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Nomina difensore del latitante: limiti dei familiari

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della convivente di un condannato, chiarendo un punto cruciale sulla nomina difensore del latitante. La facoltà dei prossimi congiunti di nominare un legale, prevista dall’art. 96 cod. proc. pen., è una norma eccezionale applicabile solo ai soggetti detenuti (“in vinculis”) e non può essere estesa per analogia ai latitanti, la cui condizione è frutto di una scelta volontaria.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Nomina del difensore del latitante: chi può farla?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di procedura penale, tracciando una netta distinzione tra la posizione del soggetto detenuto e quella del latitante. Al centro della questione vi è la nomina difensore del latitante e la possibilità per i prossimi congiunti di provvedervi. La Corte ha chiarito che tale facoltà è un’eccezione strettamente riservata a chi si trova in stato di detenzione e non può essere estesa a chi sceglie volontariamente di sottrarsi alla giustizia.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dall’istanza presentata dalla convivente more uxorio di un soggetto condannato, allo stato latitante. La donna, tramite un avvocato di fiducia da lei nominato, aveva chiesto al Tribunale di dichiarare ineseguibile la sentenza di condanna emessa nei confronti del compagno. Il Tribunale di merito, tuttavia, aveva dichiarato l’istanza inammissibile per carenza di legittimazione, sostenendo che la nomina del difensore non era valida, in quanto non proveniente direttamente dall’interessato.

Il Ricorso in Cassazione sulla nomina difensore del latitante

Contro questa decisione, la convivente ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 96 del codice di procedura penale. Secondo la tesi difensiva, la norma che consente ai prossimi congiunti di nominare un difensore per la persona indagata o imputata dovrebbe applicarsi anche nel caso del soggetto latitante, non solo di quello detenuto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno sottolineato che la facoltà concessa ai prossimi congiunti dall’art. 96, comma 3, cod. proc. pen., è una norma di carattere eccezionale. La sua ratio risiede esclusivamente nella difficoltà oggettiva in cui si trova una persona in vinculis (cioè detenuta) a provvedere personalmente alla nomina di un legale di fiducia. La limitazione della libertà personale giustifica, quindi, l’intervento sussidiario dei familiari.

Questa situazione è radicalmente diversa da quella del latitante. La latitanza, spiega la Corte, è una condizione che deriva da una scelta volontaria del soggetto, il quale decide di sottrarsi all’esecuzione di una misura cautelare o di una pena. Non sussiste, pertanto, alcuna impossibilità materiale che gli impedisca di conferire una procura al proprio difensore.

Essendo una norma eccezionale, quella sulla nomina da parte dei congiunti non è suscettibile di interpretazione analogica. Estenderla al latitante significherebbe applicare un’eccezione al di fuori del suo specifico ambito di previsione, violando il principio di stretta interpretazione delle norme procedurali. La Corte ha quindi concluso che il giudice di merito ha correttamente applicato questo principio, confermando l’invalidità della nomina del legale.

Conclusioni

La pronuncia della Cassazione consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso, volto a non equiparare situazioni giuridicamente e fattualmente distinte. La decisione ha importanti implicazioni pratiche: chiarisce che solo la persona latitante, e non i suoi familiari, può validamente nominare un avvocato di fiducia per rappresentarla in giudizio. La facoltà dei prossimi congiunti rimane un’eccezione strettamente legata alla condizione di restrizione della libertà personale e non può essere invocata per sanare una scelta di volontaria irreperibilità.

Un familiare può nominare un avvocato per un parente latitante?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la facoltà dei prossimi congiunti di nominare un difensore è limitata ai soli casi in cui l’imputato si trovi in stato di detenzione (‘in vinculis’) e non si estende ai latitanti.

Per quale motivo la nomina del difensore da parte di un familiare è stata considerata non valida in questo caso?
La nomina è stata ritenuta non valida perché l’interessato era latitante. La legge che consente ai familiari di nominare un legale è una norma eccezionale, legata alla difficoltà oggettiva di chi è privato della libertà personale, e non può essere applicata per analogia a chi si sottrae volontariamente alla giustizia.

Qual è la differenza tra persona ‘in vinculis’ e ‘latitante’ ai fini della nomina del difensore?
La persona ‘in vinculis’ è detenuta e la sua libertà personale è limitata, il che può impedirle di nominare un difensore; per questo la legge prevede l’intervento dei familiari. Il ‘latitante’, invece, ha scelto volontariamente di rendersi irreperibile e non si trova in una condizione di impossibilità materiale a nominare un proprio legale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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