Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46786 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46786 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il 05/03/1981
avverso l’ordinanza del 09/05/2024 del TRIBUNALE di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9 maggio 2024 il Tribunale di Firenze ha rigettato l’istanza, presentata nell’interesse di NOME COGNOME intesa alla declaratoria di nullità, per omessa traduzione in lingua a lei nota, dell’ordine di esecuzione, con contestuale sospensione, emesso nei suoi confronti con riferimento alla pena di quattro anni di reclusione e tremila euro di multa inflittale con sentenza del 20 dicembre 2017, divenuta irrevocabile il 12 gennaio 2024.
A tal fine, ha rilevato:
che il provvedimento impugnato è stato tradotto in lingua cinese nella parte in cui la destinataria è stata messa a parte della facoltà di chiedere l’esecuzione della pena in forma alternativa;
che l’atto risulta essere stato notificato al difensore della COGNOME (e non anche alla condannata, irreperibile) il quale ha chiesto l’ammissione ad una misura alternativa alla detenzione, ciò che esclude in radice la compressione, per effetto dell’omessa, parziale traduzione, delle garanzie riconosciute alla cittadina cinese;
che la Zheng comprende e parla la lingua italiana, secondo quanto emerge dagli atti del procedimento penale conclusosi con la condanna alla pena della cui esecuzione si discute, oltre che dalla sottoscrizione, in favore del difensore, di procura speciale redatta in lingua italiana.
NOME COGNOME propone, con il ministero dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione della legge processuale e vizio di motivazione.
Premesso che l’ordine di esecuzione per la carcerazione, quantunque non compreso nel novero di quelli espressamente elencati all’art. 143 cod. proc. peri., deve essere, a pena di nullità, tradotto in idioma noto al condannato alloglotta, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, in specie con la sentenza Sez. 1, n. 40733 del 10/01/2018, COGNOME, Rv. 274531 – 01, lamenta che l’incompleta traduzione dell’atto ha determinato, in concreto, l’impossibilità di orientare le proprie determinazioni in funzione del titolo esecutivo, le cui coordinate ella non ha avuto modo di conoscere compiutamente.
Contesta, ulteriormente, che le circostanze evidenziate, in punto di fatto, dal giudice dell’esecuzione valgano a dimostrare che ella comprende e parla la lingua italiana, della quale ha, invece, una padronanza assolutamente circoscritta come, del resto, confermato da quanto accaduto in occasione della sua identificazione.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
La giurisprudenza di legittimità è orientata, in termini di assoluta prevalenza, nel senso che «L’obbligo di traduzione degli atti processuali in favore dell’imputato o condannato alloglotta che non comprende la lingua italiana, anche a seguito della riformulazione dell’art. 143 cod. proc. pen., è escluso ove lo stesso si sia posto in una condizione processuale (nella specie, irreperibilità) cui segua per legge la notificazione degli atti mediante consegna al difensore» (Sez. 1, n. 8591 del 28/01/2020, COGNOME Rv. 278364 – 01, relativa proprio ad un caso di notificazione dell’ordine di esecuzione e di contestuale sospensione, eseguita, in lingua italiana, nei confronti del difensore).
Tale orientamento – già mutuato, tra le tante, da Sez. 2, n. 12101 del 17/02/2015, Le Wet, Rv. 262773 – 01, e Sez. 6, n. 47896 del 19/06/2014, B., Rv. 261218 – 01, e ribadito, ancora di recente, da Sez. 1, n. 19895 del 18/02/2022, Makharashvili, non massimata – è sorretta da ragioni giustificative che non sono venute meno per effetto della modifica dell’art. 143 cod. proc. pen. operata, con d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, in attuazione degli obblighi sanciti dalla Direttiva 2010/64/UE del 20 ottobre 2010 e che non appaiono efficacemente contraddette dall’opposto indirizzo, isolatamente recepito dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 40733 del 10/01/2018, COGNOME, Rv. 274531 – 01) e richiamato dalla ricorrente, che perviene ad una diversa soluzione senza, tuttavia, enunciare ragioni idonee a smentire il convincente percorso argomentativo sotteso a quello che, sia in precedenza che successivamente, è stato recepito dalla Corte di cassazione.
L’adempimento legale della notificazione al difensore nella fattispecie discende, infatti, dall’impossibilità, in ragione della condizione di irreperibilità cui si è consapevolmente posto l’interessato, di rivolgere l’informazione alla persona alloglotta, così che il raggiungimento della sua sfera di conoscenza o conoscibilità può garantirsi soltanto tramite l’adempimento diretto al difensore, il quale potrà veicolare l’informazione, ma nell’ambito delle relazioni afferenti all’assistenza che gli competono, in modo da potere rimanere assicurato a seguito di tale percorso, dovuto al comportamento dell’interessato, ogni possibile effetto conoscitivo.
Rebus sic sta ntibus, deve conclusivamente ritenersi che la COGNOME – soggetto che risulta essersi volontariamente posto in condizione processuale di irreperibilità – non abbia titolo per dolersi dell’omessa traduzione integrale dell’atto che ella ha impugnato mediante incidente di esecuzione e che, correttamente, è stato portato a conoscenza del solo difensore il quale, peraltro, ha proposto, nel termine di legge, rituale richiesta di ammissione a misura alternativa alla detenzione.
Le precedenti considerazioni determinano l’assorbimento delle ulteriori questioni poste dal ricorso, vertenti su profili la cui rilevanza risulta interament sterilizzata.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/10/2024.