Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26691 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26691 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/06/2025
TERZA SEZIONE PENALE
NOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da
avverso la sentenza del 24/10/2024 della Corte di appello di Catania udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udito il difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’annullamento della sentenza impugnata
A seguito di annullamento con rinvio della sentenza di condanna del 27 aprile 2018, disposto da Sez. 4, n. 14914 del 13/02/2019, la Corte di appello di Catania con pronuncia del 24 ottobre 2024, in riforma del proscioglimento disposto dal Tribunale di Catania il 17 ottobre 2016, ha dichiarato l’imputato NOME COGNOME colpevole del reato di omicidio colposo – per omessa vigilanza sull’adozione dei dispositivi di protezione individuale forniti all’operaio NOME COGNOME che il 9 luglio 2009, durante l’effettuazione di lavori di sistemazione di un tubo fognario posto all’esterno del ponte del INDIRIZZO, non indossando l’imbragatura di sicurezza anticaduta, precipitava nel vuoto dall’altezza di circa mt.5 riportando gravi lesioni che ne determinavano l’immediato trasporto e soccorso in ospedale ove il 30 agosto 2009 decedeva – e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla aggravante contestata in fatto, lo ha condannato alla pena, sospesa, di mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili da liquidarsi in separata sede, assegnando una provvisionale di 20.000,00 euro per ciascuna figlia e di 15.000,00 per NOME COGNOME nonchØ alla rifusione delle spese.
Avverso l’indicata sentenza ha presentato ricorso il difensore dell’imputato affidandosi a due compositi motivi.
2.1 Con il primo lamenta mancanza, illogica e manifesta contraddittorietà intrinseca ed
Sent. n. sez. 1129/2025
UP – 26/06/2025
R.G.N. 9600/2025
estrinseca della motivazione ed immotivato travisamento dei fatti emersi nel processo.
Quanto alla causa della caduta dell’operaio e all’omesso obbligo di vigilanza da parte dell’imputato, ci si duole che la Corte di appello abbia ritenuto, in modo apodittico, inattendibili due testi, nonostante si trattasse di operai che erano presenti ai fatti, che hanno reso dichiarazioni convergenti tra loro e con quelle dell’imputato. Riportando stralci delle testimonianze da cui emergono incertezze e ricordi sbiaditi (giustificabili, si afferma, in ragione del tempo trascorso dai fatti, oltre quattordici anni) ma su elementi di contorno, si assume che la Corte di appello ha omesso di indicare quella parte del narrato relativa al dovere di vigilanza gravante sull’imputato, rispetto alla quale i testi non mostrano alcuna incertezza, avendo raccontato che l’operaio, su esplicita disposizione dell’imputato, prima di accingersi ad operare sulla parte esterna del guard rail , ove correva la conduttura oggetto di intervento, aveva fatto corretto uso dell’imbracatura, agganciandola, per tutte le fasi dell’intervento, sul menzionato guard rail.
Su questo aspetto i due testi non hanno mai mostrato alcuna incertezza, avendo reso sempre dichiarazioni convergenti, sin dalle prime SIT, quindi nelle dichiarazioni in primo grado e anche in quelle in appello (si riportano stralci dell’udienza del 7 giugno 2023 e del 6 marzo 2024).
Si ritiene, quindi, che l’affermazione della Corte di appello, laddove sostiene che l’esistenza di una cintura di sicurezza regolarmente indossata da parte dell’operaio fosse ‘tutt’altro che provata’ sia frutto di travisamento della prova: sul punto si riportano le dichiarazioni rese all’udienza del 7 giugno 2023 dal teste COGNOME, conformi a quelle rilasciate nel processo di primo grado all’udienza del 24 gennaio 2013 e nelle sommarie informazioni del primo marzo 2010 e si commenta l’apparente contraddizione in cui, secondo la Corte, sarebbe incorso il teste COGNOME che, diversamente da quanto affermato, ebbe a confermare, su contestazione della difesa nel processo di primo grado, quanto aveva detto nelle sommarie informazioni testimoniali rese in indagini, ossia che l’operaio deceduto al momento del soccorso indossava ancora la cintura di sicurezza.
