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Motivo non devoluto in appello: l’inammissibilità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23492/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso penale. La ragione risiede nel fatto che l’imputato ha sollevato per la prima volta in Cassazione una questione sulla legittimità della recidiva, un motivo non devoluto in appello. La Corte ha ribadito che il giudice di secondo grado non è tenuto a pronunciarsi su questioni non specificamente indicate nell’atto di appello, e tali questioni non possono essere introdotte ex novo nel giudizio di legittimità.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivo non devoluto in appello: la Cassazione ribadisce l’inammissibilità

L’ordinanza n. 23492 del 31 maggio 2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento su un principio cardine del processo penale: l’effetto devolutivo dell’appello. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile un ricorso basato su un motivo non devoluto in appello, sottolineando come non sia possibile introdurre nuove doglianze nel giudizio di legittimità se queste non sono state prima sottoposte all’esame della Corte d’Appello. Analizziamo questa decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. Nel suo ricorso per Cassazione, il ricorrente contestava l’erronea applicazione della legge e l’insufficienza della motivazione riguardo alla recidiva contestatagli. Tuttavia, un’analisi dell’atto di appello originario rivelava una lacuna fondamentale: in quella sede, la difesa non aveva contestato l’esistenza o la legittimità della recidiva in sé, ma si era limitata a chiedere un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva stessa e una conseguente riduzione della pena.

La Decisione della Corte: l’inammissibilità del motivo non devoluto in appello

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’ambito del giudizio di appello è strettamente delimitato dai motivi specificamente enunciati nell’atto di impugnazione. Questo principio, noto come “tantum devolutum quantum appellatum”, impedisce al giudice del gravame di pronunciarsi su punti della sentenza di primo grado che non siano stati oggetto di specifica critica da parte dell’appellante. Di conseguenza, se una questione non viene sollevata in appello, non può essere validamente proposta per la prima volta in Cassazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha spiegato che la Corte d’Appello aveva legittimamente omesso di pronunciarsi sulla questione della legittimità della recidiva, poiché tale punto non le era stato devoluto. L’appello si concentrava esclusivamente sulla richiesta di un giudizio di bilanciamento più favorevole tra circostanze attenuanti e aggravanti, non sulla validità della recidiva stessa. Pertanto, la Corte d’Appello ha agito correttamente, limitando il proprio esame a quanto richiesto. Introdurre la contestazione sulla recidiva solo nel ricorso per Cassazione costituisce la proposizione di un motivo non devoluto in appello, pratica non consentita dal nostro ordinamento processuale. A sostegno della propria decisione, la Corte ha richiamato un suo precedente (Sez. 2, n. 26721 del 26/04/2023), che ribadisce come non possano essere dedotte in sede di legittimità questioni sulle quali il giudice d’appello abbia correttamente omesso di pronunciarsi perché non sottoposte alla sua cognizione. L’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale per chiunque si approcci al processo penale: la strategia difensiva deve essere completa e ben definita sin dal primo grado di impugnazione. Omettere un motivo di doglianza nell’atto di appello significa precludersi la possibilità di farlo valere in Cassazione. La decisione evidenzia l’importanza cruciale di redigere atti di appello esaustivi, che attacchino tutti i punti della sentenza di primo grado ritenuti erronei. Un errore di impostazione in questa fase può risultare fatale e non più sanabile, cristallizzando gli effetti di una decisione altrimenti contestabile. Per gli operatori del diritto, è un monito a non trascurare alcun potenziale vizio della sentenza impugnata, strutturando l’impugnazione in modo completo e lungimirante.

Cosa significa ‘motivo non devoluto in appello’?
Significa un argomento o una contestazione che non è stato incluso nei motivi specifici presentati nell’atto di appello al giudice di secondo grado. Di conseguenza, tale argomento non può essere esaminato né dal giudice d’appello né, successivamente, dalla Corte di Cassazione.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’imputato ha contestato per la prima volta in Cassazione la legittimità della recidiva. Nell’atto di appello, invece, si era limitato a chiedere che le attenuanti prevalessero sulla recidiva, senza metterne in discussione l’esistenza o la correttezza.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che in questa ordinanza è stata quantificata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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