Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32241 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32241 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato il 27/01/1971 in Polonia avverso l’ordinanza del 29/08/2025 della Corte di appello di Brescia
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata la Corte di appello di Brescia ha convalidato l’arresto a fini estradizionali di NOME in esecuzione del mandato di arresto internazionale emesso il 31/05/2024 dalla Birmingham Crown Court, per reati tributari e riciclaggio, e ha applicato al predetto la misura della custodia in carcere.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’estradando, denunciando i motivi di annullamento di seguito sintetizzati.
2.1. Violazione degli artt. 82 TFUE e 111 Cost. in relazione ai ‘ principi di leale collaborazione tra gli Stati membri e di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Il ricorrente è già stato sottoposto ad arresto nello Stato di residenza, ossia in Polonia, in data 08/07/2025, in esecuzione del medesimo mandato emesso dal Regno Unito, e nei suoi confronti è stata applicata la misura della presentazione alla polizia giudiziaria.
Nella prospettazione difensiva, la Corte di appello, nel convalidare l’arresto e nell’applicare la misura cautelare per i medesimi fatti, avrebbe violato il divieto di bis in idem cautelare e il principio del mutuo riconoscimento dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, sancito dall’articolo 82 TFUE. Sotto questo profilo, si rileva che l’autorità giudiziaria italiana avrebbe dovuto riconoscere il provvedimento adottato dall’autorità giudiziaria della Polonia, attribuendo allo stesso i medesimi effetti del corrispondente provvedimento previsto nell’ordinamento italiano, con conseguente preclusione di un nuovo giudizio per i medesimi fatti.
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 606 e 609 dell’Accordo, firmato il 24 dicembre 2020, sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica, da un lato, e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dall’altro.
La segnalazione Interpol posta base dell’arresto, nella prospettazione difensiva, non può essere ritenuta sostitutiva del mandato di arresto in quanto mancante dei dati essenziali di cui all’art., 606 lett. e), del citato Accordo, ossia dell’indicazione delle circostanze, del tempo del luogo della commissione del reato e del grado di partecipazione del ricercato, nonché del provvedimento giudiziario sotteso al mandato.
In secondo luogo, si rileva che, nella fase di arresto da parte della polizia giudiziaria, il ricorrente non è stato assistito da un interprete e che la comunicazione scritta fornita in lingua polacca non conteneva tutti gli elementi di cui all’art. 606 dell’Accordo e, in particolare, non conteneva la traduzione della norma di legge asseritamente violata.
2.3. Violazione di legge in relazione all’art 274 cod. proc. pen. e al principio di libera circolazione dei cittadini di cui all’art. 21 TFUE.
L’ordinanza impugnata si fonda unicamente sull’assenza di radicamento in Italia e sul pericolo di fuga, senza considerare che la misura applicata dall’autorità giudiziaria polacca è idonea a garantire la consegna del ricercato all’autorità giudiziaria britannica.
Tale ordinanza, inoltre, viola il diritto alla libera circolazione, riconosciuto a cittadini comunitari dal TFUE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che la materia è disciplinata dall’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica, da un lato, e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (di seguito Accordo di partenariato), firmato il 24 dicembre 2020.
Il Titolo VII della parte terza dell’Accordo di partenariato ha come obiettivo quello di garantire un sistema di estradizione tra gli Stati membri, da un lato, e il Regno Unito, dall’altro, fondato su presupposti, condizioni e principi che trovano il loro riferimento costitutivo in un provvedimento (il mandato d’arresto).
Viene delineato un dettagliato regime di consegna, la cui decisione finale è attribuita alle autorità giudiziarie degli Stati; vengono disciplinati l’ambito d applicazione e i presupposti per la emissione del mandato di arresto (art. 599), il contenuto e la forma dello stesso (art. 606), le modalità di trasmissione (607608), i motivi obbligatori e facoltativi di non esecuzione del mandato (artt. 600601), i diritti del ricercato (art. 609 – 610- 612- 617), i termini e la modalità del consegna (art. 621 e ss. ), il diritto alla deduzione del periodo di custodia scontato nello Stato di esecuzione.
