Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26634 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26634 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato ad Alghero il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/05/2023 della Corte di appello di Cagliari, sez. dist. di Sassari visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni del difensore, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Cagliari, sez. dist. di Sassari, confermava la sentenza del 29 gennaio 2019 che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato NOME COGNOME per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni dolose aggravate, commessi il 21 novembre 2016.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 601 e 159 cod. proc. pen.
La sentenza impugnata ha omesso la verifica della regolarità della citazione a giudizio dell’imputato, quanto al rispetto della previsione che impone la notifica della stessa “almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio”.
Nella specie, è emerso che solo in data 25 aprile 2023 è stata tentata la notifica all’imputato della citazione per l’udienza del 4 maggio 2023 nel luogo di residenza, dove egli aveva eletto domicilio e dove non è stato reperito, non rispettando quindi il termine minimo per la comparizione di giorni 40 introdotto dalla Riforma Cartabia – termine che, secondo il principio del tempus regit actum, andava applicato al giudizio di appello in esame, posto che il decreto di citazione è stato emesso nella vigenza della novella ovvero il 28 febbraio 2023 – e neppure quello di 20 giorni previsto dalla normativa previgente.
2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 159 cod. proc. pen. e al verbale di vane ricerche.
Nel caso in esame il verbale di vane ricerche emesso dai Carabinieri e trasmesso alla Corte di appello dava atto che le ricerche dell’imputato avevano dato esito positivo: era stato infatti contattato l’imputato per via telefonic fornendo un nuovo domicilio e rendendosi disponibile a ricevere l’atto oggetto di notifica. La Corte territoriale doveva pertanto disporre nuove ricerche e solo all’esito dichiararne la irreperibilità.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e la difesa de ricorrente hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito
Il primo motivo, che denuncia la nullità derivante dal mancato rispetto del termine minimo di comparizione, declina una censura oramai preclusa.
Lasciando sullo sfondo – in quanto non rilevante – la questione dell’applicabilità dei nuovi termini a comparire introdotti dal d.lgs. n. 150 del 2022, va rilevato che costituisce orientamento largamente condiviso in tema di giudizio di appello che la violazione del termine a comparire di venti giorni stabilita dall’art 601, comma 3, cod. proc. pen., non risolvendosi in una omessa citazione
dell’imputato, costituisce una nullità a regime intermedio che risulta sanata nel caso in cui non sia eccepita entro i termini previsti dall’art. 180, richiamato dall’ar 182 cod. proc. pen. (solo per citare le pronunce più recenti, Sez. 4, n. 48056 del 16/11/2023, Rv. 285796; Sez. 2, n. 49717 del 07/11/2023, Rv. 285545; Sez. 2, n. 49644 del 02/11/2023, Rv. 285674).
Deve rammentarsi infatti che le Sezioni Unite (cfr. Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 2005, Palumbo, Rv. 229539) hanno oramai da tempo chiarito che, in tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nullità assoluta insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen.
Posto, dunque, che nel caso di violazione del termine a comparire di cui all’art. 601, comma 3, cod. proc. pen. non si verte in un’ipotesi di “omessa citazione” che, sola dà luogo a nullità insanabile, la relativa deduzione è oramai sanata (in quanto non eccepita nel grado di appello) e non più proponibile in questa Sede.
3. Il secondo motivo è privo all’evidenza di fondatezza.
Va evidenziato che la notifica della citazione per il giudizio di appello è stata tentata al domicilio eletto, dove l’imputato non è stato reperito (dato incontestato dalla difesa).
Ebbene, il ricorrente sembra confondere il verbale di vane ricerche ex art. 159 cod. proc. pen. con la irreperibilità dell’imputato al domicilio dichiarato.
Come hanno precisato le Sezioni Unite (Sez. U, n. 14573 del 25/11/2021, dep. 2022, D.), il sistema delineato dagli artt. 161, 162, 163 e 164 cod. proc. pen. per le notificazioni da eseguirsi presso il domicilio dichiarato o eletto è alternativ a quello previsto dall’art. 157 cod. proc. perì. (al quale si riferisce l’art. 159 c proc. pen.) e si fonda sul dovere dell’imputato di comunicare ogni successiva variazione del domicilio eletto e dichiarato ex art. 161, commi 1 e 2 cod. proc. pen., che non può essere “contaminato” con l’applicazione di disposizioni riguardanti la prima notificazione, con esso incompatibili.
Con tale arresto le Sezioni Unite hanno ribadito le indicazioni di altre decisioni del medesimo consesso (Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, COGNOME, Rv. 271772; Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, COGNOME, Rv. 250120), secondo cui per integrare il presupposto della impossibilità della notifica a norma dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. è sufficiente l’attestazione di mancato reperimento
dell’imputato nel domicilio dichiarato e non occorre alcuna indagine che attesti la irreperibilità dell’imputato, doverosa solo nei casi previsti dall’art. 157 cod. proc pen., come si desume dall’incipit dell’art. 159 cod. proc. pen., con la conseguenza che anche una temporanea assenza o la non agevole individuazione del domicilio abilitano l’ufficio proposto a ricorrere alle forme alternative ex art. 161, comma 4 cod. proc. pen.
Con la sentenza COGNOME in particolare le Sezioni Unite hanno chiarito che la notificazione di un atto all’imputato, che non sia possibile presso il domicilio eletto per il mancato reperimento, nonostante l’assunzione di informazioni sul posto e presso l’ufficio anagrafe, del domiciliatario, che non risulti risiedere o abitare quel Comune, deve essere eseguita mediante consegna al difensore e non mediante deposito nella casa comunale con i correlati avvisi, perché detta situazione si risolve in un caso di inidoneità dell’elezione di domicilio.
Quindi, una volta risultata nel caso in esame l’impossibilità di notificare l’atto al domicilio eletto, erano irrilevanti le informazioni assunte informalmente dall’imputato circa un nuovo indirizzo.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.