezza che il Tribunale ha rilevato esclusivamente un profilo di “incertezza” nell’imputazione, tant’è che afferma testualmente che non si versa «in ipotesi di “imputazione alternativa” bensì di una imputazione incerta sotto il profilo della qualificazione giuridica, quindi carente dei requisiti di certezza e precisione espressamente richiesti a pena di nullità dagli artt. 417, lett.b) e 429 lett.c) c.p.p.» (pg.4).
Ancor più eloquente è il passo conclusivo lì dove l’ordinanza specifica che il decreto che dispone il giudizio è stato ritenuto «insufficiente, perché dubitativa e contraddittoria, l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati. In sostanza, l’imputazione non appare idonea a consentire una precisa qualificazione giudica del fatto che si ipotizza violato».
4.1. Orbene, ritiene la Corte che tali considerazioni denotano come l’elemento di incertezza evidenziato dal Tribunale attiene non già al “fatto storico”, quanto alla sua qualificazione giuridica, in ogni caso, ciò che è escluso è che la contestazione del reato di abuso d’ufficio integri un “fatto nuovo”.
Quanto detto comporta che il Tribunale ha unicamente rilevato l’indeterminatezza della contestazione in ordine all’esatta individuazione del reato contestato, sostanzialmente ritenendo che il pubblico ministero avrebbe dovuto compiere una scelta tra le due ipotesi di illecito ipotizzate.
Ne consegue che nella fase conseguente all’annullamento disposto con l’impugnata ordinanza, non si realizza alcuna stasi processuale, dovendo il
pubblico ministero unicamente procedere a selezionare una tra le due ipotesi di reato ipotizzate, senza che ciò comporti in alcun caso la contestazione di un “fatto nuovo”. Ne consegue che all’esito della precisazione richiesta, il procedimento potrà proseguire secondo il suo iter ordinario.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 20 giugno 2024 Il Consigliere estensore COGNOME
Il Pr sidente