Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44482 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44482 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 05/11/1976
avverso l’ordinanza del 02/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME in data 22 luglio 2023, proponeva incidente di esecuzione davanti alla Corte di appello di Roma, premettendo di essere stato condannato: a) con sentenza resa dalla suddetta Corte in data 13 luglio 2018 (irrevocabile il 15 maggio 2019), alla pena di tre anni di reclusione e 12.000,00 euro di multa per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990; b) con decreto penale del Tribunale di Isernia, definitivo il 16 settembre 2017, alla pena di 200,00 euro di ammenda.
Premetteva, inoltre, di aver presentato istanza di rilascio del passaporto in data 10 settembre 2022 presso il Commissariato P.S. “Salario-Parioli”, rigettata “dagli organi competenti” in ragione dell’esistenza della condizione ostativa del mancato pagamento della pena pecuniaria, prevista dall’art. 3, lett. d), I. n. 1185 del 1967.
Ciò premesso, eccepiva l’illegittimità di quest’ultima disposizione “per violazione dei principi europei in materia di libera circolazione de/lavoratori ed in particolare violazione dell’art. 4 e dell’art. 27 della Direttiva 2004/38/CE, nonché per violazione dell’art. 45 c. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 21 del Trattato per il funzionamento dell’Unione Europea (TFUE); altresì per violazione dell’art. 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo”.
Infine, avanzava richiesta di revoca della sanzione accessoria del divieto di espatrio, non menzionata nel corpo dell’istanza, e, “con riferimento all’art. 3, lett. d), I. n. 1185/67, la rimessione della questione di compatibilità della disciplina italiana con quella comunitaria, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea”; in via subordinata, in sede di discussione (v. verbale di udienza), la difesa argomentava sulla concessione del nulla osta al rilascio del passaporto.
Con ordinanza emessa il 15 novembre 2023, la Corte di appello di Rona, adìta quale giudice dell’esecuzione, rigettava “il ricorso”.
Premetteva che la difesa non aveva documentato i presupposti di fatto del ricorso, non avendo prodotto né la richiesta di rilascio di passaporto, né il provvedimento amministrativo di rigetto fondato sul mancato pagamento della multa.
Rilevava, in ogni caso, che quanto richiesto dalla difesa non aveva alcuna attinenza con l’esecuzione della sentenza di condanna del 13 luglio 2018, sopra menzionata, con la quale non era stata disposta alcuna sanzione accessoria del divieto di espatrio, sicché non vi era materia per una pronuncia, sul punto, del giudice dell’esecuzione.
Dava atto, infine, che solo in sede di discussione la difesa aveva avanzato richiesta di nulla osta ai sensi dell’art. 3, lett. d), I. n. 1185/67, unica materia competenza del giudice dell’esecuzione; e, tuttavia, osservava la Corte di merito che, «…anche a voler prescindere dalla tardività della richiesta e dal fatto che, chiedendo il nulla osta, la difesa recedeva rispetto alla questione della compatibilità dell’art. 3 con le norme comunitarie, il nulla osta non sarebbe stato rilasciabile, ostandovi le condizioni espressamente previste dalla norma: da un lato, infatti, ai sensi dell’art. 136 cod. pen., il mancato pagamento della multa nei termini di legge aveva già comportato la sua conversione in una delle pene restrittive della libertà personale di cui alla I. n. 689/81; dall’altro, la conversion della pena pecuniaria di 12.000,00 euro di multa importava una pena superiore a un mese di reclusione».
Con ricorso per cassazione, qualificato come opposizione proposta ai sensi degli artt. 667, comma 4, e 676 cod. proc. pen., COGNOME denunciava “l’abnormità” dell’ordinanza impugnata, per violazione degli artt. 665, 656, 660 cod. proc. pen. e 3, lett. d), n. 1185/67.
Contestava, in sintesi, che sulla richiesta di nulla osta al rilascio del passaporto avesse provveduto il giudice dell’esecuzione, essendo, viceversa, competente, in prima battuta, “l’autorità giudiziaria che deve curare l’esecuzione della sentenza”, ossia il Pubblico ministero (quale organo preposto, appunto, all’esecuzione).
La deduzione poggiava su alcune pronunce di legittimità: Sez. 1, n. 1287 del 29/11/2006, dep. 2007; Sez. 1, n. 11427 del 12/02/2004; Sez. 6, n. 417 del 26/03/1998.
