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Nesso causale: la responsabilità del datore di lavoro

La Corte di Cassazione conferma la condanna di un datore di lavoro per omicidio colposo a seguito della morte di un operaio caduto da un ponte. La sentenza stabilisce che il nesso causale tra l’infortunio e il decesso non è interrotto da eventuali complicanze mediche successive, in quanto queste non costituiscono un evento anomalo o imprevedibile. La Corte ribadisce che la responsabilità del datore di lavoro sussiste per l’omessa vigilanza sull’uso dei dispositivi di sicurezza.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Nesso Causale e Infortuni sul Lavoro: La Cassazione sui Rischi Medici Sopravvenuti

La corretta individuazione del nesso causale è uno degli snodi cruciali nei processi per infortuni sul lavoro. Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su come valutare la catena degli eventi che portano al decesso di un lavoratore, specialmente quando, dopo l’incidente, intervengono complicanze mediche. Il caso analizzato riguarda la responsabilità di un datore di lavoro per l’omessa vigilanza sull’uso dei dispositivi di protezione, con la difesa che invocava l’interruzione del legame causale a causa di presunti errori sanitari.

I Fatti del Caso: Un Tragico Infortunio sul Lavoro

Un operaio, durante lavori di sistemazione di una tubatura fognaria all’esterno di un ponte, precipitava da un’altezza di circa cinque metri. A causa della caduta, riportava gravi lesioni che ne comportavano l’immediato ricovero in ospedale, dove decedeva circa due mesi dopo. L’imputato, in qualità di preposto e titolare di una posizione di garanzia, veniva accusato di omicidio colposo per aver omesso di vigilare affinché il lavoratore utilizzasse correttamente l’imbragatura di sicurezza anticaduta.

Il Percorso Giudiziario e le Tesi Contrapposte

Il procedimento giudiziario è stato complesso. Dopo un’assoluzione in primo grado, la Corte di Appello aveva ribaltato la decisione, condannando l’imputato. Questa condanna era stata però annullata con rinvio dalla Cassazione per un deficit istruttorio. Celebrato un nuovo giudizio d’appello, con rinnovazione delle prove testimoniali e peritali, la Corte territoriale giungeva nuovamente a una sentenza di condanna.

La difesa ricorreva in Cassazione affidandosi a due motivi principali:
1. Errata valutazione delle prove: Secondo il ricorrente, l’operaio indossava regolarmente l’imbracatura e l’aveva sganciata di sua iniziativa, con un comportamento abnorme e imprevedibile che avrebbe interrotto il nesso causale.
2. Interruzione del nesso causale per causa sopravvenuta: La morte non sarebbe stata conseguenza diretta delle lesioni da caduta, ma di una polmonite ab ingestis causata da un errore medico durante la degenza. Tale evento, secondo la difesa, costituiva una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare il decesso.

Il Nesso Causale e la Valutazione delle Prove Testimoniali

La Suprema Corte ha respinto il primo motivo, ribadendo un principio fondamentale del giudizio di legittimità: alla Cassazione non compete una rivalutazione del merito delle prove. La Corte d’Appello, in adempimento a quanto disposto nel giudizio rescindente, aveva correttamente rinnovato l’istruttoria, ascoltando nuovamente i testimoni e procedendo a un’analisi approfondita e comparata delle diverse versioni.

I giudici di merito hanno fornito una “motivazione rafforzata” per spiegare perché le testimonianze dei colleghi dell’operaio fossero state ritenute incerte e contraddittorie, a differenza di quelle degli ufficiali di polizia giudiziaria intervenuti. Tale valutazione, essendo logica e coerente, non è sindacabile in sede di legittimità.

Quando una Causa Sopravvenuta Interrompe il Nesso Causale?

Il cuore della sentenza risiede nell’analisi del secondo motivo, relativo alla presunta interruzione del nesso causale da parte di una causa medica sopravvenuta. La Cassazione ha richiamato il suo consolidato orientamento, secondo cui le cause sopravvenute idonee a escludere il rapporto di causalità sono solo quelle che:
– Innescano un processo causale completamente autonomo da quello originato dalla condotta dell’agente.
– Danno luogo a uno sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico degli eventi.

In questo contesto, le complicanze nosocomiali, anche se derivanti da eventuali negligenze sanitarie (peraltro non accertate nel caso di specie), non rappresentano un fattore eccezionale e imprevedibile. Al contrario, sono considerate uno sviluppo prevedibile della catena causale innescata dal grave infortunio che ha reso necessario il ricovero.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha stabilito che la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi di diritto. L’infortunio sul lavoro ha causato gravissime lesioni che hanno dato inizio alla serie causale conclusasi con il decesso. La degenza ospedaliera, con tutti i rischi connessi, è una conseguenza diretta e prevedibile di tali lesioni.

Nello specifico, la sofferenza polmonare che ha portato alla morte è stata ritenuta una conseguenza della condizione di allettamento prolungato e della compromissione generale dello stato di salute, direttamente riconducibili al trauma iniziale. Pertanto, l’infezione nosocomiale non ha agito come causa autonoma e sufficiente a determinare la morte, ma come una concausa inserita nella sequenza logica e prevedibile di eventi scatenata dall’infortunio. L’evento morte è stato quindi ritenuto eziologicamente collegato alla condotta omissiva dell’imputato, ovvero la mancata vigilanza sull’uso dei dispositivi di sicurezza.

Conclusioni

La sentenza riafferma un principio di grande rilevanza pratica: la responsabilità del datore di lavoro, derivante dalla sua posizione di garanzia, non viene meno facilmente. La condotta colposa che dà origine a un infortunio grave crea un’ampia sfera di rischi prevedibili, che includono anche le possibili complicanze del percorso di cura. Per interrompere il nesso causale, non è sufficiente allegare una qualsiasi complicanza medica, ma è necessario dimostrare che si sia verificato un evento talmente eccezionale e slegato dal quadro clinico originario da potersi considerare l’unica, vera causa della morte. Questa pronuncia consolida la tutela dei lavoratori, ponendo l’accento sull’obbligo del datore di lavoro di prevenire l’infortunio, evento dal quale possono scaturire conseguenze letali anche a distanza di tempo.

Un errore medico successivo a un infortunio sul lavoro interrompe il nesso causale con la condotta del datore di lavoro?
No, secondo la sentenza, le complicanze mediche o eventuali errori sanitari successivi a un infortunio non interrompono il nesso causale, a meno che non costituiscano un evento completamente autonomo, anomalo, imprevedibile e atipico. Sono generalmente considerati uno sviluppo prevedibile della catena di eventi innescata dall’infortunio iniziale.

La condotta imprudente del lavoratore esclude sempre la responsabilità del datore di lavoro per omessa vigilanza?
No. La responsabilità del datore di lavoro per omessa vigilanza sussiste anche in presenza di una condotta imprudente del lavoratore. Solo un comportamento del tutto eccezionale, abnorme e imprevedibile del lavoratore, che si ponga come causa esclusiva dell’evento, può escludere la responsabilità del datore di lavoro, circostanza che nel caso di specie non è stata provata.

Può la Corte di Cassazione riesaminare la credibilità dei testimoni valutata dalla Corte d’Appello?
No, la Corte di Cassazione non può procedere a una nuova valutazione degli elementi di fatto, come la credibilità dei testimoni. Il suo compito è verificare che la motivazione del giudice di merito (in questo caso la Corte d’Appello) sia logica, coerente e non manifestamente contraddittoria. Non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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