Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5041 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 5041  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANIA nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME NOME a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/05/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sent4te le conclusioni del PG
udito il difensore
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania ricorre avverso l’ordinanza del 23 maggio 2023 della Corte di appello di Catania che, quale giudice dell’esecuzione, ha parzialmente accolto l’istanza con la quale COGNOME NOME aveva chiesto l’applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo:
al reato di rapina aggravata, ai sensi dell’art. 628, primo e terzo comma, cod. pen., commesso il 5 dicembre 2007 in Catania, giudic:ato dal G.u.p. del Tribunale di Catania con sentenza del 30 dicembre 2012, definitiva il 16 dicembre 2012;
 al reato di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso 1’11 novembre 2011 in Catania, giudicato dalla Corte di appello di Catania con sentenza del 9 novembre 2012, definitiva il 5 febbraio 2014;
 ai reati di ricettazione, di produzione, traffico e detenzione illecita d sostanze stupefacenti e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai sensi degli artt. 648 cod. pen., 73 e 74 T.U. stup., commessi rispettivamente il 30 aprile 2011 e in data 1 marzo 2011 e 1 gennaio 2012, giudicati dalla Corte di appello di Catania con sentenza del 19 giugno 2019, definitiva il 23 febbraio 2021.
Il giudice dell’esecuzione, ritenendo sussistenti gli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso solo tra i reati sub 2 e 3, ha ridetermiNOME la pena finale per tali reati in anni dodici e mesi sei di reclusione, così quantificata: pena base di anni quattordici di reclusione per il reato associativo sub 2, aumentata di anni uno di reclusione per il reato ex art. 73 T.U. stup., aumentata di mesi tre di reclusione per il reato ex art. 648 cod. pen., aumentata di anni uno e mesi tre di reclusione per i reati oggetto della sentenza della Corte di appello di Catania del 9 novembre 2012, ridotta per la scelta del rito abbreviato. Il giudice dell’esecuzione ha quindi rigettato nel resto l’istanza.
Il ricorrente contesta l’ordinanza impugnata, nella parte in cui il giudice dell’esecuzione ha omesso di considerare che il giudice della cognizione aveva già riunito sotto il vincolo della continuazione i reati sub 2 e 3.
Secondo il ricorrente, infatti, il giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto conto del fatto che, nel procedimento sub 2, la Corte di cassazione, con sentenza
del 21 settembre 2017, aveva annullato con rinvio la sentenza della Corte di appello del 23 settembre 2016 che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva irrogato la pena di anni quattordici e mesi sei di reclusione per i due reati oggetto del procedimento, riuniti tra loro dal vincolo della continuazione, nonché riuniti dal vincolo della continuazione con il reato sub 1.
La Corte di appello di Catania, quale giudice del rinvio, con sentenza del 19 giugno 2019, aveva ridetermiNOME la pena in anni undici di reclusione, così quantificata: pena base di anni quattordici di reclusione per il reato associativo, aumentata di anni uno per la continuazione con il reato ex art. 73 T.U. stup., aumentata di mesi tre di reclusione per il reato sub 1, aumentata di anni uno e mesi tre di reclusione per la continuazione cori i reati oggetto della sentenza della Corte di appello di Catania del 9 novembre 2012, definitiva il E novembre 2014.
Il giudice dell’esecuzione, inoltre, avrebbe omesso di considerare che la citata sentenza del 19 giugno 2019 era stata annullata senza rinvio con sentenza del 12 febbraio 2021 dalla Corte di cassazione, che aveva ridetermiNOME la pena in anni quattordici e mesi due di reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Giova premettere che il principio del ne bis in idem assume portata generale nel vigente diritto processuale penale, trovando espressione nelle norme sui conflitti positivi di competenza (art. 28 cod. proc. pen.), nel divieto di un secondo giudizio (art. 649 cod. proc. pen.) e nella disciplina dell’ipotesi di una pluralità sentenze per il medesimo fatto (art. 669 cod. proc. pen.).
È, quindi, indubbio che anche nel procedimento di esecuzione operi il principio della preclusione processuale derivante dal divieto del bis in idem, nel quale, secondo la giurisprudenza di legittimità, s’inquadra la regola dettata dal dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., che impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile la richiesta che sia mera riproposizione, in quanto basata sui «medesimi elementi», di altra già rigettata (Sez. 1, n. 3736 del 15/01/2009, Anello, Rv. 242533).
Con tale limite si è inteso creare, per arginare richieste meramente dilatorie, un filtro processuale, ritenuto dal legislatore delegato necessario in un’ottica di economia e di efficienza processuale.
In questa prospettiva emerge la nozione di «giudicato esec:utivo», impiegata in senso atecnico, per rappresentare l’effetto «auto conservativo» di un accertamento rebus sic stantibus: più correttamente, la stabilizzazione giuridica di
siffatto accertamento deve essere designata con il termine «preclusione», proprio al fine di rimarcarne le differenze con il concetto tradizionale cii giudicato.
Appare, quindi, un dato acquisito, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui, allorquando la precedente richiesta sia stata respinta, è ammissibile la proposizione di un nuovo incidente di esecuzione solo quando si fondi su nuovi elementi.
Il principio del ne bis in idem è applicabile in via analogica con riferimento alle ordinanze del giudice dell’esecuzione nei casi in cui esso costituisca l’unico strumento possibile per eliminare uno dei due provvedimenti emessi per lo stesso fatto contro la stessa persona (Sez. 1, n. 4556 del 15/09/2015, Turchetti, Rv. 265234).
Nel caso di specie, è indubbio che il giudice dell’esecuzione con l’ordinanza del 23 maggio 2023 ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra reati che erano stati già unificati tra loro e ciò in palese violazione del divieto del ne bis in idem.
Il giudice dell’esecuzione doveva prendere atto, invece, che la Cassazione con sentenza del 23.2.2021 aveva annullato senza rinvio la sentenza del 19.6.2019 della Corte di appello di Catania ed aveva ridetermiNOME la pena complessiva da 11 anni di reclusione a quella complessiva di 14 anni e mesi 2 di reclusione (così calcolati: 18 anni per art. 74, più un anno di reclusione per il delitto di cui all’a 73 T.U. stup., più 6 mesi di reclusione per il delitto di ricettazione di cui all’a 648 cod. pen. e più un anno e mesi 9 di reclusione per la riconosciuta continuazione con i fatti giudicati con altra sentenza, infine, ridotti per il rito abbrevia pertanto, non vi è corrispondenza con l’indicazione della pena base effettuata nel provvedimento impugNOME.
Alla luce dei principi sopra indicati, la Corte deve annullare con rinvio in l’ordinanza impugnata, per consentire un nuovo giudizio. All’annullamento , consegue che va disposta la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione fisica, per rinnovato esame della richiesta, in ossequio ai principi affermati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 18:3 del 03/07/2013, sulla diversa composizione del giudice di rinvio, in caso di annullamento di ordinanze in materia di applicazione della disciplina della continuazione in sede esecutiva. 
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d appello di Catania.
Così deciso il 23/11/2023