NØ il quadro Ł neutralizzato dalle dichiarazioni del maresciallo COGNOME, conformi a quelle già rilasciate in primo grado, posto che lo stesso non solo intervenne sui luoghi dopo l’incidente, ma addirittura dopo che l’operaio era stato trasportato al pronto soccorso dai colleghi a bordi della Fiat punto, e si era, per altro, limitato a richiedere la presenza in cantiere di imbracature di sicurezza. A tal proposito, quella, ripiegata, mostrata dall’imputato, presente in cantiere al momento dei fatti, non poteva essere l’imbracatura indossata dal COGNOME che venne infatti ritrovata proprio nella Fiat Punto a bordo della quale era stato trasportato al pronto soccorso, a riprova del fatto che la indossasse prima dell’incidente.
Parimenti, deve ritenersi inattendibile quanto dichiarato dal maresciallo nella parte in cui ha sostenuto che l’aggancio dell’imbracatura al guard-rail non fosse la modalità idonea, e ciò in quanto lo stesso non Ł un tecnico, come da lui stesso affermato.
Alla luce di queste emergenze, del tutto sminuite dalla Corte di appello, deve ritenersi che non sussista alcuna contraddizione tra le dichiarazioni dei testi e quella del maresciallo e che l’unica ricostruzione logica Ł quella che si fonda sulle dichiarazioni rese dai primi, in quanto presenti al momento dell’incidente, secondo cui l’operaio aveva regolarmente i ndossato l’imbracatura di sicurezza, assicurandola al guard-rail , che tuttavia irresponsabilmente era stata da lui sganciata prima di mettersi in sicurezza, oltrepassando la barriera e ciò sarebbe comprovato dalla presenza all’interno della Fiat Punto, a bordo della quale venne portato al pronto soccorso, dell’imbracatura stessa.
Diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello non vi sarebbe neanche una
colpa per omessa vigilanza posto che nel caso in esame la condotta colposa del lavoratore ha attivato un rischio eccentrico esorbitante dalla sfera di controllo di rischio governata dal preposto alla vigilanza, che si era sincerato che il lavoratore indossasse l’imbracatura e che la stessa fosse correttamente assicurata al guard-rail . Per quanto emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale il lavoratore, che era stato formato e sapeva utilizzare l’imbracatura, ha posto in essere un gesto abnorme, non prevedibile da parte del titolare della posizione di garanzia che, pur trovandosi presente sul posto a pochi metri, non ha potuto impedire l’inconsulto comportamento, che ha interrotto il nesso di causalità tra la condotta e l’evento.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa lamenta contraddittoria e manifesta, intrinseca ed estrinseca, illogicità della motivazione, nonchØ insufficienza della stessa in ordine all’omessa rigorosa confutazione, sotto il profilo della specificità e completezza, della motivazione della sentenza assolutoria di primo grado.
Si premette che con riferimento a questo aspetto la Corte di appello avrebbe dovuto confutare in modo specifico e completo le ragioni sottese all’assoluzione in primo grado, con ‘motivazione rafforzata’, e tuttavia ciò non Ł stato.
Quanto all’affermazione che il decesso sarebbe conseguenza del danno assonale subito a seguito della caduta si rileva che la sentenza di primo grado, nell’escludere tale conclusione, aveva evidenziato che il danno causato dalla caduta, nel corso della degenza, era evoluto verso un evidente miglioramento, fino ad essere del tutto riparato, come emerge dalle cartelle cliniche.
Si confuta sul punto quanto affermato dalla Corte di appello in merito all’indice di Glasgow pari a 15, ritenuto non indicativo e non in grado di smentire un ingravescente danno neurologico o assonale, e si valorizza invece la circostanza che dopo i primi giorni (in cui esso era pari a 3, e l’operaio era in stato di coma) l’indice Ł andato migliorando fino ad arrivare a 15, tale da fargli superare anche il coma ipoglicemico, verificatosi nel corso della degenza ospedaliera, e l’arresto cardio-circolatorio durante l’intervento maxillo-facciale, da cui si era ripreso.
Si afferma che la Corte di appello non confuta quanto sostenuto dalla sentenza di primo grado, nella parte in cui veniva evidenziato che il danno assonale si estrinseca entro 48/72 ore dal trauma e che oltre questo periodo, o va incontro ad una situazione di irreversibilità o migliora, come poi Ł stato, ed in questo caso non può di nuovo peggiorare (cd ‘ristabilmento neurologico’).