Non vengono, invece, dettate specifiche norme procedurali, in quanto l’Accordo di partenariato si limita a richiedere allo Stato di esecuzione di trattare ed eseguire il mandato con la massima urgenza (art. 615) e di adottare la decisione definitiva sull’esecuzione entro dieci giorni dalla comunicazione del consenso dell’interessato alla consegna ovvero, negli altri casi, sessanta giorni dall’arresto del ricercato (art. 615).
Dinanzi a tale silenzio, questa Corte ha escluso che, nella procedura passiva di consegna, l’autorità giudiziaria nazionale debba applicare la disciplina in tema di estradizione, estendendo, invece, sul solo piano procedimentale, l’applicazione, quanto alle modalità e ai tempi di assunzione della decisione, delle norme previste dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, in tema di mandato d’arresto europeo, in quanto compatibili (Sez. F, n. 34466 del 24/08/2021, Rv. 282036).
Ciò premesso, e venendo al primo motivo di ricorso, con cui si fa valere la violazione del divieto di bis in idem, deve rilevarsi che tale divieto trova esplicita tutela nell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU – a norma del quale nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per una infrazione per cui è già stato condannato o scagionato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge e alla procedura penale di tale Stato – e,
nell’ambito euro-unitario, nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, del medesimo tenore.
3.1. L’art. 600 dell’Accordo di partenariato prevede che l’autorità giudiziaria richiesta debba rifiutare l’esecuzione del mandato, tra l’altro, quando «risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato, a condizione che, in caso di inflizione di una pena, questa sia stata eseguita o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita secondo la legge dello Stato di condanna» (lett. b); il successivo art. 601 prevede, come causa di rifiuto facoltativo, l’ipotesi in cui «contro la persona oggetto del mandato d’arresto è in corso un’azione nello Stato di esecuzione per il medesimo fatto che è alla base del mandato d’arresto» (lett. b).
3.2 Con riferimento all’analogo motivo di rifiuto previsto dall’art. 3, punto 2, della decisione quadro 2002/584/GAI in materia di mandato di arresto europeo che impone il rifiuto della consegna «se in base ad informazioni in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna»- la Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione, 04/09/2025, C-305/22, C.3., che ha richiamato i suoi conformi precedenti giurisprudenziali) ha chiarito che una decisione dell’autorità giudiziaria di uno Stato membro di rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto non può essere considerata una «sentenza definitiva per gli stessi fatti», in quanto l’esame di una siffatta domanda non implica l’avvio dell’azione penale da parte dello Stato dell’esecuzione a carico della persona di cui si chiede la consegna e non comporta una valutazione nel merito della causa.
E infatti, in tali casi, il mandato di arresto europeo resta unico e unico resta anche il procedimento a carico dell’interessato, mentre la decisione, positiva o negativa, in ordine alla consegna, è meramente esecutiva dello stesso, senza implicare l’avvio di procedimenti penali nei confronti della persona richiesta in consegna, né comportare una valutazione nel merito della causa.
Nel caso di specie, l’unico titolo cautelare in forza del quale il ricorrente è stato arrestato sul territorio italiano è quello emesso dalla Corte inglese per reati tributari e riciclaggio.
Tale titolo, in forza dell’Accordo di partenariato, è stato, dapprima, eseguito dalle competenti autorità della Polonia, che, in attesa della pronuncia sull’estradizione, hanno emesso una misura cautelare di controllo non custodiale.
Il ricorrente ha, però, lasciato successivamente il territorio polacco, dove era tenuto a rimanere ai fini della decisione sulla sua consegna, di talché la Polonia, allo stato, non ha più giurisdizione al riguardo, non trovandosi l’interessato nel suo territorio.