Con provvedimento reso in data 2 maggio 2024, la Corte di appello di Roma, dopo aver precisato che, nel corso dell’udienza di discussione, la difesa aveva insistito tanto sulla questione principale originariamente proposta che su quella subordinata, rigettava l’opposizione, osservando: a) quanto alla richiesta principale, che con la già richiamata sentenza emessa da essa Corte di appello il 13 luglio 2018 non era stata disposta alcuna sanzione accessoria del divieto di espatrio, «trattandosi di questione di competenza dell’Autorità amministrativa» (citava, al riguardo, Sez. 1, n. 17507 del 20/02/2020); b) quanto alla richiesta subordinata, che il provvedimento opposto aveva espresso unicamente una valutazione incidentale sui presupposti del rilascio del nulla osta e che, in ogni caso, detto nulla osta era riservato al Pubblico ministero, salvo controllo successivo del giudice dell’esecuzione sulla relativa decisione (citava Sez. 1, n. 5455/97; Sez. 1, n. 8464 del 2009; Sez. 1, n. 1610 del 2015).
Non essendo, nella specie, stata avanzata alcuna richiesta al Pubblico ministero, concludeva il giudice a quo di non essere competente a provvedere.
Con il ricorso per cassazione proposto avverso la suddetta ultima ordinanza, COGNOME per il tramite del difensore, denuncia, testualmente, rillegittimità dell’impugnata ordinanza in relazione alla omessa motivazione sulla questione pregiudiziale europea sollevata dalla difesa con istanza ai sensi dell’art. 267 TFUE”.
Dopo aver ripercorso la cronologia del procedimento e aver aggiunto, come informazione non fornita in sede di proposizione dell’incidente, che il provvedimento di diniego dell’istanza di rilascio del passaporto era stato emesso dalla Questura di Roma in data 18 aprile 2023 e notificato all’interessato in data 19 maggio 2023, il difensore del ricorrente ribadisce come “la applicazione Questorile della norma speciale contenuta nella legge ‘passaporti’ all’art. 3, lett. d), per come interpretata dall’Amministrazione competente e nella misura in cui si è posta come motivo di diniego al rilascio, fosse in contrasto con l’art. 4 e 27 della Direttiva 2004/38/CE nonché con l’art. 45 comma 1 della Carta dei Diritti fondamentale dell’Unione Europea e con l’art. 21 del TFUE; altresì violati va dell’art. 2 del Protocollo n. 4 della Convenzione EDU, siccome limitante la libertà di circolazione in assenza di obiettive ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza o di sanità pubblica”, nonché discriminante rispetto a chi non è gravato da una pena pecuniaria.
Nella quinta pagina del ricorso sottolinea che la domanda principale inoltrata riguardava la “inconciliabilità della normativa italiana in tema di rilascio di titolo valido per l’espatrio” e lamenta che la Corte di appello di Roma non abbia detto alcunché sulla pregiudiziale europea, “non potendo dirsi la questione implicitamente risolta dal tenore complessivo dell’ordinanza gravata”.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono.
Con l’incidente di esecuzione proposto, NOME COGNOME ha chiesto, in via principale, alla Corte di appello di Roma la revoca della sanzione accessoria del divieto di espatrio (“Affinché la SRAGIONE_SOCIALE voglia revocare la sanzione accessoria del divieto di espatrio…”), a suo dire applicata in relazione alla sentenza di condanna emessa, nei suoi confronti, in data 13 luglio 2018, dalla medesima Corte distrettuale per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Detta sanzione accessoria, peraltro facoltativa (“il giudice può…”), è, invero, prevista, unitamente a quella del ritiro della patente di guida (per un periodo non superiore a tre anni), dall’art. 85, comma 1, del citato decreto.
Tuttavia, con la richiamata sentenza, potuta esaminare perché versata in atti, la Corte di merito non risulta aver applicato sanzioni accessorie, men che meno quella di cui si chiede, inspiegabilmente, la revoca.
Del tutto correttamente, perciò, nella sua prima ordinanza del 15 novembre 2023, il giudice adìto ha affermato che «quanto richiesto dalla difesa non ha alcuna attinenza con l’esecuzione della sentenza emessa in data 13.7.2018, poiché con quella sentenza e con la sentenza di primo grado non è stata disposta alcuna sanzione accessoria del divieto di espatrio ».
La richiesta principale, insomma, difettava, ab origine, del necessario presupposto.
Quanto alla richiesta avanzata in via subordinata, quella cioè, tendente ad ottenere il nulla osta al rilascio del passaporto, va, in primo luogo, escluso, come adombrato dal giudice dell’esecuzione, che possa considerarsi tardiva.
