Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43649 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43649 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BERGAMO il DATA_NASCITA , avverso la sentenza del 08/03/2024 della CORTE)APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso ricorso deciso con contraddittorio scritto ex art. 23 co.8 D.L. 137/2020
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano il 20 febbraio 2020 con cui l’imputato era stato condannato alla pena di quattro mesi di reclusione per l’invasione arbitraria di un immobile destinato a pubblica utilità.
Con il ricorso per cassazione la Difesa dell’imputato formula due motivi, contestando, sotto il profilo della inosservanza di norme processuali (art.606 lett. c, c.p.p.) e della contraddittorietà e manifesta illogicità (art.606 lett. e, c.p.p. decisione della Corte d’appello sulla questione, già formulata nel grado precedente, attinente alla mancata esecuzione di ricerche dell’imputato a seguito dell’irreperibilità dell’imputato presso il domicilio eletto, con conseguente
notificazione al difensore d’ufficio dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e della successiva citazione a giudizio, senza ulteriori indagini.
Con ciò, si sostiene nel ricorso, si è prodotta la nullità della notifica iniziale comunque la mancata successiva conoscenza del processo in capo all’imputato.
Sia il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME che il Difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO hanno inviato memoria con conclusioni, il primo chiedendo il rigetto del ricorso mentre il secondo chiedendone l’accoglimento. Il difensore ha altresì inviato una memoria di replica alle conclusioni del AVV_NOTAIO Generale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché il primo motivo è manifestamente infondato mentre il secondo non è consentito.
Quanto al primo motivo, la manifesta infondatezza è insita nella prospettazione di una nullità derivante dalla mancata esecuzione di ricerche dell’imputato ed eventuale dichiarazione di irreperibilità una volta che l’elezione di domicilio inizialmente effettuata dall’imputato non aveva consentito la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini.
La premessa del ragionamento (“che senz’altro l’A.G. avesse l’obbligo di verificare se in atti o nei registri pubblici -facilmente e velocemente interpellabil con le tecnologie moderne- risultasse una diversa residenza … prima di procedere ex art. 161, comma 4, c.p.p.”) è infatti errata in primo luogo perché la legge non prevede siffatto obbligo in capo al pubblico ministero o al giudice procedente, ed in secondo luogo perché l’articolo 161 c.p.p. pone uno specifico onere informativo a carico dell’indagato in caso di mutamento di residenza o domicilio. La norma disciplina altresì il meccanismo necessario ad assicurare che la procedura non sia ostacolata o ritardata in caso di mancato assolvimento dell’obbligo di comunicazione ad opera dell’onerato, disponendo (art.161, comma 1, ultima parte, c.p.p.) che “la persona sottoposta alle indagini … ha(nno) l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio … eletto e che in mancanza di tale comunicazione…, nonché nel caso in cui il domicilio sia o divenga inidoneo, le notificazioni degli atti indicati verranno eseguite mediante consegna al difensore … anche d’ufficio”. Pretendere ricerche afficiose da parte dell’Autorità Giudiziaria in caso di mancata comunicazione da parte dell’indagato, svuoterebbe di significato l’obbligo posto in capo a quest’ultimo di comunicare il mutamento di domicilio, che corrisponde non solo all’esigenza di semplificazione
della procedura, assicurando snellezza e celerità, ma altresì al fine di garantire adeguata riservatezza, certezza e prevedibilità processuale all’indagato.
Né vale addurre la presenza di un orientamento giurisprudenziale (espresso dalle sentenze di questa Corte Sez.2, n.25671 del 19/05/2009, Sistro, Rv.244167; Sez.5, n.23668 del 23/06/2005, COGNOME, Rv.231907-01; Sez.1, n.27757 del 30/05/2003, COGNOME, Rv.227387) secondo il quale in caso di conoscenza dell’effettiva residenza dell’indagato o dell’imputato, ivi debbano essere eseguite le notifiche, al fine di assicurare l’effettiva conoscenza del procedimento.
Infatti, a tale orientamento se ne contrappone uno più consistente che nega la possibilità di individuare luoghi alternativi per la notificazione nell’eventualità cui il domicilio eletto si sia rivelato inefficace e non vi sia stata alcu comunicazione del mutamento di indirizzo da parte dell’indagato (Sez. 1, n.16717 del 13/03/2007, COGNOME, Rv.236714 – 01; Sez. 5, n. 42399 del 18/09/2009, COGNOME, Rv. 245819 – 01; Sez. 2, n. 31056 del 13/05/2011, COGNOME, Rv. 251022 – 01; Sez. 6, n. 9723 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 254693 – 01; Sez. 1, n. 22073 del 09/04/2013, COGNOME, Rv. 256082 – 01; Sez. 5, n. 13051 del 19/12/2013, COGNOME, Rv. 262540- 01; Sez. 4, n. 36479 del 04/07/2014, Ebbole, Rv. 260126 – 01; Sez. 7, n. 24515 del 23/01/2018, COGNOME, Rv. 272824 – 01).
A ciò si aggiunge che, in tutti i casi riferibili all’orientamento minoritario, dato della residenza o luogo alternativi ove eseguire la notificazione, costituiva, già al momento della notifica ex art. 161 c.p.p., patrimonio conoscitivo acquisito al fascicolo, mentre nel caso specifico non vi è alcun elemento da cui si possa desumere che tale condizione sussistesse, tanto meno in una fase anteriore al processo. Tanto è vero che è la stessa difesa ad ammettere (atto di appello, pg.3) che la comunicazione della residenza dell’imputato è avvenuta solo a processo in corso (udienza del 18 febbraio 2019).
Per tali ragioni, il motivo è manifestamente infondato.
Il secondo motivo, che deduce vizi motivazionali (contraddittorietà e manifesta illogicità) non è consentito.
Costituisce infatti principio consolidato, cui questo Collegio intende rifarsi, che in presenza di questioni di diritto, eventuali profili di critica motivazionale non siano ammessi, essendo indifferente la correttezza formale della esposizione delle ragioni, tanto nell’ipotesi in cui la soluzione raggiunta sia comunque corretta dal punto di vista giuridico, come avvenuto nel caso di specie, quanto nell’ipotesi in cui la soluzione sia errata, dovendosi in tal caso evocare la violazione di legge (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 05). Ma la violazione di legge, evocata nel primo motivo, è stata già ritenuta manifestamente infondata.
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Deve, pertanto, concludersi che i vizi di motivazione indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, poiché quest’ultimo non ha l’onere di motivare l’interpretazione prescelta, essendo sufficiente che essa sia corretta.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’ari. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 17 settembre 2024
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