Lo stesso – e unico – titolo cautelare in forza del quale è stato eseguito l’arresto ha costituito, pertanto, la base della successiva richiesta di consegna legittimamente avanzata dal Regno Unito nei confronti dell’Italia, sul cui territorio nel frattempo il ricorrente si è recato, sottraendosi alla esecuzione della richiesta inutilmente presentata nei confronti di altro Stato membro dell’Unione europea.
Si tratta, quindi, di due provvedimenti di esecuzione del medesimo ordine di cattura, in quanto l’unico procedimento penale a carico del ricorrente è pendente nel Regno Unito, quale unico Stato di emissione della richiesta di consegna: né in Italia né in Polonia, infatti, vi è un parallelo procedimento penale per lo stesso fatto, poiché in questi Stati il provvedimento restrittivo britannico è stato semplicemente posto in esecuzione in forza di un Accordo internazionale di cooperazione in materia penale.
Non ricorrono, dunque, le due ipotesi di bis in idem previste negli artt. 600 e 601 dell’Accordo, poiché esse presuppongono la diversa situazione processuale in cui, per il fatto per cui è emesso il mandato di arresto, la persona sia già stata giudicata con sentenza definitiva da uno Stato (art. 600) o sia in corso un’azione nello Stato di esecuzione (art. 601).
Né ricorrono le ipotesi di concorso di domande (di estradizione e di consegna basata su un mandato di arresto) previste dall’art. 20, comma 3, della legge n. 69 del 2005 (che regola il caso in cui nei confronti della stessa persona sono stati emessi un mandato di arresto europeo e una richiesta di estradizione da parte di uno Stato terzo) e dall’art. 614, comma 1, del menzionato Accordo (che regola l’ipotesi in cui due o più Stati parti hanno emesso un mandato d’arresto europeo o un mandato d’arresto nei confronti della stessa persona) poiché, come visto, il mandato di arresto è unico.
Né, peraltro, ricorre l’ipotesi, regolata dall’art. 614, comma 3, del conflitto tra una richiesta di estradizione presentata da un Paese terzo, essendosi in presenza di una sola richiesta di consegna avanzata con un mandato di arresto emesso da un solo Stato parte dell’Accordo (il Regno Unito).
Infine, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non vi è stata alcuna indebita limitazione alla libertà di circolazione (art. 21 TFUE), che è garantita con salvezza delle «limitazioni e condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi», e il cui contenuto di garanzia è limitato, tra l’altro, proprio dalla possibilità di richiedere ed ottenere la consegna delle persone
ricercate che si trovino in uno Stato diverso da quello che ha emesso il provvedimento restrittivo.
5. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
L’art. 608 dell’Accordo di partenariato prevede le modalità di trasmissione del mandato di arresto, il cui contenuto è definito all’art. 606 dell’Accordo di partenariato.
La diffusione della richiesta di arresto a fini di consegna viene trasmessa tramite Interpol (art. 608).
Il successivo art. 610 prevede che “quando una persona viene arrestata sulla base di un mandato d’arresto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide se la persona debba o meno rimanere in stato di custodia conformemente al diritto interno dello Stato di esecuzione. In qualsiasi momento è possibile la rimessa in libertà provvisoria, conformemente al diritto interno dello Stato di esecuzione, a condizione che l’autorità competente di tale Stato adotti le misure ritenute necessarie a evitare che il ricercato si dia alla fuga”.
In difetto di regolamentazione della fase dell’arresto provvisorio, deve, come sopra precisato, trovare applicazione, mutatis mutandis, l’art. 11 della legge n. 69 del 2005, in base al quale la polizia giudiziaria procede all’arresto della persona ricercata, ponendola immediatamente, e, comunque, non oltre ventiquattro ore, a disposizione del presidente della Corte di appello nel cui distretto il provvedimento è stato eseguito, mediante trasmissione del relativo verbale, salva la trasmissione della documentazione necessaria.
Ai fini dell’arresto di polizia giudiziaria di cui all’art. 11, comma 1, della legge n. 69 del 2005 è sufficiente l’inserimento della segnalazione della persona ricercata nel Sistema Informativo di Schengen (S.I.S.) «nelle forme richieste». Ed è sulla base di queste stesse informazioni che l’autorità giudiziaria procede, ai sensi dell’art. 13, comma 2, della citata legge, alla convalida dell’arresto e all’eventuale emissione della misura cautelare.