Ed invero, nel procedimento introdotto da un incidente d’esecuzione è ammissibile la precisazione o l’integrazione della domanda, che sia incompleta o carente nell’indicazione dell’oggetto materiale del petitum, effettuata dalla parte interessata, d’iniziativa o su sollecitazione del giudice dell’esecuzione, in un momento successivo alla sua proposizione, atteso che siffatto procedimento, ancorché sottoposto alla disciplina del giudizio d’impugnazione in quanto compatibile, secondo la previsione di cui all’art. 666, comma 6, cod. proc. pen., non ha natura d’un tale giudizio e quindi non è improntato al rispetto né del principio devolutivo né delle specifiche formalità di proposizione dei mezzi d’impugnazione, trattandosi, invece, d’un procedimento di prima istanza avente la mera finalità di stabilire, nell’interesse della giustizia, il concreto contenuto dell’esecuzione (Sez. 1, n. 1229 del 11/11/2020, dep. 2021, Marseglia, Rv. 280217 – 01); ciò alla necessaria condizione, tuttavia, che, a salvaguardia del principio del contraddittorio, sia garantito alla parte pubblica un termine per controdedurre (Sez. 1, n. 51053 del 13/07/2017, COGNOME, Rv. 271457 – 01; Sez. 3, n. 47266 del 04/11/2005, Conversano, Rv. 233261 – 01).
In sede di opposizione, così qualificato il primo ricorso per cassazione, la difesa di COGNOME ha tacciato di “abnormità” la prima ordinanza emessa, in conformità dell’orientamento ermeneutico secondo il quale «I provvedimenti con i quali il presidente del tribunale o il giudice dell’esecuzione decidono sulla richiesta di nulla osta al rilascio di passaporto o altro documento valido per l’espatrio avanzata da soggetto nei cui confronti sia eseguibile una pronuncia di condanna, sono da considerare abnormi, in quanto l’art.3, lett. d), della legge 21 novembre 1967, n. 1185, attribuisce tale competenza alla “autorità giudiziaria che deve curare l’esecuzione della sentenza”, e cioè, in base agli artt. 655, 656 e 660 cod. proc. pen., al pubblico ministero presso il giudice competente per l’esecuzione,
ferma restando la facoltà dell’interessato di sollecitare, attraverso l’incidente di esecuzione, il controllo giurisdizionale sulla relativa decisione» (Sez. 1, n. 1287 del 29/11/2006, dep. 2007, COGNOME non mass.; Sez. 1, n. 11427 del 12/02/2004, COGNOME, Rv. 227188 – 01; Sez. 6, n. 417 del 04/02/1998, COGNOME, Rv. 211946 – 01).
Tale orientamento è stato condiviso dalla Corte di appello di Roma nel provvedimento oggetto di ricorso, con il quale, siccome non risultava, in atti, alcuna richiesta inoltrata dalla parte interessata al Pubblico ministero, il giudicante ha declinato la propria competenza a provvedere (“il GE non è competente a pronunciarsi sull’istanza”).
4. Se così è, tirando le fila del discorso: tenuto conto che è la stessa difesa di COGNOME a riconoscere in capo al Pubblico ministero – peraltro, in concreto, non investito dall’interessato – la competenza a emettere il nulla osta al rilascio del passaporto ai sensi dell’art. 3, lett. d), I. 21 novembre 1967, n. 1185 (che recita: «Non possono ottenere il passaporto: d) Coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale o soddisfare una multa o ammenda, salvo per questi ultimi il nulla osta dell’autorità che deve curare l’esecuzione della sentenza, sempreché la multa o l’ammenda non siano già state convertite in pena restrittiva della libertà personale, o la loro conversione non importi una pena superiore a mesi 1 di reclusione o 2 di arresto»); considerato che tale prospettazione rende, giocoforza, irrilevante la questione della c.d. “pregiudiziale europea” – costituente, fra l’altro, l’unico oggetto del ricorso – sia perché il ricorrente contesta “l’interpretazione Questorile” della norma nazionale, evocando, quindi, l’eventuale illegittimità della procedura amministrativa, che, però, avrebbe dovuto contestare (in caso di diniego di rilascio del passaporto) davanti al Ministro degli affari esteri o al Tribunale amministrativo regionale (Sez. 1, n. 17507 del 20/02/2020, COGNOME, Rv. 279184 – 01; Sez. 1, n. 1610 del 02/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261999 – 01), sia perché, avendo egli chiesto al giudice nazionale il nulla osta al rilascio del passaporto, ha dimostrato, sul piano logico, il concreto venir meno del suo interesse a investire la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non avendo senso mettere in discussione la compatibilità con il diritto dell’unione di una norma nazionale di cui, contemporaneamente, ci si intende avvalere; ritenuto che non può essere apprezzato come provvedimento di diniego di nulla osta il parere espresso dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma sulla istanza introduttiva avanzata dal COGNOME poiché relativo alla richiesta di revoca della sanzione accessoria del divieto di espatrio; deve, conclusivamente, reputarsi manifestamente infondato e carente di interesse il presente ricorso, che, di conseguenza, va dichiarato inammissibile. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso discende la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di ipotesi di esonero, al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo indicare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente