Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11937 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11937 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/01/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BARI il 24/11/1973
avverso l’ordinanza del 14/06/2018 del TRIBUNALE di TRANI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG d.ssa NOME COGNOME che conclude per l’anullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata
n
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Trani, in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva l’istanza di Forte Teresa di correzione dell’errore materiale contenuto nell’intestazione della sentenza di condanna n. 475/17, nella quale si indicava il legale dell’imputata come difensore di fiducia, anziché come difensore d’ufficio; rigettava, altresì, la richiesta di declaratoria di non esecutività della sentenza, fondata sul mancato decorso del termine per proporre impugnazione.
Secondo il Giudice, la notifica dell’estratto contumaciale all’imputata era stata dapprima tentata all’unico indirizzo risultante in atti, dove non era andata a buon fine, risultando ella trasferita; successivamente, in assenza di altro indirizzo utile per tentare la notifica, ai sensi dell’art. 161, comma 4. cod. proc. pen. come “domicilio determinato”.
L’atto era stato consegnato alla persona dell’avv. COGNOME era irrilevante che il legale fosse indicato come difensore di fiducia, anziché come difensore d’ufficio, atteso che non era stata violata nessuna disposizione relativa alla persona cui doveva essere consegnata la copia.
2. Ricorre per cassazione il difensore di COGNOME NOME, deducendo violazione di legge processuale e, in particolare, falsa applicazione degli artt. 161 e 548, comma 3,cod. proc. pen..
Il ricorrente richiama l’orientamento di legittimità secondo cui la notifica eseguita presso il difensore d’ufficio domiciliatario non è equiparabile a quella effettuata personalmente all’imputato e non dimostra la certa ed effettiva conoscenza delle vicende del processo da parte dell’imputato.
Di conseguenza, la correzione dell’errore materiale dell’intestazione della sentenza operata dal Giudice aveva la conseguenza di far ritenere invalida la notifica ex art. 161, comma 4 od. proc. pen. e non decorso il termine per : c proporre appello.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata nella parte in cui respinge l’eccezione di nullità della notifica dell’estratto contumaciale e la richiesta di annullamento dell’attestazione di intervenuta esecutività della sentenza nonché per la restituzione nel temine della Forte per proporre appello.
3. Il Procuratore generale, d.ssa NOME COGNOME nella requisitoria scritta, conclude per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
1. Occorre esattamente individuare l’oggetto del petitum dell’incidente di esecuzione proposto dalla difesa di COGNOME: come risulta dalla parte espositiva del ricorso e come è stato possibile verificare dalla lettura degli atti, era stato chiesto al giudice – in aggiunta alla correzione della sentenza nella parte in cui indicava l’avv. COGNOME come difensore di fiducia dell’imputata anziché come difensore d’ufficio – di “dichiarare nulla ex art. 171 lett. d) cod. proc. pen. la otifica per estratto della sentenza all’avv. COGNOME e, n conseguentemente, nulla/errata la attestazione di intervenuta esecutività della sentenza al 14/9/2017, dichiarando non decorso il termine ex art. 585 cod. proc. pen. lett. previgente per proporre impugnazione avverso tale sentenza”. d)
Si trattava, con ogni evidenza, di domanda proposta ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen., con la quale si chiedeva al giudice dell’esecuzione di accertare “che il provvedimento … non è divenuto esecutivo”. La norma prevede che, in caso di accoglimento della richiesta, il giudice deve, se occorre, “rinnovare la notificazione non validamente eseguita”.
Poiché, come da giurisprudenza costante di legittimità, l’incidente di esecuzione non può essere utilizzato per far valere vizi afferenti il procedimento di cognizione e la sentenza che lo ha concluso, ostandovi le regole che disciplinano la cosa giudicata, la quale si forma anche nei confronti di provvedimenti affetti da nullità assoluta (Sez. 1, n. 3370 del 13/12/2011 – dep. 27/01/2012, Comisso Fiore, Rv. 251682), correttamente la domanda aveva ad oggetto la notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di condanna che, secondo il sistema previgente, faceva decorrere il termine per proporre appello (art. 585, comma 2, lett. d. proc. pen.), decorso il quale la sentenza diventa d co irrevocabile (art. 648, comma 2 cod. proc. pen.).
Su questa domanda il giudice dell’esecuzione ha provveduto, ritenendo che la notifica effettuata ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen. al difensore dell’imputata, dopo l’inutile tentativo esperito presso il domicilio/residenza della stessa, che risultava “trasferita”, non fosse nulla; correttamente viene individuata la nullità ipotizzabile, quella prevista dall’art. 171, comma 1, lett. d) cod. proc. pen. (consegna dell’atto a persona diversa da quella indicata dalle norme) e logicamente ne viene affermata l’inesistenza, poiché – sia che l’avv. COGNOME fosse difensore di fiducia della COGNOME, sia che ne fosse difensore d’ufficio –
l’atto doveva essere a lui notificato, e lo era stato.