Alla luce di queste considerazioni si sostiene che il decesso del COGNOME non Ł ascrivibile al primigenio danno neurologico, bensì ad altre cause, ossia l’esistenza di una fistola tracheo-esofagea con conseguente polmonite ab ingestis, tenuto conto che il quadro polmonare, inizialmente scevro da alcuna patologia, Ł risultato sempre piø compromesso fino ad assumere livelli gravi prima del decesso.
Sul punto si richiamano le conclusioni del consulente dell’imputato secondo cui a determinare il decesso del COGNOME sarebbe stata una fistola tracheo esofagea provocata da un’errata manovra dei sanitari in fase di intubazione e foriera di una polmonite ab ingestis , condotta colposa, questa, idonea ad interrompere il nesso causale tra infortunio e la morte, potendosi considerare causa, commissiva, sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento morte.
Alla luce di queste considerazioni si chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
3 Con requisitoria scritta il Sost. Procuratore generale ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso.
Il difensore delle parti civili, con comparsa conclusionale, ha chiesto dichiararsi inammissibile o comunque rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł, nel suo complesso, infondato e va pertanto respinto.
Il primo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
1.1. E’ necessario, in premessa, indicare ciò che Ł stato oggetto di censura nel giudizio rescindente e il principio di diritto cui la Corte territoriale doveva conformarsi.
Sez. 4, n. 14914 del 13/02/2019 ha disposto l’annullamento con rinvio della sentenza della Corte di appello di Catania del 27 aprile 2018 per il deficit istruttorio in cui la stessa era incorsa, avendo riformato la sentenza di proscioglimento assunta in primo grado in assenza di rinnovazione integrale della istruttoria dibattimentale e dei contributi dichiarativi dei periti e dei consulenti in atti.
Nonostante le due decisioni, di primo e secondo grado, avessero ritenuto provato che la vittima dell’incidente sul lavoro non indossasse l’imbragatura di sicurezza e che pertanto fosse addebitabile all’imputato, in ragione della posizione di garanzia assunta e non contestata, la condotta omissiva consistente nella mancata vigilanza sul corretto uso del dispositivo di sicurezza, la sentenza di appello aveva valorizzato le dichiarazioni di un unico testimone (il m.llo COGNOME) e screditato quelle dei testi della difesa, così valutando diversamente la loro attendibilità rispetto al giudice della sentenza assolutoria, senza tuttavia rinnovare le prove e senza confrontare, da un lato, il valore probatorio delle dichiarazioni dell’ufficiale di polizia giudiziaria, intervenuto sul luogo dell’infortunio, con quelle degli altri testimoni, pure assunti, e senza ricostruire, dall’altro, le modalità dell’infortunio,con particolare riferimento al momento in cui giunsero sul luogo dell’infortunio i primi soccorsi, all’intervento del teste NOME COGNOME all’accertamento dell’assenza e della mancata adozione dei presidi di sicurezza, alla presenza di cinture di sicurezza nel veicolo che aveva trasportato l’infortunato al nosocomio.
La stessa violazione Ł stata ritenuta sussistente anche con riferimento agli esiti peritali, posto che il Tribunale aveva assolto l’imputato ritenendo non provato che la condotta omissiva ascrittagli potesse essere condizione necessaria del verificarsi dell’evento morte e rilevando, sulla base della consulenza di parte della dott.ssa COGNOME del confronto con il consulente del pubblico ministero e con il perito nominato, che la morte del lavoratore poteva essere addebitata ad una polmonite ab ingestis derivata da una fistola tracheoesofagea di derivazione iatrogena. La Corte di appello, nel ribaltare la decisione assolutoria, aveva invece escluso che la morte dell’operaio potesse essere stata provocata da una polmonite ab ingestis , ritenendo che gli accadimenti nosocomiali non avevano integrato nØ fattori imprevedibili nØ atipici, ed erano quindi inidonei ad interrompere il nesso di causalità tra infortunio e morte, così arrivando ad un diverso apprezzamento delle consulenza e della perizia, senza tuttavia, anche in questo caso, rinnovare i contribuiti dichiarativi dei periti e dei consulenti.
1.2 Tanto chiarito, nessuna censura può essere mossa al giudice territoriale che, in ossequio ai principi di diritto enunciati in sede rescindente, Ł pervenuto questa volta al ribaltamento della decisione assolutoria dopo aver rinnovato tutta l’istruttoria dibattimentale (e ciò sia per quanto riguarda i testimoni che in relazione alla prova scientifica), e dopo aver dato conto della diversa valutazione delle prove assunte, raffrontando, da un lato, quelle rese dai due operai e quelle rilasciate dal teste di polizia giudiziaria e, dall’altro, i diversi
contribuiti dichiarativi del perito COGNOMEche veniva nuovamente risentito) e dei consulenti della parte pubblica e privata (le cui relazione venivano lette, stante il loro decesso), in tal modo assolvendo a quanto impostole.