L’art. 13, ultimo comma, legge cit. stabilisce infatti che il provvedimento emesso dal presidente della Corte di appello, ai sensi del comma 2, perde efficacia se nel termine di dieci giorni non perviene il mandato di arresto europeo o la segnalazione della persona nel S.I.S. effettuata dall’autorità competente (cfr. Sez. 6, n. 46357 del 12/12/2005, COGNOME, Rv. 232852; Sez. 6, n. 4371 del 09/01/2009, COGNOME, Rv. 242644).
Infatti, le informazioni necessarie per l’adozione di misure cautelari personali devono essere funzionali alla verifica non della fondatezza della provvisoria contestazione mossa al ricercato dall’autorità giudiziaria dello Stato di emissione,
ma della sussistenza “prima facie” di cause ostative alla consegna all’estero (Sez. 6, n. 29815 del 31/05/2017, Gregorio, Rv. 270641).
In ogni caso va rilevato che, nel caso di specie, l’arresto è stato eseguito in esecuzione del mandato emesso dall’autorità giudiziaria del Regno unito, del cui contenuto il ricorrente era già a conoscenza essendo stato in precedenza arrestato in Polonia in esecuzione del medesimo titolo cautelare.
6. Quanto al diritto all’interprete nella fase dell’arresto da parte della polizia giudiziaria, l’art. 1 della legge n. 69 del 2005 prevede che « L’ufficiale di polizia giudiziaria che ha proceduto all’arresto ai sensi dell’articolo 11 informa la persona, in una lingua alla stessa comprensibile, del mandato emesso e del suo contenuto e le consegna una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa, che la informa, della possibilità di acconsentire alla propria consegna all’autorità giudiziaria emittente e la avverte della facoltà di nominare un difensore di fiducia e del diritto di essere assistita da un interprete».
Tale norma ha avuto puntuale applicazione nel caso di specie, in cui l’arrestato ha ricevuto completa e dettagliata comunicazione scritta, in lingua polacca, avente il contenuto previsto dalla disposizione appena citata.
La censura sul punto, pertanto, è manifestamente infondata, in quanto, nella fase dell’arresto operato dalla polizia giudiziaria, non è prevista l’assistenza di un interprete, la cui presenza, invece, è obbligatoria innanzi all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 609, comma 2, dell’Accordo di partenariato (all’udienza di convalida, infatti, il ricorrente è stato assistito da un interprete).
7. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.
I requisiti di concretezza ed attualità del pericolo di fuga per l’applicazione delle misure coercitive nell’ambito di una procedura di consegna internazionale devono essere scrutinati dal giudice della cautela avuto riguardo alle caratteristiche ed alle esigenze proprie del procedimento di consegna, finalizzato alla “traditi° in vinculis” della persona richiesta, formulando un giudizio prognostico incentrato sul rischio di sottrazione verificabile, ovvero ancorato ad obiettivi elementi concreti della vita del consegnando.
Orbene, la circostanza che l’arrestato si sia allontanato dalla Polonia, dopo l’apertura della procedura di consegna, violando la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, rende immune da censure il provvedimento impugnato, che ha coerentemente ritenuto che tale elemento di fatto non lasci residuare dubbi sulla sussistenza del pericolo di fuga.
Inoltre, l’avvenuta violazione delle prescrizioni inerenti la misura non custodiale applicata rende evidente l’incapacità di autocontrollo del ricorrente, con
conseguente necessità, al fine di tutelare l’esigenza cautelare sopra evidenziata, della misura applicata dall’ordinanza impugnata.
In conclusione il ricorso · va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria curerà l’espletamento degli incombenti previsti dall’art. 22, comma 5, della I. n. 69 del 2005.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, della I. n. 69 del 2005.
Così deciso il 25/09/2025.