2. Le conclusioni precisate in sede di ricorso fanno comprendere come la fattispecie non sia stata correttamente inquadrata dalla ricorrente: al punto 2, infatti, si chiede alla Corte, “previa declaratoria di nullità della sopracitat notifica e della conseguente attestazione di intervenuta esecutività della stessa apposta dal cancelliere, (di) rimettere la ricorrente in termini per proporre appello avverso la sopracitata sentenza”.
Ma la restituzione nel termine per proporre appello presuppone la regolarità della notifica: in effetti, la previsione di cui all’art. 670 cod. proc. pen. – c disciplina la competenza del giudice dell’esecuzione in ordine all’esistenza ed alla corretta formazione del titolo esecutivo – si distingue dall’istituto della remissione in termini, ex art. 175 cod. proc. pen., il quale presuppone, invece, la rituale formazione del titolo esecutivo e la sua mancata conoscenza da parte dell’interessato. Ne consegue che qualora, come nella specie, l’interessato deduca la non corretta formazione del titolo esecutivo per mancata notifica dell’avviso di deposito della sentenza, ex art. 548, comma secondo, cod. proc. pen., non sussistono i presupposti per la restituzione in termini ma quelli di cui all’art. 670 cod. proc. pen. – concernenti la formazione del titolo esecutivo – di guisa che il giudice dell’esecuzione, in tal caso, non solo deve dichiarare l’omessa formazione del titolo esecutivo ed assumere i provvedimenti conseguenti ma deve anche disporre contestualmente, ex art. 670, comma primo, seconda parte, la esecuzione della notificazione non eseguita, ex art. 548 cod. proc. pen., per consentire la atorrenza del termine per l’impugnazione. (Sez. 4, n. 39766 del 26/10/2011 – dep. 04/11/2011, Franze’, Rv. 251927).
La lettura dell’art. 670 cod. proc. pen. dimostra che gli istituti in gioco sono differenti: la questione sul titolo esecutivo, di cui al primo comma già ricordato, e la richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione; in effetti, ai sensi del terzo comma dello stesso art. 670 cod. proc. pen., nteressato, nel “se l’i proporre richiesta perché sia dichiarata la non esecutività del provvedimento, eccepisce che comunque sussistono i presupposti e le condizioni per la restituzione nel termine a norma dell’art. 175 cod. proc. pen., il giudice dell’esecuzione, se non deve dichiarare la non esecutività del provvedimento, decide sulla restituzione”.
Si noti il duplice utilizzo della particella “se”: la domanda di restituzione nel termine può essere proposta in via subordinata rispetto a quella concernente la non esecutività della sentenza o può anche non esserla; a sua volta, il giudice dell’esecuzione provvede sulla stessa solo se ha respinto la domanda principale di non esecutività.
3. Ben si comprende, quindi, che la giurisprudenza di legittimità evocata dal ricorrente, che riguarda l’istituto della restituzione nel termine – e quindi si interessa della effettiva conoscenza del provvedimento da parte dell’interessato in presenza di una notifica valida ma non eseguita a sue mani – è del tutto inconferente nel caso in esame, nel quale era stata proposta la domanda non subordinata di restituzione nel termine per appellare.
D’altro canto – come risulta letteralmente – quella giurisprudenza non dichiara affatto nulla la notificazione effettuata ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen. allo studio del difensore d’ufficio; né il ricorrente indica quale sarebbe la causa di nullità di tale notificazione, ignorando la motivazione dell’ordinanza impugnata e tralasciando il principio generale di tassatività delle nullità posto dall’art. 177 cod. proc. pen..
In effetti, il ricorrente sostiene che la nullità della notificazione deriverebbe dalla sua mancata idoneità a dimostrare la conoscenza effettiva in capo all’interessata della sentenza: ma, appunto, le regole sulla notificazione degli atti non richiedono affatto il raggiungimento del risultato della conoscenza effettiva da parte del destinatario; anzi, alcune di esse sono previste proprio per superare l’impossibilità di consegnargli personalmente l’atto: soluzione ovviamente preferita dal legislatore, ma non imprescindibile.
Resta da osservare che la conclusione della ricorrente con la quale si chiede a questa Corte di “rimettere in termini la ricorrente per proporre appello avverso la sopracitata sentenza” è inammissibile in quanto non corrisponde a domanda proposta al giudice dell’esecuzione. 3
Si è più volte affermato che, anche in tema di incidente di esecuzione, il ricorso per cassazione non può devolvere questioni diverse da quelle proposte con la richiesta e sulle quali il giudice di merito non è stato chiamato a decidere; peraltro, dalla dichiarata inammissibilità in sede di legittimità non deriva, in concreto, lesione alcuna per la parte, che ben potrebbe far valere la diversa questione con altra richiesta, dal momento che il divieto del ne bis in idem non opera per le nuove istanze, fondate su presupposti di fatto e motivi di diritto prima non prospettati (da ultimo, Sez. 1, n. 9780 del 11/01/2017 – dep. 28/02/2017, COGNOME, Rv. 269421).
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue in ex lege, forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di euro 3.000 (tremila) in favore delle Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del
2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 gennaio 2019