Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30451 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30451 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il 28/08/1969
avverso l’ordinanza del 03/03/2025 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Nell’interesse di NOME COGNOME veniva presentata istanza, ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen., volta ad ottenere la declaratoria di non esecutività della sentenza emessa nei suoi confronti dalla Corte di appello di Roma in data 24 aprile 2023, irrevocabile il 14 maggio 2024, con la conseguente revoca dell’ordine di esecuzione per la carcerazione reso dal Procuratore generale presso la suddetta Corte territoriale in data 21 maggio 2024.
A sostegno dell’istanza, si assumeva che la menzionata sentenza di condanna non sarebbe passata in giudicato, in quanto il termine per impugnarla personalmente non sarebbe decorso a causa dell’omesso avviso all’imputato del deposito della sentenza di primo grado, pronunciata dal Tribunale di Roma il 30 settembre 2021.
Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza.
2.1. La Corte adita ricostruiva nei termini seguenti la vicenda processuale. Nel giudizio di appello il difensore del COGNOME aveva eccepito la nullità della sentenza di primo grado ex art. 185, comma 1, cod. proc. pen. per omessa notificazione, a mani proprie, all’imputato, all’epoca in regime cautelare degli arresti domiciliari, dell’avviso di deposito della sentenza e del decreto presidenziale di proroga del termine di deposito di novanta giorni originariamente fissato dal Tribunale.
Detto avviso era stato notificato solo al domicilio eletto presso il difensore, che aveva esercitato validamente il diritto all’impugnazione.
La Corte di appello aveva respinto l’eccezione difensiva di nullità della sentenza di primo grado, osservando che lo scopo dell’adempimento previsto dall’art. 548 cod. proc. pen. non era quello di portare la parte a conoscenza dell’esistenza di un processo a suo carico e della decisione assunta (come accadeva per l’abrogato istituto della notifica dell’estratto contumaciale), ma di portare a conoscenza dell’imputato le ragioni poste a fondamento di quella decisione al fine di un utile esercizio del diritto di impugnazione. Ne conseguiva, ad avviso della Corte di appello, che, essendo stati i motivi di impugnazione tempestivamente depositati dal difensore ed essendo stato l’imputato ritualmente citato in appello, nessuna nullità si era verificata.
2.2. Il difensore aveva riproposto la questione con il ricorso per cassazione e la Suprema Corte aveva ritenuto infondata l’eccezione di nullità dedotta, in adesione all’orientamento secondo cui “l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di deposito della sentenza impugnata, sia essa conseguente alla tardività del
deposito o all’avvenuta celebrazione del giudizio in contumacia, non può essere eccepita dal difensore, unitamente ai motivi attinenti al merito, nell’impugnazione proposta nell’interesse dell’imputato” (Sez. 3, n. 19602 del 2021).
Tanto premesso, il giudice dell’esecuzione rilevava, in sintonia con il parere espresso dal Procuratore generale, che il rigetto (anche) dell’eccezione di nullità in questione da parte della Corte di cassazione non consentiva dubbi circa l’intervenuta irrevocabilità della sentenza su cui si fondava il provvedimento di esecuzione della pena e della misura di sicurezza, avendo la Corte di legittimità chiarito che del tutto correttamente il giudice dell’appello aveva ignorato l’eccezione di nullità e proseguito validamente il giudizio, altresì puntualizzando che la citazione dell’imputato appellante a seguito del gravame proposto dal suo difensore nonostante l’assenza di regolare notifica dell’avviso di deposito della sentenza di primo grado era del tutto regolare.
Pertanto, non ricorreva alcuna delle ipotesi di cui all’art. 670 cod. proc. pen., sicché l’istanza doveva essere rigettata.
Il giudice a quo, infine, considerava irrituale il deposito dell’atto di appello personalmente redatto dall’imputato, allegato all’istanza introduttiva dell’incidente di esecuzione, atteso che, a norma dell’art. 582 cod. proc. pen., esso avrebbe dovuto essere presentato nella cancelleria del giudice emittente il provvedimento impugnato, non spettando al giudice dell’esecuzione alcuna valutazione al riguardo.
L’interessato ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, deducendo, in un unico e articolato motivo, nullità dell’ordinanza ex art. 606, lett. b), c), e) in relazione agli artt. 585, comma 2, lett. c), 648, comma 2, cod. proc. perì.
Incorporato il primo motivo del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza di appello e l’ordinanza dibattimentale del 18 luglio 2022; riportato, per estratto, il parere favorevole alla tesi difensiva espresso dal Procuratore generale; trascritta, nella parte d’interesse, la sentenza n. 32935 del 2024, con la quale la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso; richiamati i principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 317 del 2009, relativa all’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., il difensore rimarca che, nel rigettare il ricorso del COGNOME, la Corte di cassazione ha affermato che “nel caso di specie, il termine per impugnare nei confronti dell’imputato non poteva e non può dirsi decorso”.