1.3 Con riferimento, in particolare, al nesso di causalità tra le lesioni e l’ exitus ed alla valutazione del compendio dichiarativo testimoniale – che fondano il primo dei motivi di doglianza – il giudice territoriale, previa nuova assunzione del m.llo COGNOME, del teste COGNOME dell’Ispettorato del lavoro, dei testi COGNOME e COGNOME, si Ł diffusamente concentrato (da pag. 22) sulla omessa vigilanza in ordine all’osservanza della normativa giuslavoristica a tutela del lavoratore da parte dell’imputato, che ricopriva – elemento, questo, pacificamente ritenuto sussistente anche nella sentenza di proscioglimento oltre che ammesso in sede di esame dallo stesso imputato – la posizione di garanzia.
Il giudice del rinvio ha ritenuto la penale responsabilità dopo aver rinnovato sul punto la prova dichiarativa, in ossequio ai principi espressi in sede rescindente, richiamando quanto affermato in primo grado (nella parte in cui si Ł ritenuta inverosimile la ricostruzione difensiva in base alla quale la cintura era stata regolarmente indossata e sganciata dal COGNOME solo prima di essersi messo in sicurezza e si Ł affermato che il preposto non aveva comunque adempiuto adeguatamente all’obbligo di vigilanza sull’uso corretto della imbragatura) e valutando le dichiarazioni dei due testimoni COGNOME e COGNOME da un lato, e COGNOME, dall’altro, che in primo grado erano stati ritenuti complessivamente irrilevanti e che nella sentenza annullata erano stati, rispettivamente, valutati come inattendibili (i primi due) e attendibile (il teste di polizia giudiziaria).
La Corte territoriale, nel valutare le dichiarazioni testimoniali, ha proceduto all’analisi del compendio dichiarativo confrontando, in modo puntuale, le due opposte versioni, ed arrivando così a spiegare, con motivazione rafforzata ed immune da ogni censura, le ragioni in base alle quali ha ritenuto che non fosse stato provato, in termini di certezza, che il COGNOME indossasse al momento della caduta la cintura di sicurezza, senza incorrere in alcun travisamento della prova, come invece sostenuto dalla difesa.
E’ stato infatti valutato che il COGNOME (il quale, nonostante fosse il cognato, e dunque congiunto dell’imputato, non aveva ricevuto gli avvisi spettantigli – cfr pag. 24) aveva dichiarato che, quando successe il fatto, si era allontanato e solo dopo aver sentito le grida aveva visto l’operaio che era precipitato, non ricordando, al momento di soccorrerlo se avesse o no la cintura; che il teste COGNOME in piø occasioni si era contraddetto sulla cintura di sicurezza e che il teste COGNOME al quale Ł stato espressamente chiesto se all’interno dell’auto in cui era stato trasportato l’operaio fosse presente l’imbracatura, ha dichiarato, in base a ciò che ricordava, che non vi era nulla («.. no. Che ricordi io, no.. .»), concludendo che il dato che altre cinture (oltre a quella consegnatagli ancora ripiegata) fossero state impiegate nei lavori, come sostenuto dalla difesa, non avesse trovato riscontro.
Del pari, l’impugnata sentenza ha ritenuto, anche in questo caso con motivazione logica e coerente, che non fosse stata dimostrata in alcun modo la tesi sostenuta dalla difesa (ossia la condotta imprudente ed imperita del lavoratore, che regolarmente imbracato, avrebbe sganciato inopinatamente ed inaspettatamente, il gancio di collegamento con il guard-rail ) tale da determinare un evento eccentrico, risolutivo del nesso causale.
1.4 A fronte di questa ricostruzione, cui la Corte territoriale giunge dopo aver valorizzato le deposizioni rese dai testi di polizia giudiziaria (Vavalle e Campitelli) e ritenuto, in termini congrui e non illogici, che esse non fossero subvalenti rispetto alle versioni offerte dai due operai, ritenute incerte e probabilistiche, la difesa continua ad affermare la granitica convergenza e linearità delle deposizioni di questi ultimi due, riportando stralci delle loro
dichiarazioni, e ad insistere sul rinvenimento di una cintura nell’autovettura in cui venne inizialmente soccorso il COGNOME nonostante l’apposita risposta del teste COGNOME in tal modo proponendo censure che si risolvano, in sostanza, in una richiesta di rivalutazione delle acquisizioni istruttorie, operazione non consentita in sede di legittimità, non confrontandosi con le puntuali e precise motivazioni contenute nella sentenza impugnata, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso.
1.5 Giova sul punto evidenziare che nel giudizio di legittimità non Ł consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione Ł, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piø adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, ScibØ, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; piø di recente Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 Ud., dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Come noto, Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823 hanno ribadito un concetto già accreditato nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Infondato Ł anche il secondo motivo di ricorso.
2.1 L’altra questione devoluta al giudice del rinvio riguardava, a ben vedere, il tema delle cause sopravvenute sufficienti a determinare l’evento, rispetto alle quali questo collegio condivide il costante ed uniforme orientamento di questa Corte – implicitamente richiamato anche nel giudizio rescindente – secondo cui le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono solo quelle che innescano un processo causale completamente autonomo da quello determinato dalla condotta omissiva o commissiva dell’agente, ovvero dànno luogo ad uno sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico, pur se eziologicamente riconducibile ad essa ( ex plurimis Sez. 4, n. 10656 del 13/02/2024, COGNOME, Rv. 286013-01; in termini conformi, tra le ultime, Sez. 5, n. 7205 del 09/11/2022, dep. 202, COGNOME, Rv. 284338-02; Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, COGNOME, Rv. 271846-01; Sez. 2, n. 17804 del 18/03/2015, COGNOME, Rv. 263581-01; Sez. 4, n. 10626 del 19/02/2013, COGNOME, Rv. 256391-01).
Tale principio Ł stato da ultimo ribadito proprio in una fattispecie relativa a responsabilità per omicidio colposo per violazione di norme antinfortunistiche, in cui la Corte ha escluso rilevanza deterministica esclusiva alle sopravvenute complicanze nosocomiali, causa ultima del decesso del lavoratore, per il lungo periodo di immobilizzazione patito in conseguenza di gravi fratture vertebrali (Sez. 4, n. 10656 del 13/02/2024, COGNOME, cit).
2.2 Con motivazione rafforzata, la Corte territoriale ha analizzato la prova scientifica sul punto, previa rinnovazione della perizia già disposta, stante il decesso dei consulenti e la conseguente lettura delle loro relazioni, in ciò applicando il principio di diritto espresso da questa Corte in sede rescindente ed Ł giunta ad escludere l’interruzione del nesso causale tra le lesioni e il decesso, con una motivazione che, anche sul punto, Ł immune da censure.
Viene infatti escluso (pag. 28 e segg) che l’evento morte fosse ascrivibile ad una polmonite ab ingestis , come ritenuto dal consulente della difesa, ritenendo le prove raccolte, ed in particolare la perizia e la consulenza del pubblico ministero, convergenti sulla riconducibilità dell’ exitus al danno assonale, diretta conseguenza della precipitazione dall’alto e dunque dell’infortunio sul lavoro, da ricondurre alla omessa vigilanza, gravante sull’imputato, in considerazione della posizione di garanzia da lui assunta.
Attenendosi alle indicazioni impartite da questa Corte in sede di annullamento della precedente sentenza di secondo grado, la tesi della polmonite ab ingestis , come causa del decesso o comunque come causa risolutiva del nesso di causalità tra le lesioni e la morte, viene puntualmente analizzata (pag. 33) e superata con le considerazioni espresse sul punto, oltre che dal consulente del pubblico ministero, soprattutto dal perito, il quale ha spiegato la presenza di una sofferenza polmonare, piø ingravescente nella fase finale della vita del lavoratore, con la condizione di allettamento che per quasi due mesi costrinse il Curto in posizione orizzontale, con compromissione delle cellule nervose, con insorgenza di una infezione polmonare pluri-batterica, non riconducibile, in via esclusiva ed univoca alla fistola tracleo-esofagea, ma alla degenza ospedaliera.
Applicando i principi espressi da questa Corte, si Ł allora affermato che l’infezione nosocomiale non può ritenersi la causa sufficiente a recidere il nesso causale tra la patologia neurologica dovuta alla caduta nel vuoto e il successivo decesso, avendo agito come concausa dell’evento.
2.3 Nel caso di specie, nessuna censura può dunque essere mossa alla Corte di appello che, conformandosi al principio di diritto espresso da questa Corte in sede rescindente, ha prima rinnovato la prova scientifica e ha poi motivatamente argomentato, in termini logici e sulla base di puntuali e rigorosi accertamenti medico-legali, sul nesso di causalità tra l’incidente subito dal COGNOME e il decesso intervenuto, così colmando il vizio motivazionale che ha portato all’annullamento della precedente pronuncia della corte territoriale.
Attenendosi a quanto devolutole, la decisione oggetto di scrutinio ha fatto corretta applicazione dei suindicati principi espressi da questa Corte ed ha spiegato perchØ l’evento morte Ł stato ritenuto eziologicamente collegato alle lesioni riportate in occasione dell’infortunio sul lavoro, e perchØ deve escludersi che su di esso abbiano inciso altre condotte o altri fattori innescanti una serie causale alternativa ed esorbitante.
A tal proposito i giudici di merito hanno espressamente valutato e anche superato le osservazioni del consulente della difesa attenendosi al documentato riferimento alle condizioni del lavoratore quali erano all’atto del ricovero nella struttura sanitaria subito dopo l’infortunio occorsogli e a quelle in cui versava durante il ricovero; sul punto si sono rifatti al coerente ragionamento secondo il quale eventuali negligenze dei sanitari (per altro ritenute insussistenti) non avrebbero innescato, nelle condizioni date, un processo causale autonomo, così applicando il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale l’intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, anche nei potenziali errori di cura, mentre ai fini dell’esclusione del nesso di causalità occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l’evento letale, nel caso in esame escluso ( ex plurimis , Sez. 4, n. 21454 del 02/05/2023, Sez. 5, n. 18396 del 04/04/2022, Di COGNOME, Rv. 283216- 02; Sez. 4, n. 25560 del 02/05/2017, COGNOME, Rv. 269976-01).
Giova, in proposito, aggiungere che non può ritenersi causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento il comportamento negligente di un soggetto che trovi la sua
origine e spiegazione nella condotta colposa altrui (Sez. 4, n. 18800 del 13/04/2016, COGNOME, Rv. 267255 – 01).
2.4 In particolare, raffrontandosi anche con le osservazioni del consulente di parte, la Corte di appello se ha, da un lato, escluso che fossero ravvisabili condotte colpose ascrivibili ai sanitari che hanno seguito il paziente subito dopo il ricovero; ha, dall’altro, parimenti escluso che siano intervenute a cagionare il decesso altre autonome patologie, del tutto indipendenti dall’incidente occorsogli
I giudici territoriali, che si si sono anche confrontati, come visto, con l’opposta tesi esposta dal consulente di parte hanno anche in questo caso con motivazione completa e puntuale, escluso che il decesso possa essersi verificato per causa diverse dall’infortunio sul lavoro, giungendo così a concludere, applicando i principi di diritto espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, che eventuali ulteriori concause non avrebbero comunque assunto i connotati dell’evento assolutamente atipico eccezionale e straordinario, idoneo ad interrompere la serie causale, imprimendogli una direzione ed un esito che altrimenti non avrebbe mai avuto.
In conclusione, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto in tema, posto che nel caso di specie, la serie causale innescata dall’infortunio, che ha cagionato le gravissime lesioni al lavoratore, non Ł stata interrotta nØ dalle negligenti omissioni dei sanitari (che, si ribadisce, non sono state ritenute sussistenti) nØ da altre concause, che se anche possano aver favorito o accelerato il decesso, non lo hanno comunque autonomamente determinato (cfr in questo senso quanto affermato in motivazione da Sez. 5, n. 18396 del 04/04/2022, COGNOME, Rv. 283216- 02).
Su tali corrette valutazioni e sul percorso argomentativo svolto dalla Corte di appello, non si Ł efficacemente confrontata la difesa, avendo continuato a riproporre, come si Ł avuto modo di osservare, la propria tesi, fondata sulle conclusioni cui Ł pervenuto il consulente di parte, con conseguente infondatezza del proposto motivo.
In conclusione, per quanto esposto, il ricorso proposto va rigettato e va disposta la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente grado, che liquida in complessivi euro 3172,12 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro 3172,12 oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 26/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME NOME
NOME COGNOME