Se così è, la sentenza pronunciata a carico dell’odierno ricorrente non poteva essere considerata passata in giudicato, ai sensi dell’art. 648, comma 2, cod. proc. pen. e, quindi, non poteva costituire valido titolo esecutivo.
Il giudice dell’esecuzione, investito della questione, l’aveva elusa senza fornire adeguata risposta, risultando del tutto superflua la difesa della legittimità del giudizio di appello che non era stata minimamente contestata dall’imputato.
Il giudice a quo, nella condizione data e tenuto conto del principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione relativo al mancato decorso del termine utile per impugnare la sentenza di primo grado, avrebbe dovuto limitarsi a controllare se, nel tempo decorso dal deposito della motivazione della sentenza di legittimità, per effetto della eventuale notificazione agli imputati dell’avviso di deposito della sentenza di primo grado, il termine che non era decorso al momento della decisione della Corte di cassazione lo fosse stato successivamente.
Se così non fosse stato, il giudice dell’esecuzione sarebbe stato obbligato a dichiarare la non irrevocabilità della sentenza e, quindi, l’inesistenza del titol esecutivo.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta che il Collegio ritiene di considerare valida, in quanto la sua tardività non è dipesa dalla colpevole inerzia dell’Ufficio requirente, ma da disguidi della cancelleria sezionale – ha concluso per il rigetto del ricorso.
Nell’interesse del condannato l’avv. NOME COGNOME ha depositato memoria di replica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.
Richiamata integralmente la ricostruzione della vicenda processuale che ci occupa nei termini riportati nella superiore esposizione in fatto, per la soluzione del caso prospettato, per certi versi paradossale, non può non focalizzarsi l’attenzione sull’affermazione centrale contenuta nella sentenza n. 32935 del 14 maggio 2024 emessa dalla Quarta sezione di questa Corte, con la quale è stato rigettato, tra gli altri, il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la pronuncia di condanna resa dalla Corte di appello di Roma in data 24 aprile 2023.
A pag. 43, par. 7.1., la Quarta sezione, per quel che qui rileva, conclude: «Nel caso di specie il termine per impugnare nei confronti dell’imputato non poteva e non può dirsi decorso ma questo non ha inficiato la valida e doverosa trattazione del giudizio d’appello legittimamente proposto dal difensore di fiducia».
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Si tratta di conclusione apparentemente contraddittoria, che, tuttavia, sottende l’implicita adesione a quell’orientamento ermeneutico, secondo cui, superato il principio dell’unicità dell’impugnazione, in un caso come quello in commento, l’imputato pretermesso può comunque proporre, unitamente ad incidente di esecuzione, impugnazione apparentemente tardiva e l’eventuale contrasto di giudicati che venisse a prodursi sarebbe risolto sulla base della disciplina dettata dall’art. 669 cod. proc. pen. (Sez. F, n. 3144 del 04/09/2014, dep. 2015, COGNOME e altri, Rv. 262040 – 01).
3. A fronte di una disposizione normativa processuale (art. 648, comma 1, cod. proc. pen.), che definisce “irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione”, e di una statuizione della Corte di legittimità – di cui il Collegio non può che limitarsi prendere atto – secondo la quale, nel caso di specie, per il carattere disgiunto della legittimazione, l’imputato COGNOME poteva ancora proporre appello, deve ritenersi violativo del principio di affidamento, reputare irrevocabile – e, come tale, capace di supportare un valido ordine di esecuzione – la sentenza di condanna, già menzionata, emessa dalla Corte di appello di Roma in data 24 aprile 2023 nei confronti del predetto imputato, odierno ricorrente.
In ciò si annida l’errore di diritto in cui è incorso il giudice dell’esecuzione il quale non ha tenuto conto dell’affermazione, resa dalla Quarta sezione di questa Corte, circa la persistente pendenza dei termini, in favore di COGNOME per impugnare, personalmente, la sentenza di primo grado.
Il giudice a quo, stando così le cose, avrebbe, quindi, dovuto revocare l’ordine di esecuzione emesso a carico del condannato, a meno che, come accennato dal difensore in ricorso, prima dell’emissione di detto ordine, non fosse stato emesso, in esito all’impugnazione personale in ipotesi già respinta o dichiarata inammissibile dal giudice d’appello, altro ordine di esecuzione.
Non essendo emersa dagli atti tale ultima circostanza, il giudice dell’esecuzione, verificata la presenza dei caratteri formali relativi all’atto appello personale allegato all’incidente in questione, avrebbe dovuto valutare, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., l’opportunità di trasmettere l’impugnazione alla cancelleria del Tribunale per la formale incardinazione del giudizio di appello, essendo compito esclusivo della Corte distrettuale rilevare l’eventuale tempestività dell’atto sottoscritto personalmente dall’imputato.
Si tratta di adempimenti, quelli appena descritti, di cui si farà carico il giudice del rinvio a seguito dell’annullamento dell’ordinanza oggi impugnata.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente